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 2015  luglio 11 Sabato calendario

IL MILIARDARIO POPULISTA TRUMP ORA SPAVENTA ANCHE I REPUBBLICANI

DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK All’inizio hanno provato a ignorarlo. Una vecchia tattica che non può funzionare con uno come Donald Trump. Miliardario e provocatore per vocazione; populista brutale, ma capace di entrare in sintonia con le profondità dell’America minuta, impaurita dai migranti, tentata dal neo razzismo.
L’incredibile capigliatura paglierina del sessantanovenne Trump è ormai onnipresente. Le televisioni nazionali, non solo la conservatrice Fox, somministrano ogni giorno una dose di sue battute o dichiarazioni, da quando, il 16 giugno scorso presentò la sua candidatura per le primarie repubblicane con queste parole: «Il Messico non ci manda i suoi cittadini migliori. Questa è gente che ci porta droga, ci porta il crimine. Questi sono stupratori». Poi avanti. Jeb Bush, il concorrente più in vista del campo repubblicano? «E’ loffio»; Hillary Clinton, un tempo sua favorita? «Il peggior segretario di Stato della storia, sarebbe una presidente terribile».
Nell’ultima settimana la parola Trump è comparsa nel 48% delle conversazioni politiche sui Social network e sui media tradizionali. Il magnate viene citato 1,9 milioni di volte, contro le 448 mila di Hillary Clinton. La sua miscela di provocazioni e drastiche contromisure è già diventata una categoria della comunicazione politica, il «trumpismo». Secondo i dati della Cnn , l’imprenditore ora figura al secondo posto tra i candidati repubblicani, con il 12% alle spalle di Bush. In alcuni Stati, per esempio nella North Carolina, non ha rivali. Di sicuro parteciperà al primo grande dibattito televisivo tra i dieci competitor conservatori più quotati, il 6 agosto sulla rete Fox . Una prospettiva ansiogena sia per figure moderate e istituzionali come Bush, sia per gli outsider come Marco Rubio, Chris Christie, Carly Fiorina. Tutti questi e altri ancora hanno provato, con più o meno imbarazzo, a prendere le distanze. Ne è risultata una piccola onda polemica che Trump ha subito cavalcato, proponendo, da politico e immobiliarista, la costruzione di un muro al confine tra Stati Uniti e Messico. Solo il texano Rick Perry, ha avuto il coraggio di dire apertamente quello che l’ establishment repubblicano bofonchia: «Donald Trump non rappresenta il nostro partito».
In realtà il magnate newyorkese sta solo portando alla luce le ambiguità, le contraddizioni e, soprattutto, la tartufesca mancanza di concretezza su immigrazione e tensioni razziali. Secondo un’inchiesta del Pew Research Center, pubblicata ieri dal New York Times , il 62% degli elettori repubblicani e, dato da non sottovalutare, il 32% dei democratici, ritengono che i migranti siano «un peso»: voraci predatori di lavoro, case popolari, cure mediche gratuite.
E’ probabile che, alla fine, Trump non otterrà la nomination. Ma non è esclusa «l’opzione Ross Perot»: un altro ricco businessman che si presentò come indipendente nel 1992. Scenario da incubo per i repubblicani. Nel 2016 finirebbe esattamente come allora: Casa Bianca ai democratici.