Mariangela Pira e Andrea Pira, MilanoFinanza 8/7/2015, 8 luglio 2015
SOSPENSIONI DI MASSA IN CINA
L’impressione è quella del si salvi chi può. Oltre un terzo delle società quotate sui listini cinesi ha sospeso le contrattazioni. La ragione non dichiarata è quella di mettersi al sicuro dall’ondata di vendite che nelle ultime tre settimane ha messo in subbuglio i mercati della Cina continentale e che continua nonostante le misure messe in campo dal governo e dalla People’s Bank of China per frenare la turbolenza.
Ieri, alla chiusura delle borse, 173 quotate su Shanghai e Shenzhen hanno annunciato la sospensione degli scambi, portando il totale a 940 sulle 2.800 complessive che animano i due listini. La giornata è stata caratterizzata da nuove perdite. L’indice principale di Shanghai ha chiuso in calo dell’1,29%, a 3727,13 (dallo scorso 12 giugno ha perso circa il 27% contro un rialzo del 117% negli ultimi otto mesi). Profondo rosso anche a Shenzhen, in perdita del 5,8%, a 2352,01. In calo, infine, anche l’indice ChiNext, l’equivalente cinese del Nasdaq, che ha chiuso in ribasso del 5,69%. Ed è proprio in questo segmento che si registra la più alta concentrazione di titoli sospesi. Sembra quindi aver sortito pochi effetti l’annuncio della Haitong Securities, pronta a investire 15 miliardi di yuan, circa 2,4 miliardi di dollari, per sostenere il mercato in difficoltà. Un intervento che dà seguito all’accordo di sabato tra 21 società di brokeraggio per istituire un fondo da 120 miliardi di yuan per investire negli Etf che seguono l’andamento delle blue chip. A poco sembrano inoltre essere serviti gli interventi di Pechino, come lo stop delle ipo e gli interventi sul margin trading, tanto più che il premier, Li Keqiang, nel suo ultimo intervento per mostrarsi fiducioso sulla capacità di sostenere l’economia in frenata, ha evitato di toccare il nodo del crollo delle borse. Questo nonostante il governo si sia mosso a salvaguardia dei listini per due ordini di ragioni: evitare ripercussioni a livello sociale per via dello spettro di una crisi del credito e modernizzare il mercato in modo da rendere quello delle cosiddette A-share meno dipendente dall’azionariato popolare e più aperto a fondi e investitori istituzionali. Dopo tre settimane di scossoni la Repubblica popolare piuttosto che Grecia sta pertanto diventando il vero spauracchio dei mercati. Questa almeno è l’opinione di Jean Ergas di GC Capital Group, che teme già per quest’anno lo scoppio della bolla cinese e intravede in tale ipotesi anche ripercussioni sul prezzo del petrolio, per via dei minori approvvigionamenti da parte cinese. Ma Pechino, «è determinata a evitare la caduta», scrivono gli analisti di Hsbc. Pertanto, considerata la debolezza dell’economia, si attendono per la seconda metà dell’anno nuove misure di stimolo monetario, compreso un taglio di 200 punti base della riserva obbligatoria per le banche e un’ulteriore sforbiciata di 25 punti base per il tasso di riferimento.
Mariangela Pira e Andrea Pira, MilanoFinanza 8/7/2015