Antonio Spadaro, Wired 9/7/2015, 9 luglio 2015
IL PAPA OLTRE LA TV
Per il Papa la telecamera non esiste. Francesco non è un Papa televisivo. L’unico obiettivo al quale si è dimostrato davvero sensibile è quello dello smartphone, accettando di registrare video fatti con un iPhone, prestandosi a selfie con giovani che lo avevano vicino o facendo videochat private. In ogni caso un obiettivo che sta in tasca, o comunque personale. In realtà questa è la conseguenza del fatto che lui non si rivolge mai a una massa. Certo, vede che davanti a sé a volte c’è tanta gente. Durante la messa a Manila c’erano circa sette milioni di persone, dicono le cifre ufficiali. Tuttavia il Papa non gratifica la massa: saluta a volte freneticamente i singoli, i volti. Resta colpito da questo o da quello. Neanche nelle Filippine ha alzato lo sguardo a contemplare la folla, ma ha sempre cercato i volti dei singoli fedeli. Spesso desidera salutare bambini e malati, ma anche loro non in massa con gesti ampi, ma uno per uno. Per questo la sua gestualità non è mai da platea, ma da incontro. Una volta mi ha detto riguardo al Brasile: «Per me è stato un miracolo: io non sono abituato a parlare davanti a folle, ma a tu per tu o a gruppi che stanno in una chiesa». Gli eventi per lui non sono teatrali. E non sono neanche televisivi. E allora perché l’obiettivo si posa volentieri sui suoi gesti, sul suo corpo che si china fino a piegarsi e a perdere l’equilibrio? Perché amplifica facilmente l’immagine di un contatto individuale. Così ciascuno può sentire quella carezza o quel sorriso rivolto a sé. C’è un rispecchiamento, una dinamica di immedesimazione. È come se la telecamera rilanciasse i suoi gesti personali, trasformandoli in gesti rivolti a ciascuno di noi.
Per sua stessa ammissione il Papa non capisce nulla di televisione, perché non la guarda dalla metà degli anni ’90. A Sarajevo, rispondendo a una domanda, ha spiegato: «La televisione mi alienava e mi portava fuori da me, non mi aiutava. Certo, io sono dell’età della pietra, sono antico». Tuttavia è consapevole del fatto che «il tempo è cambiato: viviamo nel tempo dell’immagine». Il risultato è che il suo non è un linguaggio che intende essere televisivo, anzi prescinde del tutto dalla televisione. E tutto si concentra nel gesto personale. Questo lo avvicina e differenzia da Giovanni Paolo II, grande comunicatore vissuto negli anni più televisivi di sempre: gli Ottanta, il postmoderno di mezzo. Giovanni Paolo II, cultore della densità della parola poetica, modellava il gesto al ritmo della parola. Era la parola che faceva fiorire il gesto e il ritmo. La Sony ha registrato un cd in cui sembra che il Papa canti. E invece parla. L’immagine televisiva registrava dunque ritmo del parlato che aveva in sé una dimensione teatrale, naturalmente pubblica.
Per Francesco è il contrario: è il gesto, l’azione, che sprigiona la parola e la plasma. A volte persino portandolo ad annullare un discorso già pensato e a improvvisare. Prima viene il gesto a tu per tu. La telecamera deve intrufolarsi in questo “tu per tu” rendendolo pubblico: questo il suo compito. Più un microscopio che un teleobiettivo.
A volte poi Bergoglio avverte una distanza emotiva tra il testo che ha preparato e ciò che sente di voler dire sul momento. E dunque improvvisa, magari facendo ricorso a un traduttore. Ma c’è una oralità radicale della parola di Bergoglio: la lettera, la corrispondenza, la parola scritta per essere cercata, deve portare con sé le radici dell’oralità quotidiana. La televisione dunque non può più riprendere la «solennità» esteriore semplicemente perché non c’è. Il senso del sacro televisivo si abbina a una figura abituata alla prossimità ordinaria, a paramenti liturgici estremamente sobri, persino a un pastorale rotto e incollato con il nastro adesivo, come abbiamo visto a Sarajevo. Eppure in questa estrema sobrietà non solo non traspare sciatteria, ma vi è una eleganza semplice e convincente perché reale, non artefatta o posticcia, non rococò. La sfida per la telecamera è dunque molto impegnativa. Non è chiamata a registrare un evento comunicativo o scenico, ma una semplice presenza perché, in fondo, il Papa resta sempre se stesso sia che parli davanti a dieci persone sia che vada in mondovisione. La prova a Sarajevo il 6 giugno: i giovani, uno per uno, gli rivolgono alcune domande e sono posti dietro le sue spalle sul palco. Davanti ci sono le telecamere e i giovani presenti all’evento che vogliono vederlo. Il Papa parla al microfono e subito si scusa dicendo: «Scusate le spalle, ma non riesco a rispondere a una persona senza guardarla in faccia». E noi, pubblico e telecamere frontali, siamo rimasti là a vedere il Papa di spalle perché lui doveva rispondere a quel ragazzo lì.
— ANTONIO SPADARO