Danilo Taino, Corriere della Sera 11/7/2015, 11 luglio 2015
LA LEZIONE CHE NON VA SPRECATA
La tentazione sarebbe sostenere che il referendum di domenica scorsa in Grecia è stato irrilevante. La vittoria è stata schiacciante per i No ma ha prodotto il risultato per il quale hanno votato i Sì: Alexis Tsipras ha presentato ai creditori una proposta quasi identica a quella che aveva invitato gli elettori a rifiutare. Sarebbe però parziale fermarsi a questo. Il referendum e la successiva kolotoumba di Tsipras – così chiamano i greci la capriola – sono stati devastanti dal punto di vista economico e potrebbero rivelarsi un errore fatale dal punto di vista politico.
Sui mercati si fanno calcoli di ogni genere, in queste ore. Uno – sviluppato per esempio da Hugo Dixon di BreakingViews – stima che le scorse due settimane abbiano distrutto il 4% del Prodotto interno lordo greco e peggiorato il deficit pubblico del 2% del Pil: la chiusura delle banche, decisa in conseguenza della convocazione del referendum, ha congelato l’economia. Visti su tempi un po’ più lunghi, gli effetti della stagione di Syriza al governo sono questi: a novembre, prima delle elezioni del 25 gennaio, il Fondo monetario internazionale prevedeva che la Grecia sarebbe cresciuta quest’anno del 2,9%; ora, i calcoli che vanno per la maggiore indicano una caduta del Pil nel 2015 del 3%; 6 punti percentuali in meno.
Atene è tornata alla casella di partenza, ma con un’economia che a fine anno scorso dava segni di ripresa e oggi è in netta recessione. Sul piano politico, la convocazione e la gestione del referendum hanno avuto due effetti. Innanzitutto, hanno molto irritato gli altri 18 Paesi dell’eurozona: se nel mezzo di una trattativa cerchi la prova di forza, significa che non vuoi più essere un partner ma un avversario - è stato il ragionamento di molti, in Germania ma non solo. Sul piano interno, l’inutilità della mobilitazione di domenica scorsa presenterà il conto, piuttosto prima che poi probabilmente.
Il referendum e lo scontro che ne è seguito hanno reso tutto più difficile. Riaprire le banche sarà un’impresa, in qualsiasi modo vadano i vertici dei prossimi giorni per decidere un nuovo piano di aiuti ad Atene o la sua uscita dalla moneta unica: anche nel caso di un accordo, avrebbero bisogno di un’immediata e massiccia immissione di liquidità da parte della Banca centrale europea per rispondere alla domanda dei cittadini tenuti a 60 euro al giorno per due settimane. I controlli sui movimenti di capitale resteranno probabilmente a lungo, fino a che la situazione non si sarà stabilizzata. Il costo di rimettere sulle proprie gambe l’economia ellenica e di riportare i conti pubblici sotto controllo è a questo punto molto maggiore di quello che era anche solo tre settimane fa. Infine, la sfiducia dei membri dell’eurozona nei confronti del governo greco è così alta che, anche di fronte al programma più rigido immaginabile, molti politici, soprattutto nel partito di Angela Merkel, sono convinti che comunque Tsipras non rispetterà gli impegni: ragione per la quale non sarà facile convincerli a sostenere un accordo e un alleggerimento del debito ellenico.
«Mai permettere che una buona crisi vada sprecata» - dicono gli anglosassoni. Per quanto il referendum greco sia stato una sventura, è ormai storia passata: l’Europa ha vissuto una grande lezione, in qualsiasi caso non la può sprecare.