Maurizio Crosetti, la Repubblica 7/7/2015, 7 luglio 2015
ADDIO ALLO SCRITTORE LUCA RASTELLO, UNA VITA TRA IMPEGNO CIVILE E INCHIESTA
La scrittura d’inchiesta era il pane quotidiano di Luca Rastello, insieme alla curiosità verso gli altri, dentro un mondo di frontiere sempre più mobili e ambigue. Che si trattasse di raccontare la Bosnia Erzegovina o di aggiornare un amico sul progredire del suo male, il cancro contro cui Luca ha combattuto a mani nude per dieci anni e che ieri se l’è portato via, lo sguardo e le parole non cambiavano: esattezza, antiretorica, sostanza, spiazzamento. Perché si può, anzi si deve, far cronaca di tutto, anche di se stessi.
Ha scritto per Diario e Repubblica , ha raccontato le trappole dell’apparenza, l’ipocrisia del politicamente corretto. L’ultimo suo libro, I buoni (Chiarelettere) demolisce appunto la bontà del falso impegno, facendo a pezzi un prete antimafia, don Silvano, parolaio e impostore. Ha fatto rumore, questo romanzo sui professionisti del volontariato, tradotto in numerosi paesi. Ma come, c’è del marcio anche nel no-profit? Eccome, diceva Luca senza mai salire in cattedra: gli bastavano le notizie.
Luca Rastello aveva solo 53 anni. Lascia la compagna Serena, la moglie Monica e le figlie Elena e Olga. Cominciò subito a prendere a cazzotti l’apparenza già dalle pagine del suo primo saggio, nel 1998, La guerra in casa (Einaudi): Spalato, il ponte di Vrbanja, vedove e bambini in fuga, il musulmano massacrato perché musulmano. Luca Rastello ha prima vissuto la cooperazione internazionale, poi l’ha narrata, senza buoni o cattivi, semmai i giusti e gli ingiusti, e quelli che hanno bisogno di tutto. Anche la parola impegno, oggi così abusata, è territorio ambiguo, non privo di frane e smottamenti: Luca ci si è gettato dentro, lavorando col Gruppo Abele e l’Italian Consortium of Solidarity in ex-Jugoslavia, dirigendo Narcomafie e l’Indice, originalissimo tipo di intellettuale che sa cos’è il lavoro sul campo. E mai scrivere una sola parola senza documentarsi bene, senza prima andare e guardare: non per nulla Luca ha attraversato in lungo e in largo Balcani e Caucaso, ha percorso l’Asia Centrale, ha toccato l’Africa e il Sudamerica. E non ha mai scritto d’aria o sensazioni, soltanto di fatti in questo tempo difficilissimo.
L’enorme curiosità che nasce dal bisogno di raccontare lo ha impegnato in reportage memorabili e saggi che resteranno, densi di passione politica e civile, come Io sono il mercato e La frontiera addosso (Chiarelettere), oppure il recente Binario morto, ancora per Chiarelettere, sul corridoio 5 tra Lisbona e Kiev, sull’alta velocità che non c’è. Come rimarranno le pagine di Piove all’insù (Bollati Boringhieri), romanzo magnifico e difficile su vent’anni di storia italiana, forse la migliore narrazione sui nostri anni Settanta: scrittura e montaggio dritti nel futuro. Anche se poi resterà soprattutto lui, Luca, quando la sera si usciva dalle redazione e prima di salire sulla bici nera d’epoca, con il cestino e i freni a bacchetta, rispondeva: «Come sto? Benissimo. Sono il miracolo di essere ancora vivo».