Mariangela Pira, MilanoFinanza 11/7/2015, 11 luglio 2015
ORA IL RE È DAVVERO NUDO
[Intervista a Alberto Forchielli] –
Il re è nudo. Il mercato che aveva raggiunto livelli non giustificati dai fondamentali ha iniziato un declino sul quale il governo è dovuto intervenire. «Era un declino necessario, ampiamente atteso perché i mercati erano stati gonfiati da dichiarazioni che definirei quasi scellerate di esponenti governativi cinesi che avevano indotto a pensare che le riforme economiche future avrebbero portato a una crescita di utili e vendite irresistibili.
Poi alla fine, di fronte a multipli di 50 e 60, qualche investitore ha iniziato a fare speculazione facendo short selling sui titoli. Da qui una spirale che ha coinvolto 100 milioni di risparmiatori non educati, non preparati». Alberto Forchielli, presidente di Osservatorio Asia, spiega così lo scoppio della bolla sui mercati cinesi.
Domanda. Nell’ultima settimana di panico il governo ha preso molte decisioni, ma solo l’ultima si è rivelata efficace.
Risposta. Il governo si è giocato la credibilità perché di fatto ha intimato quasi con la forza di non vendere. La banca centrale è intervenuta, questo va sottolineato, per comprare titoli azionari. Mentre la Fed e la Bce per aiutare i mercati comprano bond a medio e lungo termine, la Pboc ha comprato azioni. Inoltre, a una serie di investitori è stato intimato di non vendere. Ma un mercato così rimane a livelli non sostenibili e giustificabili sulla base di nessun calcolo: il governo si è giocato la credibilità.
D. Perché non ha lasciato l’ultima parola al mercato?
R. Certo. Doveva aprire al mercato ma alla prima difficoltà è intervenuto d’imperio. Non ha lasciato al mercato la possibilità di aggiustare i corsi. E gli investitori internazionali, che per fortuna non sono coinvolti direttamente nei crolli che riguardano le A Shares, ora crederanno che è il governo a decidere quando si sale e quando si scende.
D. Eppure Pechino aveva messo in cantiere tutta una serie di riforme. E adesso?
R. Il rialzo degli ultimi due giorni non ha di certo ridato verginità a Shanghai e Shenzhen, piuttosto ne ha messo a nudo le pecche, proprio perché si è visto come le grandi riforme strutturali non siano ancora state avviate. La diminuzione del peso delle imprese pubbliche nell’economia e dello Stato nell’economia, uno Stato più capace di allocare le risorse. Di questo non si è visto nulla. Altra riforma vera era lanciare il mercato azionario come canale alternativo di finanziamento: su questo hanno strafatto. I soliti noti hanno realizzato cospicui guadagni e in mezzo ci sono 114 milioni di piccoli risparmiatori entrati quando il mercato era sopravvalutato, pagando il doppio o il triplo del valore reale dei titoli, che ora si trovano disastrati e con i risparmi deturpati.
D. È stata colpita la classe media secondo lei? C’è chi parla di malessere sociale come conseguenza di quanto accaduto in borsa.
R. La classe medio-piccola è stata toccata in parte: la borsa ha bruciato 3 mila miliardi di dollari e il pil cinese supera di poco i 10 mila miliardi. È stato perso più del consumo annuale delle famiglie cinesi. La rabbia si è scatenata soprattutto su internet e il bersaglio principale è il presidente della Csrc, la Consob cinese. Gliene dicono di tutti i colori. Il sito internet Weibo – il Twitter cinese – trabocca di commenti, minacce di morte, frasi come ci vedremo all’inferno.
D. Lo Stato ha però fatto capire che la colpa potrebbe essere degli investitori stranieri, colpevoli di speculare sulla Cina.
R. Qualunque cosa succeda in Cina viene imputata alle forze straniere che tramano. È tornata questa narrativa neo-maoista, ma non ci sta perché la borsa di Shanghai è domestica per il 97%.
D. Ci saranno effetti sull’economia reale?
R. Non c’è risposta, è una situazione nuova per tutti. Diciamo che il peso della borsa sul pil non è così elevato come negli Usa, quindi l’effetto povertà-ricchezza è più attenuato. Non c’è neanche l’effetto mutuo che in America pesa molto. I consumi sono il 35% del pil in Cina, mentre negli Usa sono il 70%. Da questo punto di vista tutto è sotto controllo, peraltro i consumi stavano già rallentando. Infine, le famiglie cinesi sono meno esposte di quelle occidentali sull’azionario.
D. Anche i titoli cinesi a Wall Street questa settimana hanno patito molto
R. È diminuita la fiducia nel sistema finanziario cinese. Sui tecnologici il listino di Shenzhen aveva multipli altissimi, 60 o 70. Ecco cosa succedeva: i cinesi delistavano le società quotate negli Usa per riquotarle in Cina. Una sorta di arbitraggio di multipli perché te le ricompravi a 100 ritirandole dal Nasdaq e quotandole a 1.000 a Shenzhen o a 700 a Hong Kong. Il grande giochino era delistarle e fare l’ipo in Cina. Ora sono costretti a fermare le ipo cinesi e – sottolineo – erano decine le operazioni in corso. Anche gli americani hanno capito che questi delisting sono ora irrealizzabili. Del resto era una roulette russa, prima o poi il proiettile sarebbe partito.
Mariangela Pira, MilanoFinanza 11/7/2015