Maria Pia Fusco, la Repubblica 11/7/2015, 11 luglio 2015
ADDIO ZIVAGO. MUORE A 83 ANNI OMAR SHARIF “LEGGENDA ARABA”DI HOLLYWOOD
ROMA
Da una parte entrò Peter O’Toole, dall’altra Omar Sharif, si avvicinarono al centro del palco e il pubblico esplose in una fragorosa standing ovation. Con tutti i segni del tempo addosso, i due attori conservavano il carisma che li aveva resi icone di bellezza degli anni Sessanta. L’occasione era il Festival del Cairo che rendeva omaggio a Lawrence d’Arabia , il film di David Lean che portò ai due attori la popolarità internazionale. Fu una delle ultime apparizioni pubbliche di Omar Sharif, che si è spento ieri in un ospedale del Cairo per un attacco cardiaco. Nel 1992 aveva subito un’operazione per un triplo bypass e, a maggio di quest’anno, il figlio Tarek El-Sharif aveva annunciato che il padre era affetto dal morbo di Alzheimer.
Omar Sharif era nato in Egitto, ad Alessandria, il 10 aprile 1932, figlio di immigrati libanesi di religione greco-melchita. Dopo essersi laureato in matematica e fisica, lavorò con il padre nel commercio di legname. Ma la prestanza fisica e l’intensità dello sguardo luminoso colpirono Yusuf Shahin, allora giovane regista e futuro maestro del cinema egiziano, che lo fece esordire sullo schermo in Lotta nella valle nel 1953. Fu l’inizio di una carriera che, soprattutto dopo l’interpretazione del principe del deserto in Lawrence d’Arabia , lo portò a girare il mondo affermandosi come la leggenda araba di Hollywood, ma anche come grandioso campione di bridge, un’altra delle passioni della sua vita. Una carriera di una settantina di titoli, fino all’ultima apparizione muta in Un castello in Italia di Valeria Bruni Tedeschi nel 2013.
Se Il dottor Zivago , ancora con David Lean, del 1965 resta la più famosa delle sue interpretazioni, il cinema ha offerto a Sharif personaggi epici in film come Gengis Khan il conquistatore o Pietro il Grande , nobili appassionati come il principe spagnolo che si innamorava di Sofia Loren in C’era una volta di Francesco Rosi. Solo accanto a Barbra Streisand nei musical Funny Girl poi Funny Lady le sue doti di maschio appassionato non erano vincenti.
La Streisand, insieme ad altre star, compare anche nel capitolo sull’intensa vita amorosa di Sharif. «Leggende. Ho avuto meno donne di tutti i miei amici. Le donne della mia vita oggi sono Pepita, la mia cuoca, e la mia segretaria che è con me dal ’68» disse nel 2003, in occasione della presentazione di Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano alla Mostra di Venezia dove vinse il premio del pubblico e gli fu assegnato il Leone d’oro alla carriera. Allora, ultrasettantenne, con il grigio un po’ imbiancato dei baffi e dei capelli, gli occhiali, evocava l’immagine di un distinto professore a riposo, ma il sorriso non aveva perso luce e intensità. «Ho avuto qualche sbandata della durata di un film, solo un paio di volte ho incontrato donne di cui avrei potuto innamorarmi ma sono scappato, amore significa una casa, qualcosa da costruire insieme, ma non potevo, ero sempre in giro per il mondo. Ho amato davvero solo mia moglie, Faten Hamama. Lei aveva 21 anni ed era una star, io 35 quando ci siamo sposati, ci siamo separati nel ’68, l’ho lasciata per non tradirla. Sapevo che in giro per il mondo non avrei resistito a qualche tentazione».
Per sposare Fatin Hamama, Sharif si convertì. «Io, figlio di cattolici osservanti, educato in scuole cattoliche, diventai musulmano. Mio figlio ha due figli, uno ebreo e uno musulmano. Voglio dire che per me non esistono differenze religiose, ho sempre creduto nella tolleranza», diceva. Non a caso una decina di anni fa si sparse la voce che il suo nome fosse nella lista nera di Al-Qaeda, sia per la sua tolleranza sia per aver interpretato San Pietro in un film per la tv italiana. La conversione all’Islam rafforzò la popolarità dell’attore in Egitto, un paese con il quale, pur avendo vissuto gran parte della sua vita all’estero, soprattutto in Francia, a Parigi e a Deauville – e per anni, una volta l’anno, un soggiorno a Padova, per un voto a Sant’Antonio fatto a sua madre – non aveva mai interrotto il legame e ne aveva conservato la cittadinanza.
Il cinema, le donne, il bridge – il suo nome è legato anche un gioco di bridge per computer ma anche il gioco come dipendenza. Sharif ha dilapidato fortune al casinò, per pagare i debiti accettava film di cui non andava fiero. Negli ultimi anni tutto questo era finito. «Come Vittorio De Sica era sempre in ritardo di un film, il guadagno di ogni film serviva a pagare debiti precedenti. Ho smesso tutto, anche il bridge, un tempo tra un torneo e un buon film sceglievo il torneo ma con l’età la capacità di concentrazione diminuisce, è difficile che un campione di bridge superi i 40, 50 anni. Forse ho buttato via tante occasioni ma ho vissuto la vita che volevo. Finalmente non sono più schiavo di nessuna passione».
Maria Pia Fusco, la Repubblica 11/7/2015