Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  luglio 11 Sabato calendario

IL DILEMMA DI ANGELA. EUROPA O GERMANIA?

Francoforte
All’ultimo comizio del 2013, alla vigilia del voto che le avrebbe consegnato il terzo mandato alla guida della Germania, Angela Merkel menzionò quasi en passant, per la prima volta in tutta la campagna elettorale, che l’unione monetaria è nell’interesse dei tedeschi.
Fino ad allora, per tutta la crisi dell’eurozona scoppiata nel 2010, e soprattutto dopo l’inasprirsi del caso Grecia, il cancelliere ha fatto invece della difesa dei soldi dei contribuenti tedeschi la principale bandiera delle sue politiche europee. Ora, nel momento finalmente decisivo della vicenda greca, la signora Merkel si trova di fronte a un dilemma che può segnare la sua carriera, a pochi mesi dal raggiungimento di un decennio in carica: continuare a difendere a oltranza questa bandiera, chiaramente la causa più popolare nell’opinione pubblica e nel suo stesso partito, o ricordarsi, e ricordare ai suoi interlocutori, che l’unione monetaria è anche nell’interesse dei tedeschi e salvaguardare un’idea di Europa, che fu dei suoi due predecessori con i quali viene invariabilmente, a volta impietosamente, comparata, Konrad Adenauer e Helmut Kohl. Un’idea della quale, lei cresciuta nella Germania dell’Est, non è mai stata eccessivamente innamorata, ma che, almeno fino a qualche tempo fa, era un peccato mortale della politica tedesca mettere a repentaglio.
Fin dall’inizio della fase più acuta della crisi greca, il cancelliere ha detto di voler tenere Atene nell’euro, seppure non a ogni costo. Il comportamento del Governo greco negli ultimi mesi ha alzato questo costo e soprattutto ha distrutto quasi completamente in Germania la fiducia che, anche una volta firmato un accordo per un terzo salvataggio, possa o voglia mantenere gli impegni. Tanto che persino il vicecancelliere Sigmar Gabriel, leader dei socialdemocratici alleati dei democristiani della signora Merkel nella grande coalizione, e inizialmente più aperto al dialogo con Atene, ha dichiarato senza mezzi termini che il premier greco Alexis Tsipras aveva «distrutto tutti i ponti con l’Europa».
Con la Grecia, il cancelliere tedesco aveva seguito la sua tattica classica, del passo dopo passo, del compromesso dell’ultimo minuto e sempre con la concessione del minimo indispensabile, una tattica che può avere aggravato la crisi. Ha fatto di tutto per evitare che la questione diventasse una faccenda bilaterale tra Germania e la Grecia e che si trasformasse, da problema tecnico, in un affare politico. Con una visita proprio questa settimana a tre Paesi dei Balcani (Albania, Serbia e Bosnia), e i sempre più frequenti contatti con gli Stati Uniti, ha mostrato di capire solo tardivamente che la Grecia è anche un serio problema geopolitico.
Sono stati chiaramente tutti errori di calcolo che in qualche modo la signora Merkel pagherà. Una copertina del settimanale “Spiegel” l’ha definita «la signora delle macerie», non solo della Grecia, ma anche dell’Europa. La maggioranza degli economisti e persino parte dell’establishment economico l’ha criticata pesantemente. Ma le conseguenze più serie possono essere fra i suoi stessi sostenitori: all’ultimo voto parlamentare sulla Grecia 29 deputati democristiani su 311 hanno votato contro, un centinaio ha detto di aver votato a favore “con riserva”. La reazione nel voto del Bundestag dal quale dovrà passare obbligatoriamente un eventuale accordo con la Grecia misurerà i danni inferti da questa crisi alla leadership del cancelliere, anche se l’ampia maggioranza garantita dalla coalizione con la Spd e l’appoggio dei Verdi non mette in dubbio l’approvazione parlamentare. Una rivolta che arrivi al centinaio di deputati sarebbe un fatto molto grave.
Molto è stato scritto nelle ultime settimane dei contrasti, anche duri, e mai in passato così espliciti, fra il cancelliere e il suo ministro delle Finanze, Wolfgang Schaueble, che già nel 2102 avrebbe voluto la Grecia fuori dall’euro e ha rivestito il ruolo del difensore delle regole che l’opinione pubblica tedesca si aspetta dal proprio Governo: tanto che la sua popolarità è addirittura balzata al di sopra di quella di Angela Merkel. Sarà Schaeuble, che, al contrario del cancelliere, ha una visione integrazionista dell’Europa, ma che riconosce il primato del capo del Governo e non ne ha mai sfidato la leadership, la chiave di volta della crisi interna. Appare tuttavia quanto mai improbabile ipotizzare che si metta alla testa di una fronda sulla quale stavolta l’ascendente personale del cancelliere eserciterà un effetto calmierante meno efficace che in passato. È possibile che, come spesso accade sulle questioni europee, l’opposizione interna più consistente venga dai cristiano-sociali bavaresi. E si tratta di un dissenso che, se contenuto entro certi limiti, potrebbe non venire del tutto per nuocere: potrebbe consentire infatti di riportare dentro le file democristiane una certa corrente di opinione anti-euro che nelle elezioni europee dell’anno scorso e in un paio di elezioni regionali si era riversata su Alternative fuer Deutschland (Afd), il nuovo partito che sta attraversando una crisi esistenziale con l’uscita del fondatore, l’economista Bernd Lucke, e una sterzata verso populismo e anti-immigrazione.
Per Angela Merkel, il caso Grecia è la prova più difficile. Ma sarebbe sbagliato sottovalutare, come spesso è stato fatto, la sua capacità di ritrovare la sintonia con l’elettorato. Anche se stavolta il contribuente non è più così convinto che i suoi soldi siano al sicuro. Se ci riuscirà, lo sguardo del cancelliere si punterà direttamente sulle elezioni del 2017.
Alessandro Merli, Il Sole 24 Ore 11/7/2015