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 2015  luglio 07 Martedì calendario

LONDRA SNOBBA GREXIT E PENSA A BREXIT – 

Un meeting del governo, di emergenza e di buon mattino, presieduto da David Cameron, una nota alla Camera dei Comuni illustrata dal Cancelliere George Osborne, ovvero ottime occasioni per riaffermare, pubblicamente, legittime ansie e inevitabili banalità, corredate dall’appello «alla ragionevolezza e al buon senso». Sopra tutto svettano le due solite preoccupazioni: il destino dei 40 mila cittadini del Regno residenti in Grecia e le conseguenze indirette che una nuova crisi dell’eurozona inevitabilmente avrebbe sulle casse di Sua Maestà. Nessun timore invece per l’esposizione del sistema bancario inglese verso Atene limitato com’è a poco più di 3 miliardi di dollari. Spiccioli, si nota con soddisfazione alla Bank of England.
La reazione britannica non va molto oltre e tanto basta per constatare quanto il silenzio di Londra sia stato e continui ad essere assordante, ma per nulla sorprendente. La Gran Bretagna, si obietterà, non ha voce nell’eurozona. Incontestabile, ma quanto sta accadendo scuote, idealmente, l’Unione Europea tutta e, fra i Ventotto, il Regno Unito c’’è ancora.
Grexit evoca, se non altro per assonanza, Brexit possibile scenario prossimo venturo. Fino ad allora, fino a quando un nuovo referendum non farà di un’ipotesi una minacciosa prospettiva, il Regno Unito, continuerà ad essere, a tutti gli effetti, un partner, anzi un gigante fra i partners. Per questo il suo silenzio è fragoroso quanto prevedibile, sfogliando le immagini di questi ultimi mesi di governo del conservatore David Cameron.
Londra dall’ Unione pare essere già uscita avendo scelto il sostanziale isolamento per non scontentare nessun governo, nella speranza di conquistare il favore dei più e negoziare con successo le nuove condizioni di partnership . È reclinata su stessa come mai prima d’ora, intenta a rilanciare parole d’ordine un poco vuote, impegnata a contabilizzare fino al centesimo il senso della sua adesione al progetto comunitario. Chiede, giustamente, maggiore concorrenza nel mercato interno senza però rendersi conto che gli agguerriti nemici di un tempo battono ormai in ritirata; propone di limitare il welfare agli immigrati intra-UE, incurante di plasmare così un’Europa nel segno degli egoismi nazionali; invoca nuove clausole di esclusione per accomodare se stessa, l’eterna “eccezione inglese”, preservando il potere della City sui servizi finanziari. Il Catalogo che sua Maestà porta sul tavolo negoziale a Bruxelles è poco più di questo. Miserie, francamente, nel dissesto di queste ore dove si misurano valori e prospettive di fondo della costruzione europea. Quella dell’eurozona certo, ma, lo ripetiamo, non soltanto dell’eurozona.
Eppure in un coro di voci che si muovono incerte e disorientate udire, ora, quella britannica sarebbe interessante. Londra avrebbe molto da dire, sapendo filtrare attraverso la lente del pragmatismo anglosassone le tensioni di un contrasto - quello con Atene - che dopo il referendum ha bisogno di trovare un punto di sintesi. Capace com’è, soprattutto, di produrre spunti di riflessione, pensieri trasversali, ragionamenti eterodossi ed eccentrici abbastanza per spezzare le tendenze conformiste dei partners. E invece il Regno tace, preso a far di calcolo per capire quanto convenga stare o non stare nell’Unione, affaccendato a pesare quanto, hic et nunc, la dimensione comune sia ancora cosa buona e giusta.
Un silenzio, quello di Londra dinnanzi al Grexit, che sembra la prova generale di Brexit. Prova generale di quanto potrebbe accadere, utile fin d’ora per sentirsi già orfani di un Paese che continua ad apparirci irrinunciabile per preservare un equilibrato contesto comune. E proprio perché ora si parla di Grexit è anche utile ricordare che Brexit rischia di essere un terremoto di simile magnitudo. Non, ovviamente, per la tenuta dell’Unione monetaria a cui Londra non partecipa, ma per il significato profondo del principio di unificazione europea, per il depauperamento - reale e ideale - che comporterebbe la secessione dall’Ue della capitale finanziaria mondiale. Per questo “udire” nel caos di queste ore il silenzio di un Regno che dell’Europa è pilastro, sia per peso specifico sia per responsabilità storica, è triste prima ancora di essere inquietante. Peggio ancora è ascoltarne solo le ripetute ansie per la serenità finanziaria di un manipolo di pensionati in fuga volontaria dalla brume britanniche verso il sole delle Cicladi.