Roberto Casati e Achille Varzi, Il Sole 24 Ore 5/7/2015, 5 luglio 2015
IL GOMITOLO CRESCE A PIACERE –
Gentile lettore, non vorremmo con questo nostro testo abusare della Sua pazienza, ma ci sembra giusto far notare anche in questa sede come la nostra lingua – e va da sé che il discorso vale per qualsiasi lingua, non solo l’italiano – consenta di scrivere frasi di lunghezza arbitraria, cioè senza alcun limite massimo, e di farlo proprio componendo una sequenza di parole che, come questa, per quanto possa sembrare contorta risulta in tutto e per tutto leggibile, essendo costituita esclusivamente da nomi o vocaboli appartenenti al nostro lessico, ciascuno dei quali è dotato di significato autonomo, connessi fra loro secondo le regole della grammatica, da cui il significato della frase intera emerge in virtù del cosiddetto «principio di composizionalità» (normalmente attribuito a Gottlob Frege ma già adombrato da Platone, per esempio nel Teeteto), posto che proprio le regole della nostra grammatica possono venire applicate in modo ricorsivo e non escludono, fra l’altro, ripetizioni, posto che proprio le regole della nostra grammatica possono essere applicate in modo ricorsivo e non escludono, fra l’altro, ripetizioni, e considerato altresì che non c’è limite alle subordinate relative che possono figurare in una stessa frase, vuoi al livello principale, come quando si dice «Il maresciallo, che è stato visto di mercoledì…», vuoi al secondo livello, come quando si dice «Il maresciallo, che è stato visto di mercoledì, che è il terzo giorno della settimana…», e via dicendo, benché si noti che in questo nostro esempio non si stia abusando di artifizi del genere, ci teniamo a precisarlo, essendoci qui limitati a un’unica ripetizione ed avendo limitato considerevolmente il numero delle relative (ma non, lo riconosciamo, il numero delle congiunzioni, e men che meno quello degli incisi, i quali, per inciso, possono a loro volta essere di vario livello, cioè incastonati uno nell’altro, come dimostra questo inciso nell’inciso) e soprattutto essendoci noi sforzati, almeno sin qui, di evitare soluzioni facili come quelle del re seduto sul sofà che disse alla sua serva di raccontargli una storia ovvero stilemi intenzionalmente barocco-bizantini del tipo esemplificato in modo magistrale in certi testi di Carlo Emilio Gadda, per esempio la prima parte de La cognizione del dolore, che proprio nella macchinosità del discorso intende rappresentare quell’inestricabile garbuglio che è il mondo di cui si sta parlando – il «gomitolo», come ebbe a scrivere Italo Calvino nella quinta delle sue Lezioni Americane (al che Gadda stesso avrebbe aggiunto che si dice pure «groviglio», «intreccio», «groppo», «viluppo», o anche, alla romana, «gnommero», se non addirittura «pasticciaccio») – caratterizzato dalla presenza simultanea di elementi fra loro eterogenei e apparentemente sconnessi i quali tuttavia concorrono a determinare gli eventi che fanno di questo nostro mondo proprio il mondo che è, e che giustifica, in fondo, la celebre massima di Pascal secondo la quale, se il naso di Cleopatra fosse stato più corto, sarebbe cambiata l’intera faccia della terra (Pensieri, §162 nell’edizione Brunschvicg del 1897, §180 nell’edizione Chevalier del 1927), intendendo con ciò che se la colta e impavida regina egizia non avesse avuto quel particolare naso aquilino che possiamo osservare nei profili che la raffigurano su certe monete dell’epoca, tra cui il dinaro d’argento conservato presso il Museo Archeologico dell’Università di Newcastle, Cesare non ne sarebbe stato sedotto e non avrebbe perso la testa, e forse nemmeno Marco Antonio, e le cose sarebbero andate ben diversamente, concetto non amato da coloro che insistono nel dire che la storia non si fa con i «se» ma che è stato ripreso ampiamente, non solo nella letteratura successiva e quindi nella cinematografia (si pensi al racconto ormai classico di Ray Bradbury tradotto in italiano con il titolo Rumore di tuono, o anche Rombo di tuono, da cui l’omonimo film diretto da Peter Hyams tradotto a sua volta come Il risveglio del tuono, nel quale un turista del futuro imbarcatosi su una macchina del tempo per partecipare a un safari preistorico dedicato alla caccia di animali estinti, come i dinosauri, calpesta accidentalmente una farfalla comune e la uccide, contravvenendo in tal modo alle precise raccomandazioni della ditta Time Safari Inc., organizzatrice del viaggio, e causando un riverbero di cambiamenti via via più macroscopici che finiscono col mettere a repentaglio l’esistenza dell’intera umanità) ma anche in certe teorie scientifiche: basti considerare che nel 1972 la metafora dell’«effetto farfalla» venne usata dal fisico e meteorologo statunitense Edward Lorenz nel corso suo intervento al centotrentanovesimo congresso dell’American Association for the Advancement of Science per illustrare nientemeno che la teoria del caos, e che il medesimo concetto era già presente, nello spirito se non nella lettera, in quel bellissimo passo di Alan Turing, il padre della scienza informatica e dell’intelligenza artificiale morto suicida a soli quarantun anni in seguito alle persecuzioni subite da parte delle autorità britanniche per la sua omosessualità, in cui si afferma che lo spostamento di un singolo elettrone per un miliardesimo di centimetro, a un dato momento, «potrebbe significare la differenza tra due avvenimenti molto diversi, come l’uccisione di un uomo un anno dopo, a causa di una valanga, o la sua salvezza».