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 2015  luglio 11 Sabato calendario

CHE FARE DOPO LA BOLLA

Per scacciare via il panico sullo stato delle borse cinesi basta una risata. «Ah ah, credi alla stampa occidentale?». Il commento apparso su Facebook è la risposta di uno dei milioni di piccoli investitori cinesi alla domanda se temere o no la bufera che nelle ultime quattro settimane si è abbattuta sui listini di Shanghai e di Shenzhen.
Tutto un mondo in pochi caratteri: i rapporti tra Pechino e l’Occidente; i timori di un possibile contagio (si veda articolo a pagina 16); la percezione che qualcosa nei mercati si stia per grippare, e tra le righe, la fiducia che il piccolo investitore d’oltre Muraglia continua ad avere sulla capacità del governo di tutelare gli interessi dei cittadini e la consapevolezza che, comunque, alla fine la dirigenza interverrà per evitare il peggio. E la cronaca di queste settimane sembra confermare le aspettative. Il crollo dei listini mercoledì 8 luglio, ultimo atto di una correzione di più del 30% dal 12 giugno, ha spinto la dirigenza cinese a intervenire in modo deciso, per non dire autoritario, riportando gli indici in territorio positivo. Il provvedimento considerato forse come il più incisivo è stato il richiamo della China Securities Regulatory Commission (Csrc), la Consob locale, affinché chi detiene quote superiori al 5% in una società mantenga inalterate le posizioni per i prossimi sei mesi. Allo stesso tempo, mentre oltre metà dei titoli dei due listini sono stati sospesi dalle contrattazioni, lo Stato ha indirettamente cominciato a iniettare liquidità nel mercato, non soltanto esortando le grandi aziende pubbliche a comprare, ma attraverso finanziamenti della banca centrale alla China Securities Financial Corporation, un veicolo statale che presta agli intermediari finanziari.
Non a caso il Financial Times lo ha definito un Quantitative easing con caratteristiche cinesi, nel quale la People’s Bank of China funge da compratore di ultima istanza. «Negli ultimi mesi il mercato delle azioni cinesi onshore (le cosiddette A-share) ha risentito di episodi di volatilità sia la rialzo sia al ribasso», sottolineano gli analisti di Fidelity, che comunque nonostante l’attuale fase ritengono che la Cina possa confermarsi anche per i prossimi anni «uno dei temi di investimento più importanti in un’ottica di medio e lungo termine». La fase iniziale di rialzo, ricordano, è stata favorita dalla spinta del governo intenzionato a incentivare la partecipazione degli investitori locali al mercato, che è stata poi sostenuta sia dall’apertura dello sportello unico tra le borse di Shanghai e Hong Kong, inaugurato lo scorso novembre, sia dall’indebitamento per l’acquisto di titoli a leva. Le autorità avevano un duplice scopo. Il primo era di favorire la crescita del mercato azionario ancora poco sviluppato rispetto alla forza economica della Cina. La seconda ragione era quella di deviare gli investimenti dal mercato immobiliare a rischio bolla. «Dall’inizio del rally la scorsa estate fino al recente picco di un mese fa, i prezzi azionari cinesi sono più che raddoppiati, Questo movimento è sembrato sempre molto sospetto, dato che l’attività economica è rimasta indirizzata su una tendenza ribassista», ha commentato Hans Bevers, economista di Petercam Iam.
L’analista sottolinea inoltre l’attenzione data dalla stampa ufficiale all’attrattività dei listini, mentre il governo era alle prese con il ribilanciamento dell’economia. «In pratica, i leader cinesi hanno interpretato la crescita dei prezzi azionari come una prova del successo della loro strategia, senza peraltro astenersi dal sottolinearlo», continua Bevers, «Inoltre, il fatto che nello stesso momento il mercato immobiliare fosse in difficoltà ha contribuito a spostare i risparmi sui listini azionari. Tutti questi elementi, in combinazione con la prospettiva di una maggior apertura del conto capitale e di una più grande rappresentazione dell’azionariato cinese negli indici globali, hanno alimentato una bolla speculativa».
La crescita del mercato onshore iniziata a metà del 2014, nota ancora Fidelity, è stata trainata oltre che dall’entusiasmo degli investitori privati, dalla politica monetaria espansiva adottata dal governo. Dallo scorso novembre infatti, la People’s Bank of China ha tagliato per quattro volte i tassi d’interesse e per tre volte in cinque mesi ha rivisto al ribasso il coefficiente di riserva obbligatoria per le banche, così da sostenere la crescita economica in frenata.
Le prime correzioni, sottolinea la società d’investimenti, sono iniziate a giugno, e hanno riguardato, tuttavia, «alcuni titoli più speculativi e con bilanci poco brillanti che erano stati fra i principali beneficiari della fase rialzista di aprile e che avevano raggiunto in quel periodo valutazioni eccessive rispetto ai loro fondamentali». La seconda ondata di vendite è invece legata all’attuazione delle misure per contenere il margin financing, con il conseguente contraccolpo legato alla chiusura di buona parte delle posizioni a leva.
L’attivismo del governo è stato visto da molti commentatori come una sorta di peccato originale. L’ha scritto ad esempio il settimanale economico finanziario Caixin, nel ricordare che in un mercato in salute sono gli investitori a decidere se comprare o vendere. Al contrario per quanto riguarda le A-share le decisioni prese dall’alto disturbano l’andamento dei prezzi, fanno in modo che tutti gli investitori abbiano le stesse aspettative e gli spingono a muoversi tutti nella stessa direzione, senza fare troppa attenzione al valore delle azioni. «Le autorità cinesi che hanno gestito molto bene il successo economico degli ultimi decenni e che, in Cina e nel resto dell’Asia, sono considerate infallibili in materia di gestione economica e finanziaria, ora stanno perdendo rapidamente la loro credibilità», è il giudizio di Marteen-Jan Bakkum.
Per l’analista di NN Investment la correzione del 30% dopo il rialzo di oltre il 150% in un anno e «l’incapacità del governo di fermare l’emorragia» hanno sollevato dubbi non soltanto sui rischi del sistema finanziario ma anche «sull’efficacia di coloro che stabiliscono le politiche monetarie in Cina».
Trascorsi 12 mesi in rally una correzione come quella che si è vissuta nelle ultime settimane «di per sé non dovrebbe essere un problema». Anzi, era «inevitabile e necessaria». Infatti il problema è aver cercato di fermare la correzione. «Tutto questo accade ne momento meno adatto, proprio quando la politica di allentamento degli ultimi trimestri dovrebbe iniziare a produrre risultati», aggiunge Bakkum che enfatizza anche un problema «forse ancora più grande». Il governo dovrà infatti rimandare il piano di conversione del debito in scadenza con nuove e consistenti ipo. Le nuove quotazioni già avviate sono tuttavia state sospese per evitare ulteriori scossoni. L’indebitamento pertanto «continuerà ad accelerare, il che significa che la pressione sulle banche continuerà ad aumentare».
Il giudizio è in parte condiviso da Thomas Gerhardt di Edmond de Rothschild Asset Management, critico sul tentativo di Pechino di governare i listini cercando di mantenere un clima positivo per i titoli e allo stesso tempo di contrastare la speculazione. «La vecchia idea dello Stato che controlla tutto non funziona sul mercato azionario. Si rivela controproduttiva perché gli investitori hanno bisogno di stabilità e l’ultima cosa che vogliono è vedere titoli sospesi dalle contrattazioni ed essere costretti a vendere o comprare».
Resta da capire se la sfiducia che sembrano nutrire gli analisti sia condivisa anche dall’esercito di 90 milioni di piccoli investitori cinesi, molti dei quali oggi insultano il numero uno della Csrc, Xiao Gang. O se questi al contrario preferiranno farsi una risata.
Andrea Pira, MilanoFinanza 11/7/2015