varie, 11 luglio 2015
APPUNTI PER GAZZETTA SULL’ATTENTATO AL CAIRO E IL PERICOLO ISIS IN ITALIA – L’ATTENTATO DEL CAIRO DI SABATO 11 LUGLIO – Alle 6
APPUNTI PER GAZZETTA SULL’ATTENTATO AL CAIRO E IL PERICOLO ISIS IN ITALIA – L’ATTENTATO DEL CAIRO DI SABATO 11 LUGLIO – Alle 6.30 di sabato mattina una fortissima esplosione nel centro del Cairo ha colpito il consolato italiano su El Galaa Street, nel cuore della città. Fonti ufficiali attribuiscono la causa a un’autobomba, esplosa mentre il palazzo era ancora chiuso. Il bilancio aggiornato, reso noto dal portavoce del ministero della Sanità egiziano, Hossam Abdel-Ghaffar, parla di un morto e nove feriti [Rep]. Il morto sarebbe un poliziotto egiziano, mentre tra i feriti – ricoverati con contusioni e bruciature – ci sarebbero una donna e i suoi tre figli tra gli 11 e i 13 anni. Il ragazzo di 13 anni, che si chiama Hamza, è in coma. Ora è ricoverato nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale Helal di Ramsis. Nessun italiano è stato coinvolto. L’esplosione è stata talmente forte da danneggiare anche le finestre del Museo egizio e abitazioni limitrofi [S24]. «L’obiettivo non era uccidere molte persone, ma lanciare un messaggio all’occidente e all’Italia: il terrorismo sta arrivando». Lo afferma ad Asianews padre Rafic Greiche, portavoce della Chiesa cattolica egiziana, che sottolinea come l’orario dell’esplosione, ad uffici chiusi, abbia limitato il numero delle vittime [S24]. Mohammed Soliman, ingegnere e giovanissimo numero due del partito Doustur (quello a suo tempo fondato da Mohammed el Baradei), è arrivato sul luogo dell’attentato 50 minuti dopo l’esplosione. «Stavo andando al lavoro, la polizia ha fermato la macchina e ha detto che lì vicino c’era stato un attentato al consolato italiano, così mi sono precipitato fuori per andare a vedere. C’era già moltissima gente, l’edificio è seriamente danneggiato, una delle facciate è sventata e credo che il terzo piano sia pressoché distrutto. Non c’era nessuno dentro perché era molto presto» [Paci, Sta]. Era proprio l’Italia l’obiettivo dell’autobomba riempita con 250 chili di tritolo che è esplosa con un comando a distanza sotto il consolato italiano al Cairo, danneggiando gravemente la sede diplomatica. Non ci sono italiani coinvolti nell’esplosione e fonti della sicurezza egiziana precisano che finora non è arrivata alcuna rivendicazione ma il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, ha confermato che si è trattato di «un attacco diretto all’Italia. Un tentativo di intimidazione, un attacco contro la nostra presenza internazionale, ma anche un attacco diretto all’Italia impegnata in prima linea nel contrasto al terrorismo» [cds]. La procura generale del Cairo per ora non esclude che l’attacco fosse indirizzato contro il giudice Ahmed al-Fuddaly, considerato vicino al presidente Al-Sisi. L’azione odierna arriva infatti a poco più di una settimana dall’assassinio del procuratore capo Hisham Barakat [Cds]. Le indagini starebbero puntando verso l’organizzazione «Fratellanza musulmana» che sta conducendo una vera e propria guerra contro il presidente, al Sisi. Perde invece consistenza l’ipotesi più inquietante che abbia agito una cellula dell’Isis. È quanto si apprende da fonti dell’intelligence che dalle prime ore del mattino stanno indagando insieme ai colleghi egiziani. Il fatto che l’attentato sia stato attuato con il Consolato chiuso e quindi senza personale all’interno, rappresenterebbe un «avvertimento» all’Italia che continua ad avere rapporti con al Sisi [S24]. Perché il consolato italiano? «È la domanda che si facevano tutti lì davanti e che si fanno tutti gli egiziani. In quell’edificio c’è la scuola d’italiano che per molti di noi è un luogo molto amato. Tra l’altro è la prima volta che i terroristi colpiscono un target internazionale, finora, negli ultimi mesi, sono stati attaccati sempre edifici governativi o della magistratura. Neppure l’ambasciata americana è stata mai colpita, neppure quella francese o britannica. È la prima volta» (Mohammed Soliman) [Paci, Sta]. Renzi ha sentito per telefono Al-Sisi: «L’Italia sa che quella contro il terrorismo è una sfida enorme che segna in profondità la storia del nostro tempo. Non lasceremo solo l’Egitto: Italia ed Egitto sono e saranno sempre insieme nella lotta contro il terrorismo»Esplora il significato del termine: Il premier ha sentito per telefono Al-Sisi: «L’Italia sa che quella contro il terrorismo è una sfida enorme che segna in profondità la storia del nostro tempo. Non lasceremo solo l’Egitto: Italia ed Egitto sono e saranno sempre insieme nella lotta contro il terrorismo» (nota di Palazzo Chigi). Nessuno può escludere però che si sia trattato di un messaggio all’Italia considerando che il premier Renzi è stato il primo a venire in Egitto dopo l’elezione di el Sisi e che di fatto, considerando il summit di SHarm el Sheik, sia già venuto due volte» (Mohammed Soliman) [Paci, Sta]. «Il vile attentato che ha colpito, al Cairo, la sede del Consolato italiano conferma quanto grave sia il pericolo costituito dal terrorismo. L’autobomba fatta esplodere nella Capitale di un Paese amico - evidenzia ancora una volta l’indivisibilità dell’impegno per sconfiggere il terrore. Ribadiamo le ragioni e i valori della libertà, del rispetto della vita umana, del contrasto alla violenza e della solidarietà che rendono le democrazie più forti di ogni disegno sanguinario. Saremo a fianco dell’Egitto e di ogni altro Paese oggetto dei tentativi di destabilizzazione e invitiamo l’Unione Europea e la comunità internazionale ad assumere iniziative efficaci e tempestive in questa direzione. Sono certo che l’Italia manifesterà la coesione e la compattezza che sa mettere in campo nei momenti difficili, a sostegno dell’azione di tutela della sicurezza. Ai familiari di chi è rimasto vittima di questo orribile gesto, ai feriti e all’intero popolo egiziano, esprimo la solidarietà della Repubblica Italiana» (Così il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella) La scia di attentati che sta portando l’Egitto in uno dei periodi peggiori dalla deposizione di Mohamed Morsi a oggi è iniziata il 29 giugno scorso quando una bomba ha ucciso il procuratore generale Hisham Barakat, uno dei leader della repressione governativa contro i Fratelli Musulmani. Due giorni dopo, il 1° luglio, Ansar Bayt Al Maqdis – gruppo che dallo scorso novembre ha giurato fedeltà allo Stato Islamico e ha cambiato il suo nome in Provincia del Sinai – ha attaccato diverse postazioni di sicurezza a Sheick Zuweid, cittadina nel Nord Sinai e ha dato il via a una massiccia offensiva dell’esercito. Il bilancio ufficiale è di 17 militari uccisi (ma fonti indipendenti parlano di 60 vittime tra le forze di sicurezza) [Fat]. «È terrorismo, sono terroristi. Ma penso, dico penso perché nessuno lo sa, che se pure si tratta di cellule locali c’è la mano di Daesh dietro, le stesse sigle legate allo Stato Islamico che agiscono in Sinai» (Mohammed Soliman) [Paci, Sta]. ***** 37 FONDAMENTALISTI ESPULSI DALL’ITALIA NEL 2015 Dall’inizio dell’anno — su indicazione della polizia di prevenzione e dei carabinieri del Ros — il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha firmato i decreti per l’espulsione di 37 stranieri ritenuti troppo vicini ai fondamentalisti. Nei loro confronti non c’era un’accusa che potesse giustificare l’apertura di un’inchiesta penale ma la capacità di fare proseliti o comunque l’attenzione per i siti web che incitano al fondamentalismo, hanno fatto ritenere opportuno allontanarli dall’Italia con un provvedimento che prevedesse la «consegna» al Paese d’origine. Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera 27/6 ***** PIU’ DI 400 I LUPI SOLITARI IN ITALIA – I "lupi solitari" pronti a colpire in Italia sono più di 400. L’elenco dei combattenti per la jihad sul nostro territorio continua ad allungarsi. Il profilo di questi "lupi" è ben chiaro per le forze di intelligence. Si tratta in prevalenza di persone che frequentano con una certa assiduità siti di propaganda jihadista. Le forze dell’ordine, insieme all’intelligence, ne controllano ogni movimento. Il precedente degli attacchi di Parigi allarma e non poco l’Italia, e secondo i servizi il rischio emulazione è altissimo. Di questa lista di "attenzionati" fanno parte convertiti italiani, immigrati di seconda generazione e anche i volontari della jihad che sono partiti o che potrebbero farlo, per andare a combattere in Siria e Iraq con i miliziani di Abu Bakr al-Baghdadi. Le cellule pronte a colpire sono quelle "in sonno", l’evoluzione di quelle qaediste, che potrebbero attivarsi e decidere di abbracciare la causa jihadista dell’Isis, quindi la restaurazione del Califfato e la proclamazione dello Stato islamico, compiendo azioni in Occidente. A questo panorama inquietante, inoltre, si aggiunge la variabile indipendente dei continui sbarchi di profughi sulle nostre coste. E gli sbarchi, come ha ricordato il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni sono raddoppiati nel giro di 12 mesi. E a questo bisogna aggiungere che lo status di rifugiati è intorno al 20 per cento ben superiore al 3 per cento di un anno fa. In questo quadro di numeri del terrore una buona notizia arriva solo dai dati sui foreign fighters: quelli di provenienza italiana sono solo 12. E di questi 6 sono cittadini italiani. ***** NUOVA MINACCIA DELL’ISIS ALL’ITALIA – «Trasformatevi da lupi solitari in gang»: è l’ordine dello Stato Islamico (Isis) ai jihadisti in Occidente contenuto in un ebook disseminato di consigli pratici su come portare la guerriglia nei centri urbani e la conclusione è dedicata all’assalto all’Italia. Ecco una sintesi di «Muslim Gangs», ottenuto dal website «Site». «Per trasformarsi da lupi solitari in gang bisogna scegliere il proprio obiettivo: fare propaganda o attività militari». Per propaganda si intende «incoraggiare la vostra comunità musulmana alla beneficenza in loco, non all’estero». «Immaginate di essere attaccati dai neonazisti e chiedevi cosa serve»: lezioni di pronto soccorso, tecniche di autodifesa. «Dovete conquistare cuori e menti della vostra comunità». «Aprite delle Dawah» per informare sull’Islam e per attirare la gente. «offrite cibo». Così «rimuoverete dai musulmani il timore per la polizia». Servono «soldi, armi e rifugi». Si inizia «con piccole cellule dentro la gang, formate da persone fidate». Per ottenere fondi le scelte suggerite sono «rapine in gioiellerie», «frodi con le carte di credito» e «far esplodere i bancomat». Poi ci sono le «bombe fatte in casa»: il suggerimento è di confezionarle in «lattine» e «pentole» riempiendole «di esplosivo e schegge» usando cellulari come detonatori. Infine, le istruzioni per autobombe e attacchi «con auto in corsa come fanno i palestinesi in Israele» ma «rinforzandole davanti con metalli» per riuscire a causare più vittime fra i passanti. La previsione è che «la politica dell’Occidente favorirà l’estrema destra» portando a «scontri coi neonazisti» che favoriranno il «reclutamento». L’obiettivo militare è «creare corridori terrestri per collegarsi con i musulmani dei Paesi vicini». L’esempio fatto è l’Italia. «Entreremo in Italia da Nord, convergeranno i musulmani inglesi, francesi, spagnoli, tedeschi e scandinavi. E da Est i bosniaci, albanesi e kosovari. Così raggiungeremo Roma» [Maurizio Molinari, La Stampa 8/7]. ***** FATIMA E LA FAMIGLIA CONVERTITI – Da ultimo ha fatto notizia il caso di Fatima, la ragazza italiana convertita all’Islam alla jihad. Questa la cronaca dellavicenda: Dieci arresti, tra cui un’intera famiglia di italiani convertiti all’Islam radicale. È il bilancio della prima indagine sullo Stato Islamico in Italia, tra le prime in Europa, condotta dalla sezione antiterrorismo della Digos di Milano. Secondo il procuratore aggiunto di Milano, Maurizio Romanelli, la cellula «non progettavano attentati in Italia», ma gli affiliati erano pronti a trasferirsi in Siria. Al centro la figura di Maria Giulia Sergio, la 28enne nota con il nome di Fatima, che dopo la sua conversione è partita per la Siria, dove attualmente si trova, insieme al marito albanese Aldo Kobuzi, anche lui destinatario dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere. La donna, che al momento risulta irreperibile, ha anche convinto il padre, la madre e la sorella, arrestati ieri, ad abbracciare la jihad spingendoli a partire per il Califfato. L’inchiesta racconta l’indottrinamento e la radicalizzazione di una famiglia. Maria Giulia, alias Fatima, spinge i genitori e la sorella ad abbracciare la Spada dell’Islam. Tre settimane fa, l’8 giugno, chiama dalla Siria via Skype la sua famiglia: «Il musulmano che non può raggiungere lo Stato Islamico è chiamato a compiere obbligatoriamente la jihad nel luogo in cui si trova, e la jihad consiste nell’uccidere i miscredenti». Poi, commentando la strage al Charlie Hebdo, a Parigi, aggiunge: «Dio è grande, due dei mujaheddin hanno assassinato i fumettisti, quelli che hanno offeso il profeta dell’Islam, in Francia». Maria Giulia sta cercando di convincere i genitori e la sorella a raggiungerla in «Siraq», nello Stato Islamico dove lei si è trasferita ormai da un anno. «Ad ogni tentennamento - commenta il gip - lei reagisce con aggressività crescente». Madre e sorella si ritrovano così a indossare il niqab, il padre operaio si «trasforma» facendosi crescere la folta barba. I tre sono stati arrestati a Inzago, nel Milanese. Alla fine si è salvata solo la nonna. «Non è una convertita, è una miscredente, abbandoniamola...», incitava i familiari Maria Giulia (Ruotolo e Poletti, La Stampa 1/7). ***** I DUE MAROCCHINI ARRESTATI PER INCITAZIONE ALLA JIHAD SUL WEB – Sempre il Primo luglio la Procura di Roma ha fatto arrestare due marocchini che su internet inneggiavano al martirio di chi aveva compiuto attacchi suicidi in Europa e «sembravano pronti per compiere attentati in Italia». Ecco la cronaca di Carlo Bonini su Repubblica: Per quattro anni, la procura di Roma, i carabinieri del Ros, l’Aisi (l’Intelligence interna), l’Fbi, i servizi segreti marocchini hanno ascoltato, compulsandone ogni messaggio e sequenza video, uno degli snodi in Rete di Al Qaeda. All’indirizzo www.i7ur.com, acronimo in lingua araba di “Ashak al-Hur”, gli Amanti delle Vergini (ricompensa dovuta ai martiri di Allah), il cittadino tunisino Ahmed Masseoudi (da ieri ricercato in patria), il marocchino residente a Roma Abderrahim El Khalafi (arrestato al Pigneto dove aveva un banco di abiti usati), e il suo connazionale Mohammed Majene (ora detenuto in Marocco) hanno lavorato come aggregatori di odio e sostegno logistico in Rete ad Al Qaeda e alle sue diverse sigle. Nel tempo – si legge nelle 400 pagine di ordinanza – con il contributo di almeno una dozzina di altri “fratelli” che ancora non hanno un nome, ma solo dei nickname “geo-localizzati” in Africa e Medio Oriente, hanno celebrato il massacro francese di Charlie Hebdo e ancor prima quello di Mohammed Merah (il francese di origine algerina che, nel marzo 2012, uccise tre paracadutisti, un bambino, un rabbino e i suoi figli) come «lodevole esempio di Jihad individuale». Hanno avviato al fronte siriano decine di foreign fighters. Hanno salutato, rendendole onore, la fine violenta di un diciannovenne algerino, Khaled Amroune, prodotto dell’auto indottrinamento ricevuto sul sito e andato a morire in Siria con Jabhat Al Nusra. E, inconsapevoli di essere “monitorati”, hanno condiviso le notizie di un piano (per questo motivo sventato) che, nel 2012, avrebbe dovuto colpire il Parlamento marocchino e un festival della musica a Rabat. «Tra il gennaio del 2011 e il febbraio del 2013 – scrive il gip Stefano Aprile – il forum i7ur.com posta 236 documenti. 182 sono prodotti da Al Qaeda. 78 da organizzazioni affiliate. 49 sono video di sigle alleate all’organizzazione». ***** IL 3% DEI MUSULMANI ITALIANI APPOGGIA L’ISIS – Un’indagine della Fondazione Moressa realizzata a fine giugno fra i musulmani italiani ha mostrato che il 3,1% degli intervistati è convinto che lo Stato islamico stia operando per «diffondere il vero islam». Su un totale di circa un milione e seicentomila fedeli di Allah presenti in Italia, cinquantamila persone sostengono i tagliagole. Secondo l’indagine poi oltre il 60% dei musulmani pensa che la fede islamica, nel nostro Paese, sia osteggiata. Si sentono discriminati [Francesco Borgonovo, Libero 1/7]. ***** I PERICOLI ATTENTATI IN ITALIA – Gli attacchi in Tunisia, in Francia e in Kuwait certamente erano già stati pianificati, ma adesso è questa esortazione così esplicita a far temere che non sia finita, che altri attentati possano essere già stati progettati. Ma anche che si possa scatenare l’emulazione, come del resto è già accaduto nel recente passato. E allora l’Italia potenzia ulteriormente la sorveglianza — già al livello massimo dopo la strage di Parigi nella redazione di «Charlie Hebdo» e al mercato Kosher — impiegando l’esercito per nuovi possibili obiettivi. Soprattutto aggiorna la lista delle mete turistiche ritenute particolarmente a rischio. Una «guida» è certamente il sito Internet della Farnesina che elenca tutti i pericoli in ogni singolo Stato e inserisce eventuali «avvisi particolari». Il resto lo fanno i «report» che gli apparati di sicurezza trasmettono regolarmente a Palazzo Chigi in un aggiornamento della situazione che tiene conto anche delle alleanze tra diverse fazioni islamiche. E dunque in Kenya a far paura sono gli «al Shabaab» organizzazione affiliata ad Al Qaeda sin dal 2012 che ha già rivendicato numerose azioni anche contro obiettivi frequentati dagli stranieri e secondo gli analisti può contare addirittura su seimila guerriglieri. Il Cairo è una delle città inserite nella lista «nera» del ministero degli Esteri che «raccomanda di evitare i viaggi non indispensabili in località diverse dai resort situati a Sharm el-Sheik, sulla costa continentale del Mar Rosso, nelle aree turistiche dell’Alto Egitto e di quelle del Mar Mediterraneo» e più in generale evidenzia come «in Egitto si continua a registrare un clima che spesso sfocia in turbative per la sicurezza e in azioni ostili anche di stampo terroristico, situazione di cui ogni connazionale deve essere pienamente consapevole e pertanto elevata attenzione va mantenuta nei periodi dell’anno che fanno registrare maggiore afflusso di turisti stranieri». L’intera area del Maghreb viene ritenuta ad altissimo rischio. Non a caso la Farnesina rende esplicita, «di fronte all’innalzamento del livello di allerta terrorismo» la necessità di «osservare estrema cautela nelle grandi città ad elevata presenza turistica come Fez, Rabat, Marrakech, Casablanca e Salé». Ma anche spostandosi verso Oriente, in particolare in Thailandia si deve tenere conto che «una serie di quattro attentati (di cui due a febbraio di fronte ad un centro commerciale nel cuore della capitale ed al Tribunale di Bangkok e due il 10 aprile nel parcheggio di un centro commerciale sull’isola di Samui e in un grande magazzino nei pressi di Surat Thani) ha causato alcuni feriti e rende pertanto opportuno mantenere un comportamento improntato alla massima cautela soprattutto nei luoghi di maggiore frequentazione» [Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera 27/6]. ****** L’ALLARME DALLA LIBIA: TERRORISTI SUI BARCONI – A maggio il governo di Tobruk ha avvertito l’Europa sul rischio dell’arrivo di terroristi dello Stato Islamico (Isis) a bordo dei barconi di clandestini al fine di testimoniare la necessità di una rapida abolizione dell’embargo alle forniture di armi. Votato dall’Onu nel 2014 con la risoluzione 2174, l’embargo proibisce la vendita di armamenti alle fazioni in lotta in Libia ma Khalifa Haftar, capo di Stato Maggiore delle forze di Tobruk, ritiene che sia diventata una proibizione unilaterale: mentre Turchia e Qatar fanno arrivare navi di armi alle milizie islamiche di Tripoli, Europa e Usa non fanno altrettanto con Tobruk, dove si trova il governo legittimo. Il ruolo dell’Egitto L’Egitto sostiene la richiesta di Haftar e quando, la scorsa settimana, una delegazione di Tobruk si è recata a Washington, ha chiesto con forza «armi di ogni tipo e in fretta». La scelta di Haftar di colpire una nave turca in avvicinamento a Derna, porto nelle mani di Isis, sottolinea quanto Tobruk consideri pericolosi i rifornimenti via mare di Ankara. Se ora Abdul Basit Haroun, consigliere del governo di Tobruk, va oltre è perché percepisce la possibilità di ottenere dall’Ue il passo desiderato. La scelta degli europei di chiedere all’Onu l’autorizzazione ad una missione di polizia nel Mediterraneo viene infatti considerata da Haftar come l’annuncio di una nuova risoluzione sulla Libia e contro il terrorismo che potrebbe includere l’abolizione dell’embargo [Maurizio Molinari, La Stampa 18/5] ***** «L’ISIS SUI BARCONI? NO, MA ABBIAMO NAVI VECCHIE PER IL CAOS MEDITERRANEO» - Ha detto l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, capo di stato maggiore della MarinaSe io fossi un terrorista non sceglierei i barconi per approdare in Italia. Ci sono tanti modi per entrare nel nostro Paese, ma francamente intrufolarsi tra i migranti non mi sembra la scelta più saggia. Non puoi portare armi, sei sottoposto a controlli della polizia, visitato dai medici, isolato nei centri di accoglienza. Tutto può essere, ma io credo che qui non arrivano i terroristi, arriva chi scappa dai terroristi. Più si allarga l’area di influenza dell’Isis e più aumenta il flusso dei disperati. Noi portiamo soccorso con 5 navi schierate più o meno a 100 chilometri dalla costa libica». Poi, ancora: «Due anni fa, quando fui nominato capo di stato maggiore, spiegai alle commissioni Difesa di Camera e Senato che la nostra flotta è vecchia. Delle 60 unità, 50 andranno in disarmo a breve. Con minacce come l’Isis, con i conflitti interreligiosi fra musulmani e le migrazioni bibliche appare chiaro che, per la nostra sicurezza, serve una Marina adeguata. Per fortuna il Parlamento mi ha dato retta, sono stati stanziati 5,6 miliardi di euro. Abbiamo iniziato un programma di rinnovamento. In particolare, stiamo costruendo dei pattugliatori polivalenti». [Marco Nese, Corriere della Sera 9/6]. ***** DIECI I COMBATTENTI RIENTRATI DALLA SIRIA – Sono una decina i combattenti rientrati in Italia dopo essersi addestrati in Siria o in Iraq. Parte di un esercito di oltre 3.000 fondamentalisti tornati in Europa, potenziali «lupi solitari» che potrebbero entrare in azione per conto dell’Isis. «Soggetti pericolosi nei confronti dei quali c’è massima attenzione e strumenti per controllarli in maniera adeguata» ha assicurato a febbraio il capo della polizia Alessandro Pansa di fronte al Parlamento. L’allarme è al livello massimo, il prefetto lo conferma quando parla di «fattore di rischio molto più accentuato rispetto al passato, perché i teatri di guerra sono molto più vicini a noi e c’è una forte complessità dello scenario degli attori coinvolti». E poi disegna gli scenari, evidenziando la necessità di avere «più uomini da schierare sul territorio e non lasciarli a lavorare in ufficio» [Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera 26/2]. ***** 20 ANNI DI LOTTA AL TERRORISMO ISLAMICO IN ITALIA – Vent’anni di storia della lotta al terrorismo internazionale. Quasi 200 arresti, centinaia di fermi e perquisizioni. Dalla Sardegna alla Sicilia, dalla Lombardia al Veneto, all’Emilia e Campania. Passando naturalmente per Roma. A rileggere le informative del Ros dei Carabinieri o dell’Antiterrorismo, gli atti giudiziari o le sentenze colpisce favorevolmente la sintonia tra apparati di sicurezza e magistratura nella guerra che si è combattuta e si combatte ancora oggi contro un nemico terribile, il terrorismo di matrice islamica. C’era un tempo, gli Anni ’90, in cui anche in Italia iniziavano le prime retate di sospetti terroristi. Soprattutto algerini, soprattutto quelli legati al Gia, al Fis. La rete «Lounici» (che ritroveremo anche dopo l’11 Settembre). Con la scoperta, «rassicurante» da un certo punto di vista, che si trattava di cellule presenti in diversi paesi europei, comunicanti tra loro, «in rete», non solo attraverso il telefono ma anche attraverso gli incontri, i viaggi. E che utilizzavano l’Italia sostanzialmente per il procacciamento di falsi documenti, falsi permessi di soggiorno. Nel luglio del ’98 vengono arrestati a Brest, A Lione e in Italia un gruppo di sospetti terroristi algerini, della rete Takfir Wal Hijra. Uno degli arrestati in Francia Racconta: «Le armi le recuperavamo dalla criminalità organizzata locale, a Napoli». A Londra l’anno prima, il 30 settembre del 1997, a casa di Benabdel Hifid, sospettato terrorista algerino, viene trovato uno stock di documenti di identità in bianco, rubati a Napoli e Ancona. Scrivono gli investigatori del Ros nella informativa dell’operazione «Crociata», 26 maggio 1998: «Napoli è centrale nel settore del supporto logistico al terrorismo internazionale». Il rifornimento di documenti falsi è una costante che ritroveremo anche nei successivi anni, così come raccontano decine di inchieste giudiziarie. Anche se poi, progressivamente, abbiamo avuto nuove e diverse finalità operative di queste cellule: procacciamento di finanziamenti, invio nei campi di addestramento dei mujahiddin e poi al fronte. Dalla Bosnia all’Afghanistan, all’Iraq e ora alla Siria. A Bologna c’è una delicata e importantissima inchiesta, «Vento di guerra», con decine di indagati: «I rapporti del gruppo con altre cellule eversive presenti in Europa e in Italia – scrivono gli inquirenti bolognesi alla fine degli anni Novanta – nascono e si consolidano con la guerra in Bosnia». Contemporaneamente, siamo nel febbraio 1998, a Cremona c’è una inchiesta collegata a quella di Bologna, «Atlante». Nelle case di otto fermati vengono ritrovati video e filmati della guerra in Bosnia, «Scritti del noto finanziatore saudita Osama Bin Laden in cui si incitano attacchi ad obiettivi americani». E adesso, con le ultimissime indagini di queste ore dell’Antiterrorismo e della Digos di Milano, abbiamo avvertito per la prima volta la presenza in Italia dell’Isis, dello Stato Islamico, attraverso una (doppia) famiglia di convertiti italiani e di albanesi, foreign fighters già in Siria o in procinto di andarci. Anche questa storia dei foreign fighters mica è di oggi. Il 16 gennaio del 2014 viene arrestato al porto di Ancona, il francese Abdelkader Tliba, appena sbarcano da un traghetto salpato da Patrasso. Tornava dal fronte siriano e voleva rientrare in Francia, ma era ricercato per terrorismo. Naturalmente c’è un prima e un dopo. L’11 Settembre 2001 segna una cesura storica nella comprensione del fenomeno del terrorismo internazionale. Il 7 novembre del 2001 Ros, Carabinieri e Finanza perquisiscono gli uffici della Nada Management Organization e l’egiziano Yousef Mustafà Nada che è residente a Campione di Italia, sospettato dalla Procura di Lugano di finanziare Osama Bin Laden. È una svolta, prima ancora che giudiziaria quasi culturale nell’approccio con il terrorismo. Seguendo i soldi si troveranno i terroristi. E il dopo 11 settembre per noi è stata anche una stagione di batticuore, con decine di «sospettati», di magrebini arrestati perché volevano avvelenare l’acquedotto della capitale con il ferrocianuro di potassio, fare attentati al plastico. Magari erano progetti e basta. O sembravano tali. [Guido Ruotolo, La Stampa 3/7]. ***** IL CALIFFATO TRADUCE IN ITALIANO IL SUO MANIFESTO – A fine febbraio il Califfato ha tradotto in italiano il suo “manifesto” politico, sociale e religioso. Dal Fior da Fiore del 27/2: È un documento di 64 pagine, per la prima volta scritto nella nostra lingua, diffuso su web e rivolto ai residenti nel nostro Paese. Il manuale del jihadista intitolato “Lo Stato islamico, una realtà che ti vorrebbe comunicare”, contiene l’invito (che è una minaccia per il nostro Paese) ai musulmani di «accorrere» e aderire al «Califfato che conquisterà Costantinopoli e Roma». Il manuale spiega, tra attacchi a “maghi” e “stregoni”, fumatori e tossicodipendenti, il sistema di funzionamento dello Stato islamico: dal welfare, alle tecniche di guerra. A scovare su Internet il documento è stato il sito Wikilao. L’autore, che si firma Medhi, vuole mostrare come lo Stato islamico — sin qui, egli dice, conosciuto attraverso «i media accusatori» e «non tramite i media degli accusati» —, funzioni. Lo presenta con il volto “rassicurante” della quotidianità. Illustra come funzioni l’assistenza sanitaria, l’ordine pubblico e la giustizia, come si formano gli imam, come le transazioni siano regolate dalla nuova moneta (il dinar), come sia garantita l’alimentazione lecita religiosamente. Insomma, come lo Stato funzioni regolarmente. Elemento non secondario nella propaganda, perché la scommessa dell’Isis è rendere attrattiva l’esperienza. Vincendo le diffuse resistenze dei musulmani che hanno imparato, nella storia, che una cosa sono i principi della dottrina, altro la realtà che richiede continuo adattamento. “Mehdi l’italiano” vuole persuadere e indurre alla partenza verso lo Stato islamico. Nella convinzione che non solo la jihad ma anche il soft power in versione islamista può richiamare i muhajrun, coloro che emigrano per fede, al servizio del Califfato. ***** I SOLDATI ITALIANI NELLA MISSIONE ANTI-ISIS – Da inizio anno quasi 300 militari italiani con sette aerei e droni sono impegnati nella guerra contro lo Stato islamico, ma da quando sono schierati in Kuwait e in Kurdistan, sono diventati invisibili. La missione, che non prevede l’impiego dei mezzi in combattimento, ha un ampio consenso da parte delle forze politiche. Tuttavia, sui velivoli che sorvolano i territori occupati dallo Stato Islamico e sui consiglieri militari che addestrano i peshmerga curdi è calato il silenzio. Eppure l’operazione anti Isis che gli statunitensi hanno battezzato «Inherent Resolve» e gli italiani «Prima Parthica» (dal nome di una legione romana istituita nell’attuale Siria nel II secolo) è destinata a diventare la più impegnativa per le forze armate italiane, dopo il ritiro dei 700 militari dalla base afghana di Herat, previsto per l’estate. Entro pochi mesi il contingente italiano in Iraq conterà 525 militari, una forza seconda solo a quello dei nostri caschi blu in Libano (1.100 militari) e sullo stesso piano della presenza in ambito Nato in Kosovo (550 unità). I costi della missione, che comporta un considerevole sforzo logistico e impiega sette velivoli dell’Aeronautica, oltre a cinque o sei elicotteri, sono stimati intorno ai 150 milioni all’anno, quanto la missione libanese. Attualmente a Erbil, nel nord dell’Iraq, sono una sessantina i militari italiani arrivati tra dicembre e gennaio ospiti della locale base americana, ma sono attese decine di incursori delle forze speciali. Il completamento del contingente di 200 unità a Erbil e di 80 consiglieri militari assegnati ai comandi di Baghdad è rallentato dalla lentezza esasperante della burocrazia irachena nella concessione di visti e permessi. Pesano anche le difficoltà logistiche, visto che è necessario attendere che mezzi, elicotteri e materiali per la realizzazione della base italiana, arrivino via nave in Kuwait [Gianandrea Gaiani, Panorama 12/2] ***** «SIAMO A SUD DI ROMA» A metà febbario un video dell’Isis partito dalla Libia mostra i terroristi sgozzare 21 giovani lavoratori egiziani copti rapiti nei mesi scorsi. Le vittime, allineate sulla battigia davanti a una telecamera, indossavano tute arancioni. Un capo, dopo aver detto: «Ci avete visti in Siria, ma noi adesso siamo qui, a Sud di Roma», ha dato l’ordine, decine di miliziani hanno eseguito. Poi: «Avete buttato il corpo di Bin Laden in mare, mischieremo il suo sangue con il vostro. La salvezza per voi è un miraggio: ci combattete tutti insieme? E noi, insieme, vi prenderemo di mira».