Valentina Della Seta, il Venerdì 10/7/2015, 10 luglio 2015
LA GIOVENTÙ CHE FU BRUCIATA
ROMA. È del 26 giugno la sentenza della Corte Suprema che ha sancito il diritto al matrimonio per le coppie dello stesso sesso in tutti gli Stati Uniti. Poco più di un mese prima, il 22 maggio, l’Irlanda aveva raggiunto un risultato simile con un referendum popolare. «Sono quasi sicuro che se facessimo il referendum anche in Italia vincerebbe il sì» dice lo storico Giovanni Dall’Orto. Nato nel 1956, militante, giornalista e direttore del mensile Pride dal 2000 al 2008, Dall’Orto ha appena dato alle stampe il saggio Tutta un’altra storia. L’omosessualità dall’antichità al secondo dopoguerra (Il Saggiatore). Dove spiega come le cose non siano sempre andate in questo modo. «Mi sono occupato della vicenda del matrimonio omosessuale nei secoli» spiega. «È una storia molto semplice: se ci provavi, ti uccidevano».
Come nel caso che Dall’Orto riprende da Matrimoni omosessuali nella Roma del tardo Cinquecento di Giuseppe Marcocci (Quaderni storici, 2010), un caso annotato da Michel de Montaigne nel suo diario di viaggio il 18 marzo 1581. Montaigne sente parlare di alcuni portoghesi che usavano riunirsi qualche anno prima nella chiesa di San Giovanni a Porta Latina. «Costoro si sposavano maschio con maschio con una messa, con le stesse cerimonie con cui noi celebriamo i nostri matrimoni, facevano la comunione assieme, leggevano lo stesso Vangelo nuziale, e poi andavano a letto e abitavano assieme» scrive. E poi aggiunge: «Furono bruciati otto o nove portoghesi, di questa bella setta». L’episodio era stato riportato anche in un dispaccio del 2 agosto 1578 dell’ambasciatore veneziano a Roma Antonio Tiepolo, ma per molto tempo, fino alle ricerche di Marcocci nell’Archivio di Stato a Roma (gli storici papali avevano fatto letteralmente carte false per far passare l’idea che si trattasse di una congrega di marranos, ebrei spagnoli e portoghesi convertiti a forza che si riunivano per celebrare riti ebraici, e non di sodomiti), si era creduto si trattasse di una leggenda urbana.
Il libro di Dall’Orto restringe il proprio campo di azione alla storia della omosessualità maschile in Occidente ed è il risultato di trent’anni di ricerche. Si tratta probabilmente di uno dei primi lavori di questo tipo in Italia.
Un po’ perché i gender studies (che sono stati introdotti nelle università negli anni Settanta e Ottanta dalle femministe e non hanno niente a che vedere con l’ideologia gender, invenzione degli omofobi) hanno trovato spazio nel mondo accademico italiano da pochissimi anni. E poi, forse, anche perché Dall’Orto ripercorre la storia degli amori tra maschi nei secoli usando un punto di vista abbastanza inedito. Come spiega nella prefazione: «Molti saggi provenienti dal mondo accademico si concentrano su ciò che hanno detto giudici, inquisitori, preti, psicoanalisti, psichiatri, moralisti, dottori, disinteressandosi di cosa pensassero le loro vittime. Ma in questo modo si fa la storia dell’omofobia».
La parola vittime non è inadeguata: si tratta di una storia che nel libro comincia con la pioggia di fuoco descritta nell’episodio biblico di Sodoma e Gomorra (in cui, fa notare Dall’Orto, si narra anche la storia di un eterosessuale che si ubriaca e genera dei figli con le proprie figlie), passa per i roghi del 1200 e 1300 e arriva allo sterminio dei gay pianificato e messo in atto dai nazisti negli anni Trenta del secolo scorso, accennando anche alle persecuzioni sistematiche praticate nei confronti degli omosessuali negli anni del dopoguerra negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Ma da sempre, sostiene lo storico, c’è stata forse anche più consapevolezza e autodeterminazione di quanta non ne vogliano vedere coloro che chiama invenzionisti. E che sostengono, a cominciare da Foucault, che l’omosessualità in quanto tale sia un’invenzione moderna, della fine dell’Ottocento. Per dirla nel modo più semplice possibile: se non sai darti un nome, un’identità, allora non esisti. Oppure, se ti dai un’identità, si tratta di un cosa fittizia, creata dalla società e dai medici per esercitare un potere sulla tua vita privata.
La parola omosessualità, scrive Dall’Orto, è stata usata per la prima volta dal letterato ungherese di lingua tedesca Karl-Maria Benkert (in ungherese Károly Mária Kertbeny), pioniere del movimento di liberazione omosessuale. Kertbeny lavorava come traduttore per lo zoologo Gustav Jäger e scrisse un capitolo sull’omosessualità per il suo libro La scoperta dell’anima del 1878. Il capitolo venne poi lasciato fuori, ma il neologismo Homosexuälitat rimase. Venne ripreso poco dopo dal medico austriaco Richard von Krafft-Ebing, che lo adottò nella sua enciclopedia delle perversioni Psychopathia sexualis (1886), per poi finire negli articoli dei giornali che verso la fine del secolo si occuparono di una serie di scandali a tema omosessuale. Come il caso Krupp del 1902, dal nome dell’industriale dell’acciaio tedesco, tra gli uomini più ricchi e potenti dell’Europa dell’epoca, che aveva lasciato moglie e figlie in Germania per andare a curarsi con l’aria di Capri, diventando protagonista di una serie di festini con i giovani dell’isola (anche se lo scandalo fu montato, come spesso accade, per motivi finanziari e politici).
Ma il primo a parlare di omosessualità in prima persona, a metterci la faccia, a fare il primo coming out, era stato il giurista tedesco Karl Heinrich Ulrichs, che in una lettera alla famiglia parla di uranismo e terzo sesso. La data è del 28 novembre 1862: «L’uranismo e l’ermafroditismo non sono assolutamente sintomo di malattia. Come voi, gli uranisti e gli ermafroditi fioriscono come le rose e sono sani come i pesci nell’acqua...». Il 29 agosto 1869 Ulrichs prese la parola al congresso dei giuristi tedeschi a Monaco per proporre una risoluzione che chiedeva l’abrogazione delle leggi antiomosessuali in tutta la Germania.
Ulrich non fece in tempo a vedere i risultati del suo sforzo, ma c’è da dire che, prima dell’avvento del nazismo, Berlino era la città più friendly d’Europa, dove si pubblicavano cinque riviste a tema gay e aprivano decine di bar per soli uomini o sole donne. Si trattò di un’intera generazione spazzata via da Hitler.
Il movimento gay come lo conosciamo oggi ha come data di nascita simbolica la notte tra il 27 giugno e il 28 giugno del 1969, quando gli omosessuali di New York si ribellarono all’incursione della polizia nel bar di Stonewall.
A fare le barricate davanti allo Stonewall Inn furono gli stessi ragazzi che avevano manifestato contro la guerra del Vietnam e che erano scesi in piazza a fianco dei neri nella battaglia per i diritti civili.
È interessante fare un confronto tra la situazione dell’Italia e degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti avevano leggi contro l’omosessualità che durante gli anni del maccartismo si erano fatte ancora più dure. Furono i tempi del cosiddetto lavender scare (il panico lavanda), in cui gli omosessuali furono trattati come un pericolo per la sicurezza del Paese. In Italia la storia è completamente diversa. La legge, dall’epoca umbertina fino a dopo il fascismo, non si è occupata mai di omosessualità.
Nei primi anni Sessanta, come racconta Dall’Orto sul suo sito, ci sono state tre proposte di legge da parte del Movimento sociale per introdurre misure anti-gay. Ma la Democrazia cristiana si è opposta. Dopotutto, per fare una legge contro qualcosa bisogna prima ammetterne l’esistenza. In Italia sembra che non sia ancora successo, tant’è che non si è riusciti a far passare nemmeno la legge contro l’omofobia: «La storia è come un fiume» dice Dall’Orto, «può andare in varie direzioni e a volte impantanarsi. Per andare avanti abbiamo bisogno di riflettere sul passato dal quale veniamo».
Valentina Della Seta