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 2015  luglio 09 Giovedì calendario

RUBY TER, BORSETTE COME ARMI DEL DELITTO

Una conferenza stampa in grande stile, come per la cattura di un boss mafioso. Al centro però non ci sono ‘ndrine e delitti di sangue, ma le ragazze di via Olgettina. Come per l’inizio delle indagini, quando il procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati convocò la stampa il 23 gennaio 2014, così la chiusura dell’inchiesta Ruby ter il 30 giugno è stata annunciata dinanzi a block notes e microfoni. Il capo è sempre Bruti Liberati che, dopo la sconfessione del teorema del suo aggiunto Ilda Boccassini, con l’assoluzione definitiva di Silvio Berlusconi nel processo Rubygate, non esitò a denunciare «attacchi vergognosi» contro la pm della direzione distrettuale antimafia di Milano. Senza spiegare però perché proprio a lei avesse affidato un fascicolo che non trattava di mafia ma di marocchine e bunga-bunga. Ecco che ci risiamo.
Primeggia l’espressione contrita dei funzionari in toga, pagati dai contribuenti italiani ed estenuati dopo mesi d’indagini sulle frequentatrici di Arcore. E su un tavolo è esposto il corpo del reato, the «body of evidence». Nella schiera di borse griffate e bijoux, Chanel vince su tutti: gli esemplari con la doppia C sono molti e variegati, in versione argento e oro, con o senza catenina, più qualche pochette per gradire. Le giornaliste si segnano gli estremi identificativi di questo e di quel modello, magari a fine mese me la compro. Toh, c’è pure una più morigerata borsa Celine; ma guarda, il portafoglio Louis Vuitton è identico al mio. Tra i gioielli spiccano un paio di orecchini perlati, da grande soirée, collocati su un doppio righello, base per altezza, per centimetrare l’oggetto, sullo sfondo la duplice scritta: «Polizia scientifica». Lo stesso righello misura le borse, nemmeno fossero proiettili: sulle dimensioni non si può sgarrare. Non è una barzelletta, niente è inventato. E i giornalisti, a capo chino, prendono appunti.
Sembra di essere a un bazar, qualcuno vorrebbe lanciare un’asta. Ma poi si torna seri, siamo pur sempre al cospetto della Procura di Milano. A sentire i titolari dell’inchiesta, Berlusconi avrebbe pagato fino a 10 milioni di euro, 7 solamente a Ruby, per comprare il silenzio dei testimoni. Le cifre rimbalzano allegramente da una testata all’altra, peccato che allo stato dell’arte manchino rogatorie e riscontri. Stando alle carte dell’inchiesta, depurate da chiacchiere e fantasticherie, i numeri sono diversi. A Karima el Mahroug, Ruby, sarebbero andati forse 800 mila euro: un sacco di soldi, ma meno di alcune altre ospiti di Arcore.
Ma la consistenza delle accuse non importa a nessuno, l’importante è spararla grossa, lo sputtanamento è assicurato. La corazzata delle Erinni che si coalizzano su whatsapp come sindacato delle mantenute a vita non desta particolare scandalo. L’orgia giudiziaria, che ha già deliziato gli amanti del genere con decine di udienze a colpi di trenini, lap dance e toccamenti lascivi, riprende a tambureggiare dalle colonne del Fatto quotidiano che pubblica un articolo a tutta pagina dal titolo: «Berardi: Lo misi in quel posto a B. Mi disse fai piano». Non è una barzelletta, niente è inventato. È il giornalismo anatomico by Marco Travaglio.
Lettere mai spedite, diari privati, perfino «progetti di romanzo» che descrivono vite sfrenate tra capricci e vizi proibiti: somigliano alle briciole di pane disseminate dalle giovani fanciulle, presunte vittime del «Drago», per segnare il percorso agli inquirenti.
E se la verità fosse un’altra? Stando alle carte, ancor prima della sentenza definitiva di assoluzione Berlusconi interrompe bonifici e contatti con molte delle questuanti abituate, già prima dell’inchiesta, a essere lautamente gratificate. Su questo ognuno può farsi l’opinione che vuole, ma è un fatto che l’ex premier abbia utilizzato i soldi propri e non quelli delle istituzioni.
Con il passare dei mesi le richieste delle ragazze, distrutte professionalmente e nell’immagine pubblica, diventano più pressanti. Il Cav sa che la situazione è cambiata a causa dei processi in corso e che la sua liberalità potrebbe essere fraintesa. Sa anche però che la Procura di Milano ha dotato quelle ragazze di un’arma formidabile: il ricatto. Contrariamente a quel che si vuole far credere, anche se le «Olgettine» in qualità di testimoni avessero descritto nel dettaglio qualche festino hard ad Arcore, Berlusconi sarebbe stato ugualmente assolto. Perché Milano non è Riad, e ognuno può sollazzarsi come vuole (sottoponendosi eventualmente a un giudizio morale, ma non penale). E difatti in Cassazione l’ex premier è stato assolto perché l’accusa non è riuscita a dimostrare la concussione né la consapevolezza della minore età di Ruby.
Poi, certo, se ti chiami Silvio Berlusconi, non puoi chiudere i rubinetti da un giorno all’altro. Le persone della cui compagnia ti beavi sono state lapidate mediaticamente per il solo fatto di aver accettato i tuoi inviti. La sindrome dell’abbandono può trasformarle in serpi. Così, sfogliando le carte senza pregiudizio accusatorio, senza il desiderio di lavare l’onta per l’assoluzione che ha sconfessato il teorema, un dubbio sorge. E se la verità fosse un’altra? E se invece il presunto corruttore avesse cercato di difendersi da potenziali invenzioni che in un’aula di tribunale avrebbero gettato altro fango nel processo che non doveva mai iniziare? Ché poi il nodo sta tutto qui: il processo che non doveva mai iniziare.