Notizie tratte da: Enrico Deregibus # Francesco De Gregori. Mi puoi leggere fino a tardi # Giunti 2015 # pp. 351, 16,50 euro., 9 luglio 2015
Notizie tratte da: Enrico Deregibus, Francesco De Gregori. Mi puoi leggere fino a tardi, Giunti 2015, pp
Notizie tratte da: Enrico Deregibus, Francesco De Gregori. Mi puoi leggere fino a tardi, Giunti 2015, pp. 351, 16,50 euro.
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Nasce il 4 aprile 1951 a Roma.
«Quando sono nato ero molto grasso» (Francesco De Gregori).
Figlio di Rita Grechi, fiorentina, insegnante di lettere alle scuole medie, e di Giorgio De Gregori, romano, dirigente bibliotecario, figlio e nipote di bibliotecari.
Ha un fratello più grande di sette anni, di nome Luigi (come il nonno paterno), bibliotecario (come il padre e il nonno).
Il fratello è anche cantautore con il nome di Luigi Grechi. Sua, per esempio, Il bandito e il campione.
«Da parte di padre ho antenati piemontesi. Vercelli, credo. Qualche goccia di sangue nobile. Per questo motivo qualcuno ancora mi chiama il Principe. È un modo per pigliarmi in giro».
Lo zio di Francesco De Gregori, anch’egli di nome Francesco, comandante della Osoppo, brigata partigiana di azionisti e cattolici, il 7 febbraio 1945 fu ucciso a Porzus da un gruppo di partigiani guidati dal gappista comunista Mario Toffanin. Insieme allo zio di De Gregori c’era Guido Pasolini, fratello di Pier Paolo Pasolini.
Fino al 1958 De Gregori visse a Pescara perché il padre era stato nominato soprintendente bibliografico per l’Abruzzo e il Molise.
Primo ricordo musicale: Vola vola, canzone dialettale abruzzese, scritta da Luigi Dammarco negli anni Venti. «Me la cantava mio padre quando ero piccolissimo facendomi ballare sulle ginocchia».
La mamma lo chiamava Fiammiferino: «Perché prendevo sempre fuoco».
Nel 1958 il trasferimento a Roma. Va ad abitare in via Arati, Monteverde Nuovo.
«Mai stato un ribelle. Se un maestro, un professore, diceva di fare una cosa, la facevo subito senza discutere».
Con il padre cominciò a cantare le canzoni degli alpini durante le gite in montagna: «Con lui ho imparato a fare i controcanti con le terze».
Ragazzino, uno dei suoi idoli era Gianni Morandi: «Mascherandomi da cantante, replicavo i pezzi in camera mia. Di lui mi rapivano esuberanza e bellezza. Mi facevo prestare i soldi dai miei e correvo a vedere i suoi film con Laura Efrikian».
Il primo strumento suonato: un’armonica a bocca. Se ne faceva regalare una nuova a ogni compleanno. Poi impara a suonare la chitarra del nonno: la prima canzone che ci fa è Il ragazzo della via Gluck.
Segue gli studi del fratello iscrivendosi al liceo classico “Virgilio” di Roma. «Mia madre pensò bene di mandarmi a scuola con i calzoni corti, dai quali sbucavano due ginocchi già abbastanza pelosi. Ed era il mio primo impatto con la scuola mista; fino a quel momento avevo vissuto in un mondo di maschi. La professoressa di matematica mi prese subito in giro per quei pantaloni corti». Tornato a casa pretende che gli comprino i pantaloni lunghi: «Mi scocciava di aver dovuto affrontare le donne per la prima volta nella mia vita in una condizione di minorità».
Il fratello Luigi è il rockettaro della famiglia: è lui a comprare il giradischi. Francesco, invece, preferisce De André e odia la musica inglese e americana.
Al liceo va bene, soprattutto tra 15 e 16 anni.
Per un paio di anni è tifoso dell’Inter.
Diventa comunista, come il fratello Luigi, mentre in famiglia erano di estrazione moderata. Però non va ai cortei: «Solo un paio di volte, mi imbarazzava il rituale, i pugni chiusi, il canto di Bandiera rossa».
Ama leggere i fumetti di Topolino e Paperino: «Mi piace tutta la categoria dei Paperi, stirpe anarcoide».
Ancora liceale fa il venditore di enciclopedie per la Rizzoli: «Quando riuscivo ad ammollare tre anni di rate a uno di questi poveretti mi vergognavo. Lavorai tre mesi e alla fine mi dettero centomila lire».
I primi innamoramenti, «sempre inespressi, sopiti, offerte di accompagnamenti alla fermata dell’autobus...».
Compone le prime canzoni nel 1967: «Delle grosse scimmiottature di De André, fatte anche abbastanza male. La mi aprima canzone in assoluto parlava di uno che saliva al Colosseo per avere i soldi perché era disoccupato, solo che poi scivolava e moriva». Titolo: Antonio Caputo.
Intanto il fratello Luigi (uno dei pochi in Italia a saper suonare nello stile fingerpicking) con lo pseudonimo di Ludwig, si esibisce con repertorio di canzoni folk americane al Folkstudio. Ci porta anche Francesco: «Mio padre e mia madre non erano molto contenti, perché mio fratello ci faceva le tre, le quattro di notte».
A 17 anni il primo concerto al Folkstudio, di domenica pomeriggio, davanti a una quindicina di persone: «Avevo le dita congelate e non presi un accordo giusto sulla chitarra; a metà di Buonanotte Nina per l’emozione mi venne un groppo in gola e mi dovetti fermare e ricominciare. Qualcuno in mezzo al pubblico cominciò a tossicchiare, io diventai rosso e in qualche modo arrivai alla fine e scesi dal palco convinto che mai più avrei accettato di salirci». Invece ci torna. Compenso: 1.000-1.500 lire, che spende quasi tutte nel bar accanto al locale.
«Finché sono stato sotto il controllo dei genitori portavo i capelli cortissimi; poi cominciai a farli crescere, però avevo i capelli ricci, allora me li facevo stirare dal parrucchiere. Questa è la ragione per cui adesso perdo i capelli».
«Invidiavo i capelli lisci di De André ma poi la capigliatura di Dylan mi riconciliò con me stesso».
Nel 1968 la prima vacanza da solo con gli amici, in Inghilterra: «Gli inglesi che avevamo conosciuto ci consigliavano di passare la sera in discoteca; io non capivo, pensavo che fosse un negozio di dischi. Ci misi più di una settimana a capirlo. Al Piper di Roma c’ero stato una volta sola e non mi era piaciuto. Mi davano fastidio il rumore, il fumo e l’aria di fighettame che c’era intorno».
De Gregori si diploma con 42 sessantesimi. Bene gli scritti, male l’orale (gli chiedono Fichte).
All’università sceglie Lettere e Filosofia alla “Sapienza”. L’impatto negativo: «All’inizio finii in braccio a Marcuse. Sociologia, Ferrarotti, Statera. Si parlava male degli storici, di chi studiava le differenze tra le rivoluzioni francese, americana, russa; l’importante era studiare come la rivoluzione andasse fatta».
Al Folkstudio arriva un giovane in eskimo e barba curata: Antonello Venditti. Lo soprannominano Toshiro perché dicono che somigli a un samurai. Diventa amico di De Gregori, che ricorda: «Con lui si stava bene, era simpatico e sicuramente aveva qualcosa di geniale».
La prima canzone incisa su disco, nel 1971, Signora Aquilone, composta un paio di anni prima: «Non somigliava a niente. Non c’era più De André, che avevo imitato fino all’estenuazione nei miei tentativi precedenti, e non c’entravano le canzoni popolari o quelle politiche che erano un po’ il background nel quale mi muovevo al Folkstudio. Apparteneva solo a me e l’avevo scritta da solo con un inchiostro tutto mio: sentivo che era una canzone importante e che ci sarei rimasto aggrappato». Al Folkstudio dicono che faccia innamorare le donne.
I Giovani del Folk, quartetto costruito nel 1971 da Francesco De Gregori, Antonello Venditti, Ernesto Bassignano e Giorgio Lo Cascio. Le loro esibizioni recensite favorevolmente da l’Unità: «Un gruppo di ragazzi che, con le loro canzoni e ballate, vogliono esprimere nuove tradizioni e nuovi temi musicali, fuori da un circuito commerciale e di consumo».
Il 23 maggio 1971, primo concerto solista De Gregori. Il critico dell’Unità si ammala e non va. Però Ernesto Bassignano lo chiama al telefono per raccontargli com’è andata, facendogli comunque fare il pezzo. De Gregori imbestialito quando legge che il titolo Signora Aquilone è stato storpiato in Signora Piloni.
Paolo Pietrangeli, collaboratore di Fellini per girare Roma, chiese a De Gregori se voleva partecipare a un film del regista. «A Fellini avrei portato l’acqua con le orecchie. Lo incontrai a Cinecittà, dietro la scrivania. Professionale e informale: “Ciao, cammina un po’”. Poi fa a Pietrangeli: “Ti avevo detto che lo volevo magrolino, basso e bruno. Tu mi porti questo bel ragazzo alto e biondo, cosa me ne faccio?”».
Nel 1971 De Gregori e Venditti vengono invitati a fare una serie di concerti in Ungheria a spese della federazione giovanile del Partito Comunista. Scarrozzati in una grande auto con autista, li facevano esibire sei volte al giorno in fabbriche, miniere, scuole e tv. In una fabbrica incontrarono una poetessa che pretese di declamare Il fanciullino. Racconta Venditti: «Io e Francesco eravamo lì sul palco, sotto la bandiera italiana: non ci dovevamo guardare altrimenti ci scappava da ridere. E lei si innamorò pure di De Gregori, non voleva mollarlo. Poraccio, ha sofferto tanto».
Francesco De Gregori e Antonello Venditti a maggio 1972, su decisione della casa discografica “it” fanno un disco insieme: si intitola Theorius Campus. Dodici canzoni, sei per ciascuno. La registrazione avviene in una sola settimana. Diverse versioni sul titolo. Venditti parla di Alexis Theorius Campus, un personaggio di fantasia con la barba che suona l’organo. De Gregori dice di aver inventato lui il titolo, senza significato. Vendite: praticamente inesistenti.
Luciano Ligabue è tra coloro che acquistarono Theorius Campus: «A dodici anni ho capito che c’era qualcuno che poteva fare le canzoni in modo diverso, erano i cantautori. Ha cambiato la mia percezione».
La prima apparizione televisiva per promuovere Theorius Campus, nel programma Tutto è pop, condotto da Vittorio Salvetti. De Gregori e Venditti si presentarono vestiti da autisti del primo Novecento, con cappelli e occhialoni, alla guida di una Ford di cartone. De Gregori: «Nella trasmissione dominava l’antesignano del trash. Per esigenze di copione i nostri colleghi erano stati travestiti. Chi da cow boy, chi da paggio del Settecento. Io e Antonello avremmo dovuto rappresentare l’avanguardia. Alla fine optammo per il costume meno devastante».
Alla casa discografica piaceva di più Venditti che De Gregori. Quando per il primo viene organizzata una presentazione a Milano, al Teatrino dietro Galleria Del Corso, De Gregori ci va, si infila in un palco e sfascia tutte le lampadine.
De Gregori, rinunciando ai diritti e alla paternità, ha scritto le parole della Canzone di Geppetto («Com’è triste l’uomo solo / che si guarda nello specchio»), cantata da Nino Manfredi nello sceneggiato televisivo Le avventure di Pinocchio, regia di Luigi Comencini.
Luigi De Gregori, fratello di Francesco De Gregori, durante un’esibizione stringe amicizia con Fabrizio De André. Gli parla del fratello, che lo ammira molto, e alla fine glielo presenta, una sera che quello si esibisce al Folkstudio. Per l’occasione s’inventa una versione della Guerra di Piero, ribattezzata La cacca di Piero. De André apprezza.
Per il disco Alice non lo sa la casa discografica pensa di far fare gli arrangiamenti a Nicola Piovani: «Andai a casa sua, al ghetto, a Portico d’Ottavia e glielo chiesi. Ma non accettò, mi disse che non gli interessava o forse non credette al progetto».
Alla conferenza stampa per la presentazione del disco Alice non lo sa: «Mangiai molti tramezzini e bevvi ancora più bicchieri, poi mi misi sul divano per rispondere ai giornalisti. Uno mi chiese qual era il mio tipo di donna ideale: risposi che mi piacevano gli uomini. Forse non ero stato abbastanza spiritoso io o forse non lo fu lui, ma lo scrisse. E il giorno dopo mio padre lo lesse. Un brutto momento».
Un pomeriggio a Ponza, mentre gli amici fanno il bagno, De Gregori si mette sotto un pergolato e scrive due canzoni in due ore. Una è Niente da capire, l’altra Bene.
A un certo punto De Gregori passa dalla casa discografica it alla Rca. Racconta Paolo Dossena che era presente: «Aveva paura di firmare con una major, per di più americana e legata al Vaticano. Quell’incontro è stata una cosa terrificante. A un certo punto abbiamo sospeso e siamo andati a pranzo insieme. E lì Francesco, che era teso, emozionato, si è ubriacato. Fatto sta che siamo tornati in ufficio e al momento della firma ha iniziato a vomitare. Io questa cosa la trovo carinissima: la major lo faceva veramente vomitare».
De Gregori nella casa sarda di De André, per comporre musica e scrivere canzoni. La prima moglie di De André, Puny Rignon, a un certo punto dovette partire. Quando rientra, trovando cambiato lo stile del marito, gli disse: «Bene! Ho lasciato un Fabrizio De André e mi ritrovo con due De Gregori».
Una volta doveva partecipare alla trasmissione Qualcosa da dire, con Cino Tortorella vestito da Mago Zurlì. A un certo punto decide di andarsene: «A farmi fuggire fu l’atteggiamento del Mago. Quando lo inquadravano con i bambini era svenevole, ma dava l’impressione di non sopportarli. Feci per andarmene, ma sulla porta fui fermato dalla segretaria di uno degli autori: “Stia attento, il dottore se la legherà al dito”. “Per me se la può legare al...”».
Rimmel, l’album più venduto del 1975. Resta sessanta settimane in classifica, lo acquista almeno un italiano su cento.
De Gregori disapprova Venditti che scrive una canzone sulla squadra di calcio della Roma.
Il Circolo Ottobre, struttura culturale di Lotta Continua della Magliana a Roma, gli chiede di partecipare a una serata. Per loro aveva già fatto un concerto gratis: gli sembra giusto chiedere un cachet. Quelli non lo pagano, lui non suona. Il giorno dopo il quotidiano in un corsivo in prima pagina: «Dovete sapere che alla festa della Magliana dovevano venire, e non sono venuti, Lucio Dalla (assente ingiustificabile), Cochi e Renato (pare giustificabili) e Jannacci (perché era malato). È venuto invece, compiendo un pericoloso viaggio da Roma centro alla periferia di Roma, tale De Gregori, pare celebre, il quale ha chiesto quattrocentomila lire per esibirsi e ha preso quattrocentomila pernacchie».
Iscritto a Filosofia, dovrebbe laurearsi in Storia Contemporanea. Tesi sulle biblioteche popolari del fascismo con Renzo De Felice, «un uomo delizioso, il contrario del barone. Disponibile, puntuale, attento ai suoi allievi. Ne ho un bellissimo ricordo, con il toscano sempre in bocca, mentre parla e talvolta balbetta». De Gregori, però, non si laurea.
«Studiare con De Felice mi ha reso familiare la figura di Mussolini. Mi ha trasmesso una sorta di affettuosità verso il Duce. Mi sono come abituato a quest’uomo, dalla straordinaria intelligenza e dalla straordinaria capacità di doppiezza. Sono consapevole di quanto fosse privo di scrupoli morali, non lo sento né amico né consonante. È un personaggio dalle diecimila sfaccettature, che in certi momenti appare come un eroe shakespeariano».
Su Muzak il direttore Giaime Pintor scrivendo di De Gregori: «Una poetica ermetica, dell’intuizione lirica, è una poetica tendenzialmente idealista, dunque di destra, arretrata negli anni Settanta, dunque incapace di rispecchiare tensioni, di farsi portatrice di valori positivi e rivoluzionari».
Nel 1976 i concerti dopo l’uscita di Bufalo Bill. A Pavia spuntano fuori i contestatori che salgono sul palco e fanno una specie di comizio. Concerto finito, De Gregori nemmeno canta perché sono saliti su mentre si esibisce Renzo Zenobi, ospite della serata.
2 aprile 1976. Doppio concerto di Francesco De Gregori al Palalido di Milano. Il primo, quello del pomeriggio, per i più giovani. Sono circa duemila, età media: sedici anni. «Era un pubblico molto giovane, tutto educato, seduto. Paragonato a quello della sera fu un bel concerto». La sera, circa seimila persone, si decide di tenere le luci accese e di far entrare un migliaio di persone che preme ai cancelli senza biglietto. Inizia a suonare, un centinaio di ragazzi si mette intorno al palco e inizia a urlare accuse di speculazione economica e politica. Alcuni salgono su, hanno il volto coperto e delle sbarre in mano. Comunque il concerto va avanti. Finisce alle 22,30. Quando la maggior parte delle persone è fuori, alcuni dei contestatori vanno nel camerino di De Gregori: «Vennero a prendermi nei camerini in dieci, uno aveva una pistola, e mi fecero tornare sul palco, dove venni sottoposto a una sorta di processo popolare». Tra i contestatori c’è Gianni Muciaccia, fidanzato di Jo Squillo, Marcello Baraghini di Stampa Alternativa, e Nicoletta Bocca, figlia di Giorgio Bocca. Finché entra la polizia e comincia a lanciare i lacrimogeni. De Gregori, tornato in albergo, sospende i concerti, chiede però che i musicisti vengano pagati come se avessero fatto tutte le date del tour.
Baraghini dice: «Non ricordo molta violenza quella sera. Esasperazione sì. Ricordo bene De Gregori stizzito. Avrebbe potuto spiegarsi, ma non lo fece».
De Gregori: «Fu un’aggressione, non fu una contestazione. La contestazione è quando tu prendi una persona e gli contesti delle cose, ad esempio, tu hai fatto questo, questo e quest’altro. Perché? Hai fatto male. Un’aggressione è quando io ti prendo a cazzotti e ti dico che sei stronzo. Quella fu un’aggressione, cioè non ci fu nessun dialogo».
Dopo le contestazione a De Gregori, anche Venditti fa un concerto al Palalido. Si aspetta la contestazione e infatti c’è: «Ma li ho distrutti, è stata una delle più grandi soddisfazioni della mia vita».
Il 5 luglio 1977 Stampa Sera pubblica una lettera di De Gregori: «Io non lavoro più da oltre un anno: non faccio più dischi, non tengo più concerti, le canzoni che trasmettono alla radio sono tutte vecchie. Ora il processo di ripensamento è terminato e ho maturato questa decisione: lascio».
Nel 1977 De Gregori si fidanza con Alessandra Gobbi, detta Chicca, che poi diventerà sua moglie. Nel 1978 il cantante scrive per Sorrisi e canzoni un articolo per la sezione “Speciale estate – I cantautori si raccontano”: «La Pellerossa mi piace perché è giovane e bella; stasera è troppo lontana però. Chissà come sono le lenzuol del suo letto, sicuramente più pulite delle mie; la Pellerossa, sapete, è andata a sciare, d’estate!, che Dio la benedica e la aiuti! Se potessi le telefonerei mentre sta sciando; lei è una donna spiritosa, mi racconterebbe per telefono tutte le buche, e i sassi, e i pezzetti ghiacciati, con poesia. Ah, amore, ti amo, ovunque tu sia e con chiunque tu stia, qualsiasi cosa tu stia facendo. Ci sono tre angeli appollaiati sulla tua spalla nessuno ti custodisce; ah, amore torna più presto che puoi dentro questa nottataccia che sto vivendo. Vendimi delle rose bianche e delle canzoni da circo con dentro delle facce spiritose e gentili che sappiano ben suonare i loro strumentini di legno. Fammi essere contemporaneamente Stanlio e Ollio. Fammi vedere il biglietto vincente della Grande Lotteria Del Gelato Di Capodanno 1979 dove tu leccherai tutta la cioccolata e io tutta la panna. Insomma, divertiti, e se ci incontreremo ancora, fammi divertire, con le mani, con la bocca e con tutto. Buonanotte, di le preghiere e che Dio ti benedica».
Il 10 marzo 1978 De Gregori sposa Alessandra Gobbi, conosciuta al liceo. Testimone di nozze Walter Veltroni, segretario della Fgci. Il 4 settembre nascono i due gemelli Federico e Marco.
Il tour Banana Republic, insieme a Lucio Dalla, certe sere fa anche cinquantamila spettatori.
La cena organizzata da Veltroni a casa di Tonino Tatò, con Enrico Berlinguer, Lucio Dalla e De Gregori. Ricorda Veltroni: «Una saga della timidezza: Berlinguer timido, io timidissimo anche se camuffato e ovviamente ancora più timido al cospetto di Berlinguer. Dalla e De Gregori inevitabilmente intimiditi dalla sua personalità. A un certo punto Berlinguer pose ai due il quesito che tutti avremmo voluto porre da sempre: “Scusate, ma voi scrivete prima le parole o la musica?”».
A Berlinguer De Gregori non sapeva se dare del tu «in quanto compagno», o del lei.
De Gregori ricorda Berlinguer a un suo concerto: «Probabilmente trascinato dalle figlie, ancora abbastanza piccole. Mi ricordo quest’uomo intimidito, con un loden verde, un uomo che stava nel camerino di questo cantante, del quale probabilmente sapeva poco o nulla, e mi guardava con un misto di tenerezza e curiosità».
Con le registrazioni dei concerti di Banana Republic si fa un disco: «La registrazione vera doveva avvenire allo stadio di Bologna. Dove piovve e il concerto fu annullato». Così si prendono pezzi di varie serate e prove. Solo che il registratore che hanno in tour non riesce a catturare anche gli applausi del pubblico. Vengono aggiunti dopo, finti, dalla Rca: «Peccato che scelse applausi da calcio e non da concerto. Si sentiva che erano finti e improbabili. Tanto che io e gli artisti mandammo una lettera alla Rca per diffidarla dal portare avanti questo scempio».
A un certo punto fa un disco con alcune sue canzoni tradotte. Contiene: Little apple (Piccola mela), Field Commander (Generale), A toast for Italy (Viva l’Italia), Atlantis (Atlantide), Bufalo Bill, Capo d’Africa, Christmas (Natale), Rimmel, Where do sailors really go (Ma come fanno i marinai), Renoir. Cantate su basi originali (c’è anche un duetto con Dalla).
Viva l’Italia esce anche in portoghese come Viva a Italia, tradotta da Paulo Coelho.
Alle Olimpiadi di Mosca molti Paesi, tra cui l’Italia, non fanno eseguire gli inni quando i loro atleti vincono una medaglia. Si racconta che Sara Simeoni, premiata, sul podio canta Viva l’Italia.
Dopo essere stato per vent’anni disinteressato al calcio, all’improvviso nel 1980 diventa tifoso della Roma, tra l’altro «fazioso e becero».
Il bassista Peppe Caporello, che collabora al disco Titanic: «Feci gli arrangiamenti di Rollo & His Jets e Francesco mi chiese cosa volevo per tutte le partiture che avevo scritto. Gli dissi: “Mi bastano un paio di Superga come le tue”. Si presentò il giorno seguente con un paio di scarpe da ginnastica».
Nel 1983 Monica Vitti gli telefona chiedendogli di fare le musiche per il film Flirt. Le dà La donna cannone.
Morandi mette pezzi di Buonanotte fiorellino nel disco Morandi in teatro, De Gregori ne chiede il ritiro: «Ha eliminato tutto il tema narrativocentrale (anche con qualche sostituzione delle parole rimaste) sconvolgendo gravemente il discorso ideativo della cearzione, rendendolo incompleto, disarticolato, vuoto, privo di significato». Il disco viene ristampato senza la canzone.
La Sony vorrebbe mandarlo in giro per le tv a promuovere il disco Terra di nessuno: «Mi tolsi d’impaccio mangiando una cozza cruda e facendomi venire un’epatite che mi tolse dalla circolazione per un po’ di tempo».
Nel 1990 Baudo lo invita a casa sua per chiedergli di partecipare al Festival di Sanremo. Ricorda il conduttore: «È venuto a casa mia per spiegarmi che avrebbe partecipato a una condizione: dovevo solo presentarlo. Non voleva che mi avvicinassi, che gli rivolgessi la parola. Scherziamo? L’ho accompagnato alla porta e gli ho aperto l’ascensore».
Diversa la versione di De Gregori: «Nell’incontro, che non avvenne a casa sua ma in ufficio, declinai cortesemente il suo invito. Baudo mi chiese di cantare La donna cannone, mentre alle mie spalle si sarebbe dovuto svolgere un balletto pseudoclassico con una ballerina di centoventi chili che danzava sulle punte. In conseguenza della mia perplessità di fronte a questa idea strepitosa, devo ammetterlo, venni messo alla porta».
«Il problema è l’insopportabile spocchia di certi reduci: una spocchia che emerge da destra e da sinistra, da chi è diventato Liguori come da chi è diventato Manconi o Sofri (…) È vero, hanno rappresentato qualcosa di quel periodo, e a volte anche qualcosa di oscuro. Ma non possono parlare a nome di nessuno. Ci hanno provato ma non ce l’hanno fatta perché erano fondamentalmente degli intellettuali modesti» (Francesco De Gregori).
Il Tribunale gli impedisce l’esecuzione della canzone Prendi questa mano zingara, considerata plagio di Zingara, da cui è diversissima. De Gregori: «Sarebbe come se la Campbell’s avesse impedito a Andy Warhol di riprodurre la famosa lattina della minestra nelle sue celebri e straordinarie opere. Non ho ritenuto di dover chiedere il permesso: il mio brano non ha debiti creativi nei confronti di nessuno». Iva Zanicchi contraria alla decisione del Tribunale: «A me sembrava una cosa carina che il poeta De Gregori prendesse spunti da una canzone degli anni ’60 di grande successo citandola volutamente».
Apparizione di De Gregori nel programma Stasera pago io (2002) di Fiorello. Mentre lo showman canta Alice, lui, non annunciato, lo accompagna alla chitarra, muto, con la gomma americana in bocca. Se ne va sul finire della canzone.
Mentre De Gregori è in tour con Pino Daniele, Fiorella Mannoia e Ron (2002), Venditti intervistato disse: «Il rapporto con Francesco è ottimo e abbondante. E poi ci facciamo delle telefonate, non dovrei dirla questa cosa. Magari poi mi mena ma è troppo divertente: lui mi chiama e mi canta “Non essere geloso se con gli altri ballo il rock” e io gli rispondo “In un vecchio palco della Scala, nel gennaio del novantatrè, spettacolo di gala” del Quartetto Cetra».
Quando fa il disco Il fischio del vapore con Giovanna Marini, un dirigente della Sony commenta: «Mai avrei pensato che de Gregori facesse un disco con Valeria».
Nel 2002 recita nel film Del perduto amor di Franco Battiato: «Sono solo tre battute. Ed è difficilissimo. Io non pensavo che fosse così difficile dire “ciao”. Abbiamo fatto tanti ciak».
Anche a Nanni Moretti aveva chiesto di farlo recitare in un suo film. Risposta del regista: «Sei l’uomo più impacciato d’Europa».
Cameo nel film Gente di Roma, di Ettore Scola.
A proposito di Beppe Grillo: «Né il comico né il banditore mi hanno mai incuriosito. L’antipolitica ha sempre attraversato le democrazie, non vedo niente di nuovo in quello che fa».
Ha la nomea che gli dia fastidio quando il pubblico ai suoi concerti canta insieme a lui le canzoni, e per questo motivo le cambia: «Non è vero. Ai concerti la gente canta anche se non è invitata a farlo. È naturale. Anch’io intonavo De André con i miei compagni quando andavamo in gita scolastica».
Non ha mai letto Siddartha: «È che non mi è mai piaciuto fare le cose obbligatorie».
A Bari per un concerto chiede il numero di telefono di Checco Zalone. Gli manda un sms: «Sono in città per un concerto, mi farebbe piacere incontrarti. Firmato Francesco D.G.». Dice Zalone: «Convinto che si trattasse di Dj Francesco ho risposto: mi spiace non posso, ho una pizza con gli amici. Che figura».
Poi si incontrano davvero: Zalone lo porta dappertutto, anche in discoteca. Ricorda De Gregori: «È stata una serata bellissima, che ha curato molto il mio ego e la mia presunzione, perché tutti volevano farsi le foto con Checco. Riconoscevano anche me ma dicevano: “Francesco scansati”. Da allora sono diventato più umile e più buono».
«Mi piace la grazia e la piacevolezza delle commedie di Checco Zalone. Non mi interessa, invece, l’autocompiacimento di certi autori».
Nel 2013 per la prima volta non vota per la sinistra alla Camera, ma opta per Scelta Civica. Al Senato, invece, ancora per il Pd.
In un’intervista ad Aldo Cazzullo (Corriere della Sera, 31 luglio 2013) dice che la sinistra «è un arco cangiante che va dall’idolatria per le piste ciclabili a un sindacalismo vecchio stampo, novecentsco a tratti incompatibile con la modernità. Che agita in continuazione i feticci del “politicamente corretto”, una moda americana di trent’anni fa, e della “Costituzione più bella del mondo”. Che si commuove per lo slow food e poi magari, en passant, strizza l’occhio ai No Tav per provare a fare scouting con i grillini. Tutto questo non è facile da capire, almeno per me».
«Sono stato berlusconiano solo per trenta secondi in vita mia: quando ho visto i sorrisi di scherno di Merkel e Sarkozy».
«Non credo di essere mai stato l’orso che mi dipingono. Sarà che in passato mi sono preso troppo sul serio e adesso invece ho imparato l’autoironia. O forse da domani tornerò a essere la solita testa di cazzo».