Andrea Pira, MilanoFinanza 9/7/2015, 9 luglio 2015
LA BORSA DEL DRAGO È NEL PANICO
Non dovesse bastare l’ordine impartito dall’alto alle grandi aziende pubbliche cinesi di non vendere titoli delle controllate quotate, ma anzi di comprarne, è arrivato anche il divieto ai soci di riferimento delle società quotate di vendere parte delle loro quote. Nel mercoledì nero dei listini della Cina continentale e di Hong Kong, l’autorità cinese di regolamentazione dei mercati ha infatti stabilito che gli investitori che detengono oltre il 5% di una società non potranno cederne azioni per i prossimi sei mesi.
Ciononostante, l’ondata di vendite che sta scuotendo le borse d’Oriente non accenna a fermarsi, né stanno sortendo effetti gli interventi messi in campo dal governo e dalla banca centrale di Pechino per arginare la caduta dei listini, che nelle ultime tre settimane hanno perso circa il 32% contro i rialzi del 150% dell’ultimo anno.
Al contrario, per alcuni commentatori la mano governativa non ha fatto che peggiorare la situazione. Ieri l’indice Composite di Shanghai è crollato del 5,9% a 3.507,19 punti e il Csi 300 è sceso del 6,8%. Così come in rosso ha chiuso Shenzhen, a -2,5%. Pesante tonfo anche per l’Hang Seng di Hong Kong, che a fine giornata aveva lasciato sul terreno il 5,8% e spinto il segretario alle Finanze, Chan Ka-keung, a chiedere «tranquillità» agli investitori, esortati a tenere a mente i rischi del mercato. La giornata è stata contraddistinta da nuove sospensioni di massa. I listini di Shanghai e Shenzhen sono ormai dimezzati. I titoli sospesi sono il 51%, ossia 1.429 società su 2.808 quotate.
Ma secondo i calcoli del sito Quartz sono appena il 22% i titoli ancora scambiati, mentre decine di sospensioni volontarie si registrano anche a Hong Kong. E tra queste anche pezzi da novanta come il colosso petrolifero Sinopec. «Il mercato è nel panico e le vendite irrazionali sono in aumento», ha commentato il portavoce della China Securities Regulatory Commission, la Consob cinese, «per riportare la situazione alla normalità continueremo a stabilizzare il prezzo delle blue chip e aumenteremo le acquisizioni nelle piccole e medie imprese». La banca centrale si è pertanto mossa per fornire di liquidità la China Securities Finance Corporation, un veicolo direttamente legato all’autorità di controllo della borsa, pronto a investire in direzione contraria a quella del mercato e che ora punterà non soltanto alle principali società dei listini ma anche a quelle di piccola e media capitalizzazione. Lo stesso strumento ha inoltre approvvigionato le società di intermediazione finanziaria con fondi pari a 38 miliardi di euro per sostenerle nell’acquisto di titoli. Intenzionata a seguire le indicazioni di Pechino è anche la Central Huijin Investment, società d’investimento controllata dal fondo sovrano cinese Cic. Così come le grandi aziende di Stato, istruite al riguardo dall’Amministrazione per il controllo delle società pubbliche. I pericoli dello scoppio della bolla azionaria cinese stanno a questo punto scalzando quelli legati all’ipotesi di uscita della Grecia dall’euro nelle preoccupazioni degli operatori «Riteniamo che la crisi greca non sia più importante di altre questioni che riguardano i mercati finanziari come la politica monetaria degli Stati Uniti e la crescita cinese», commentano gli analisti di Investec AM. Ad accusare i contraccolpi a Piazza Affari sono stati i titoli del lusso. Tod’s e Ferragamo hanno perso rispettivamente il 3,71% e l’1,97%. Yoox che in mattinata era riuscito a contenere le perdite, ha chiuso in positivo a +2,14%. Mentre Brunello Cucinelli e Geox, sebbene meno esposte a livello fatturato al mercato cinese, hanno lasciato il 2,62% e il 2,02% rispettivamente. Intanto nel bel mezzo della tempesta, il presidente Xi Jinping a Ufa, in Russia, per il summit dei Brics e dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, ha incassato l’apprezzamento di Vladimir Putin. Il leader del Cremlino, ha spiegato il suo portavoce Dmitri Peskov, è convinto che la dirigenza cinese abbia la capacità di regolare le fluttuazioni del mercato valutario.
Ma sull’opportunità di un intervento del governo è la stampa cinese a nutrire dubbi, sia nelle componenti più liberali che in quelle più nazionaliste. Per il settimanale economico Caixin, l’azione di Pechino sarebbe giustificata solo in caso di pericolo per la stabilità finanziaria. Secondo la rivista, le autorità di vigilanza sono andate oltre le proprie competenze. Le azioni volte a spingere soprattutto i piccoli investitori, la maggioranza sui listini cinesi, a evitare comportamenti irrazionali rischiano in realtà di convincerli del fatto che il governo sarà pronto a qualsiasi cosa per tutelarli. Gli interventi del potere centrale diventano quindi un ostacolo al regolare funzionamento del mercato. Sulla stessa linea è il Global Times, quotidiano che si caratterizza come portavoce delle posizioni più oltranziste della dirigenza cinese. «Il governo non può fare da baby sitter alle borse», titolava nei giorni scorsi. Molti investitori, scriveva, sono convinti che l’esecutivo tollererà un mercato zoppicante, ma sarà pronto a intervenire per evitare il peggio. Convinzione che ha contribuito a fare andare tutto fuori controllo.
Andrea Pira, MilanoFinanza 9/7/2015