Massimo Brambilla, MilanoFinanza 11/7/2015, 11 luglio 2015
DOVE PORTA IL BIVIO GRECO
«Comprendo bene il significato politico e sociale del risultato del referendum, mister Tsipras. Ma lei deve comprendere altrettanto bene che, nel caso in cui il suo governo non giunga a un accordo con l’Unione Europea in tempo utile per scongiurare il mancato rimborso alla Bce previsto per lunedì 20 luglio, la Grecia sarà abbandonata monetariamente a se stessa: l’impossibilità di far fronte all’immediato rimborso di tutti i bond greci che abbiamo in carico ci costringerà infatti a bloccare automaticamente qualsiasi altra eventuale iniziativa monetaria a vostro sostegno.
Le banche, anche volendo, non potranno riaprire fino a quando non avranno una moneta da intermediare (la nuova dracma, ndr). Dunque anche volendo, e le assicuro che vorremmo, non potremo far più nulla per voi».
Questo potrebbe essere il resoconto della telefonata di qualche giorno fa tra Mario Draghi, presidente della Bce, e Alexis Tsipras, premier greco dallo scorso 25 gennaio con il mandato elettorale di negoziare i minori sacrifici possibili con i creditori internazionali. La strumentazione a uso politico è stata immediata da parte di Syriza, il partito di governo Syriza. «Non cederemo al ricatto della Ue», ha tuonato, sollevando l’indignazione dei principali esponenti dell’Unione Europea. Perché non si tratta di un’estorsione, ma semplicemente di un inevitabile drammatico epilogo, stanti gli automatismi normativi che scatterebbero: la Bce si troverebbe infatti costretta, suo malgrado, a congelare l’assistenza monetaria nei confronti del sistema bancario della Grecia.
Lo ha sottolineato a metà settimana Jeins Weidmann, presidente della Bundesbank, ammonendo l’Eurotwer di astenersi da qualsiasi aumento dell’Ela, il canale di emergenza con cui la Bce sta tenendo in vita gli istituti ellenici, fino a quando non ci sarà un accordo con l’Ue. «Le banche centrali devono mostrare dove arrivano i loro limiti», ha affermato Weidmann durante una conferenza stampa, «e deve essere limpido che la responsabilità su ulteriori aiuti alla Grecia ricade sugli Stati, non sul consiglio direttivo della Bce». La conseguenza, immediata e automatica perché scatterebbe in base a norme precise, sarebbe la privazione definitiva di ulteriore moneta (euro) nei confronti di Atene, a partire dall’inevitabile incapacità di sborsare i 3,5 miliardi di euro dovuti alla Bce lunedì 20 luglio. La Grexit, descritta nella tabella pubblicata in questa pagina, avverrebbe quindi in un solo modo: disordinato e veloce ovvero caotico e traumatico per il Paese che la subisce e molto doloroso per gli altri Stati, che ne subirebbero le conseguenze finanziarie.
Lo stesso istituto centrale di Francoforte ha lasciato chiaramente intendere che non esiste alcun piano monetario che possa favorire un’uscita ordinata della Grecia dalla moneta unica. «L’unico piano di emergenza di cui siamo a conoscenza è quello ventilato da Junker», ha riposto un portavoce dell’Eurotower interpellato mercoledì 8, confermando l’impotenza della Bce in assenza di un accordo politico tra Atene e l’Ue. Il piano di emergenza dell’Unione Europea prevede infatti aiuti di tipo umanitario che sarebbero indispensabili alla popolazione greca in caso di Grexit: la successione degli eventi finanziari, economici e sociali descritti nella tabella, su cui si trovano d’accordo esponenti tecnici di Bankitalia, sarebbe infatti molto veloce e drammatica, accelerando il collasso dell’economia già iniziato due settimane fa con la chiusure delle banche (che ha rapidamente deteriorato il pil del 2015 atteso in Grecia, ora visto ancora in flessione del 3%), obbligando il governo ad adottare una nuova moneta nel tempo più breve possibile, al massimo entro due o tre mesi, con tutte le pesantissime ricadute del caso.
Il dramma in cui cadrebbe rapidamente la Grecia in caso di Grexit, costituito da un generalizzato dell’impoverimento della popolazione accompagnato da disordini sociali, iper-inflazione e caduta libera dell’economia (il pil è tornato già ora al livello di 15-20 fa, un quarto in meno rispetto al massimo del 2009), è in grado di ammorbidire senza dubbio anche le posizioni greche più intransigenti nei confronti dei sacrifici di bilancio chiesti dai creditori internazionali, anche in considerazione del fatto che un assaggio di questo dramma c’è già stato nelle ultime due settimane di chiusura delle banche, una serrata che ha messo in ginocchio il settore manifatturiero. La decisione di avanzare richiesta formale all’Esm per un terzo piano triennale di aiuti, giunta martedì 7 al fondo salva-Stati europeo (l’Fmi aveva individuato qualche giorno prima un fabbisogno di 70 miliardi di euro), associata alla manovra di bilancio da 12-13 miliardi di avanzo primario in più in due anni (2015 e 2016) a beneficio della sostenibilità del debito pubblico già in essere, di cui 240 miliardi sono stati sottoscritti dalle istituzioni europee e dall’Fmi, costituisce la base di discussione di questo week-end cruciale: da un lato l’Ue e la Bce stanno infatti decidendo se la richiesta del terzo bailout avanzata all’Esm, lecita per quanto riguarda il fine di stabilità dell’Eurozona, sia sostenibile per gli anni a venire in relazione allo stock di debito pubblico già esistente (nell’ordine del 180% del pil), alle prospettive dell’economia e alla manovra di bilancio appena definita dal governo Tsipras; se sarà valutata come sostenibile, cosa su cui ha espresso forti dubbi l’Fmi in mancanza di una ristrutturazione del debito pubblico in essere (spingendo per un haircut, che però sarebbe contrario ai trattati europei, come sottolineano le istituzioni tedesche, propense al massimo ad allungare ancora la scadenza e a ridurre i tassi d’interesse come effettuato nel 2012), allora l’intesa sarà concretamente a portata di mano, salvo la valutazione finale da parte del parlamento di Atene delle condizioni poste dai creditori a salvaguardia della solvibilità e salvo il via libera da parte del Parlamento tedesco a trattare il nuovo accordo sulla base delle conclusioni messe sul piatto dalle istituzioni europee.
La formalizzazione dell’intesa, ratificata da Atene, consentirebbe alla Bce di riattivarsi per dare il via libera alla riapertura degli sportelli bancari (chiusi fino a tutto lunedì 13) nel più breve tempo possibile. Si tratterebbe dell’intervento più urgente, seguito a un giorno o due di distanza dalla riapertura del mercato azionario e di quello obbligazionario. Gli sviluppi successivi indicati nella tabella riguardano lo scenario più ottimistico relativo ai 2-3 anni successivi all’accordo: da un lato la Grecia dovrà attuare concretamente, nei tempi previsti, le riforme proposte; dall’altro ci si augura che i sacrifici di bilancio non si rivelino più tali da soffocare la crescita economica pur di assicurare il corretto rimborso nel tempo del debito contratto. Molto dipenderà anche dal grado di ristrutturazione degli impegni che verrà concordato in questo fine settimana, pena il rischio di dover rivivere la stessa vicenda nel prossimo futuro al prezzo di un debito che si farà ancora più elevato.
I listini azionari europei, così come avevano fatto fino all’inaspettato esito del referendum greco, sono tornati nelle ultime tre sedute ad attribuire la maggiore probabilità allo scenario positivo, recuperando integralmente la sensibile perdita di terreno dei primi due giorni della settimana appena conclusa, quanto la doccia fredda del «no» referendario aveva fatto pendere la bilancia a favore della Grexit, colpendo parzialmente anche i titoli di Stato periferici: lo spread Btp-Bund ha sfiorato i 200 centesimi nell’apertura di lunedì 6, inducendo la Bce all’intervento immediato di sostegno utilizzando il Qe, sostegno che comunque non ha evitato alle banche di Piazza Affari di subire un gran flusso di vendite. Un eventuale scenario positivo aprirebbe ancora un agevole spazio di crescita dei corsi azionari fino al massimo dell’anno, dove si trovavano prima del ciclone greco, anche se il sentiment sull’economia di Eurolandia e le turbolenze provenienti dalla Cina potrebbero giustificare nel breve quotazioni un po’ più contenute. In ogni caso lo spread Btp-Bund in ulteriore contrazione verso quota 100 favorirebbe gli istituti di credito italiani.
Massimo Brambilla, MilanoFinanza 11/7/2015