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 2015  luglio 11 Sabato calendario

SREBRENICA, LUOGO DEL RANCORE E DELL’IPOCRISIA EUROPEA

Dopo vent’anni Srebrenica non è ancora un luogo di conciliazione. È un luogo di rancore mai sopito, di mancanze e indifferenze dell’Europa: nei confronti di una ex Jugoslavia che sarebbe rimasta abbandonata a se stessa se non fossero intervenuti gli Stati Uniti e la Nato. È un luogo di morte e impotenza, quella dei caschi blu olandesi che furono testimoni impotenti del massacro. L’Europa affondò vent’anni fa lungo le gole balcaniche scavate dal corso della Drina.
Nessuno dei Paesi e delle istituzioni rappresentate da coloro che oggi sono a Srebrenica a commemorare il massacro di 8mila bosniaci allora alzò un dito per evitarlo, neppure noi giornalisti che raccogliemmo le testimonianze dei disperati in fuga. E nessun racconto, per quanto macabro e lancinante, smosse le cancellerie europee.
Srebrenica ora è una città dalla tristezza opprimente, schiacciata tra la montagna e il fiume, un punto sulla carta di uno degli stati più piccoli d’Europa, la Repubblica Srpska, l’altra entità che insieme alla federazione croato-musulmana costituisce la Bosnia. Per far capire a chi appartiene questa terra, i serbi, vicino al memoriale di Potocarì, hanno cominciato a costruire una chiesa ortodossa. Qui non c’è nessuna conciliazione: la presenza dei serbi alle commemorazioni avviene soltanto perché i russi hanno messo il veto a una risoluzione dell’Onu che conteneva la parola genocidio. Il gioco della realpolitik continua sul sangue versato.
Le notizie del massacro di Srebrenica, così come quelle delle stragi precedenti, fecero apparire le guerre nell’ex Jugoslavia una sorta di proseguimento degli orrori della seconda guerra mondiale. «Stiamo ancora regolando i conti di allora», disse Milovan Gilas, storico dissidente, in un’intervista a Belgrado. Gilas morì quattro mesi prima di Srebrenica. Nei Balcani si liberarono istinti selvaggi su larga scala e l’Europa fu colta di sorpresa, così come era stata spiazzata dalla disgregazione dell’ex Jugoslavia, giudicata, dopo il crollo del Muro di Berlino, un evento quasi ineluttabile.
In realtà la Jugoslavia, primo Paese dell’Est ad affrontare l’era del post-comunismo, era stata abbandonata nel momento più delicato della transizione. L’Europa paga ancora il conto salato di questa indifferenza perché nel cuore di un’Unione sempre più incerta, i Balcani rimangono terre mobili, dal futuro oscuro. E la Russia, dopo l’Ucraina, qui è tornata per demarcare la nuova frontiera tra Est e Ovest.
Gli Stati Uniti e la Nato intervennero in Bosnia quando i Governi europei, disorientati e incapaci di agire, si trovarono in un vicolo cieco mentre le Nazioni Unite si coprivano di disonore, con i caschi blu che lasciarono trasformare le enclavi di Zepa e Srebrenica in cimiteri e fosse comuni. A Srebrenica fu lasciato di presidio un battaglione olandese, privo di ogni sostegno, che regalò pure 30mila litri di benzina al generale Ratko Mladic per deportare i prigionieri.
Nell’estate di vent’anni fa non fu l’Europa ma il presidente americano a prendere in mano la situazione, organizzando i raid della Nato e appoggiando la fulminea offensiva di terra dell’esercito croato contro i serbi. Fu Clinton, abbandonata ogni ambiguità, a spronare all’azione dopo la strage del 28 agosto al mercato di Sarajevo, per mille giorni sotto l’assedio dell’artiglieria serba.
Questi sono i fatti. Le conseguenze per questa Europa invertebrata sono state pesanti, ancora più ineluttabili della frantumazione della ex Jugoslavia. Le colse con analitica freddezza un commento di William Pfaff sull’Herald Tribune: «L’azione militare umiliava profondamente l’Europa dimostratasi incapace di approfittare dell’occasione di essere padrona in casa propria».
Con un’altra amara considerazione: Srebrenica doveva essere sacrificata per preparare la pace di Dayton, garanti due protagonisti dello sfacelo jugoslavo, Milosevic e Tudjman. Ora emerge che il massacro faceva parte della strategia delle grandi potenze – Usa, Gran Bretagna, Francia – per mettere fine al conflitto: la pulizia etnica di Mladic era il prezzo dell’accordo. Vent’anni dopo la vergogna di Srebrenica non è finita. Sarà interessante vedere se qualcuno oggi pronuncerà qualche parola di scusa. Ma sui sensi di colpa delle grandi potenze c’è assai da dubitare: un giorno qualcuno verserà lacrime di coccodrillo anche per l’Iraq, la Libia e la Siria.
Alberto Negri, Il Sole 24 Ore 11/7/2015