Tino Oldani, ItaliaOggi 11/7/2015, 11 luglio 2015
DUE O TRE COSE SUL PRIVATO DI BOLLORÉ (TELECOM), SUL SUO CARATTERE, SUI TRADIMENTI, LE BUGIE, E LE AMICIZIE POLITICHE IN FRANCIA E IN ITALIA
Che tipo è Vincent Bolloré, il nuovo patron di Telecom Italia? Della sua carriera di raider e di imprenditore di successo si sa parecchio, ma assai meno noto è il suo privato, i suoi metodi di lavoro, il suo carattere. Il banchiere Antoine Bernheim, che gli ha fatto da maestro, lo conobbe quando «Bollo» (così lo chiamano gli amici) aveva 30 anni, e rimase colpito dal suo temperamento mite, ma deciso. «Ha qualcosa di geniale», confidò una volta Bernheim agli amici, «una capacità di valutazione eccezionale, delle intuizioni, un senso acuto delle opportunità». Era il 1982. Da allora, mettendo a segno colpi sempre più clamorosi nella Borsa di Parigi (su tutti, la scalata al gruppo Bouygues, che gli fruttò una plusvalenza di 1,5 miliardi di franchi), Bolloré non ha fatto altro che confermare, con i fatti, le parole del maestro, al quale è rimasto legato per molti anni, ma non per sempre.
C’è un episodio che merita di essere ricordato. Nel 1999 Bernheim viene disarcionato dalla presidenza delle Generali di Trieste, e chiede aiuto a Bolloré. Il delfino acquista un pacchetto di azioni Mediobanca, diventa amico e alleato di Vincenzo Maranghi, allora amministratore delegato della banca di via Filodrammatici, azionista chiave di Generali, e nel 2002 Bernheim, ottuagenario, viene rinominato al vertice della società triestina. Sembra una presidenza a vita. Ma così non è, e nel 2010 Bernheim viene di nuovo disarcionato e sostituito con Cesare Geronzi, allora presidente di Unicredit. Ma questa volta Bolloré non corre in soccorso del vecchio maestro, perché è lui l’artefice del ribaltone: l’alleanza con Geronzi, e con l’allora amministratore delegato di Unicredit, Alessandro Profumo, serve a Bolloré per ridefinire gli equilibri interni a Mediobanca, dove conquista la vicepresidenza. Quando lo scopre, Bernheim si sente tradito dall’allievo prediletto. Una rottura vera, tanto che Bolloré, nel giugno 2012, non sarà presente ai funerali del maestro, celebrati a Parigi nella cattedrale des Invalides.
Per anni, la stampa francese ha definito Bolloré «un tombeur de dinasties», uno scalatore di imperi familiari, che non ha mai esitato a svuotare per procurarsi denaro fresco (con un patrimonio di 7,3 miliardi di dollari, è tra gli uomini più ricchi al mondo). Ma lui, tradendo una vocazione per le bugie, tipica nel mondo dei raider, ha sempre rifiutato l’accostamento agli squali della finanza, definendosi «un industriale che sa contare». Già, le bugie. Ne sa qualcosa Alain de Pouzilhac, ex presidente di Havas, uno dei maggiori gruppi pubblicitari al mondo. Nel luglio 2004, a sorpresa, riceve una telefonata da Bolloré, che lo informa della propria intenzione di acquistare un piccolo pacchetto di azioni di Havas, inferiore al 5%, senza alcuna intenzione di interferire nella strategia del management. «Penso che Havas sia sottovalutata», gli dice Bollo. De Pouzilhac si sente quasi onorato per il giudizio. Meno di un anno dopo, grazie a robusti acquisti in Borsa (ma sempre sotto l’obbligo di Opa), Bolloré è il nuovo dominus di Havas, e caccia de Pouzilhac con una buonuscita di 8 milioni di euro, salvo poi contestarla in tribunale, in una battaglia legale per abuso di beni sociali.
A Jean-René Fortou, ex presidente di Vivendi, è andata meglio che a de Pouzilhac. All’inizio, quando si accorge della scalata di Bolloré, prova a contrastarlo, proponendo un manager tedesco per la guida del gruppo. Ma Bolloré non accetta. Anzi, cede la presidenza di Havas al figlio Yannick, e assume lui stesso la presidenza di Vivendi (luglio 2014). Fortou china il capo, sta al gioco, e in cambio ottiene nientemeno che la nomina nel consiglio d’amministrazione delle Generali di Trieste, dove Bolloré è ormai di casa.
Come tutti i bretoni, Bolloré ha il culto della propria famiglia. Yannick, nominato presidente di Havas, è uno dei quattro figli avuti dalla prima moglie, Sophie Fossorier. In seconde nozze ha sposato Valérie Janneret, attrice e scrittrice. Appena può, riunisce familiari e amici nella casa paterna, dalle cui vetrate si vede la vecchia cartiera, costruita dal nonno e da un socio in riva al fiume Odet, cartiera di cui sta preparando la festa dei primi 200 anni, che scadranno nel 2022. È in questa casa che nel 2004 ha festeggiato la Légion d’Honneur. Ma la sua notorietà presso il grande pubblico francese non iniziò con quella onorificenza, tantomeno con le scalate di Borsa, bensì quando nel 2007 prestò il suo yacht Paloma a Nicolas Sarkozy, che aveva appena vinto la corsa all’Eliseo, e si era fidanzato da poco con Carla Bruni. Quotidiani e riviste dedicarono pagine e pagine alle foto del Paloma con a bordo Sarkozy e Carlà, e l’amicizia di Bolloré con il nuovo capo dello Stato, fino ad allora nota a pochi, diventò un tormentone sui giornali popolari.
Anche in Italia Bolloré ha stretto rapporti finanziari e politici ai livelli alti. Cesare Geronzi, intervistata da Fiorina Capozzi per il suo ebook, ricorda di averlo incontrato per la prima volta nel 2003: «Mai visto prima. Me lo mandava Silvio Berlusconi, al quale lo aveva presentato Tarak Ben Ammar, che è un valente produttore di opere cinematografiche. Non solo: introdotto da Sarkozy, Bolloré è andato a trovare anche Massimo d’Alema, allora ex premier, leader dell’opposizione, avendo anche da lui la benedizione per gli investimenti in Mediobanca». Il meno che si può dire, è che di quella benedizione Bolloré ha fatto tesoro. Ora, per sviluppare i progetti su Telecom, vuole incontrare anche Matteo Renzi. Che però, finora, si è negato. Ma la partita è solo ai preliminari.
Tino Oldani, ItaliaOggi 11/7/2015