Francesco Semprini, La Stampa 7/7/2015, 7 luglio 2015
MAXI-MANOVRA PER FERMARE IL CROLLO DI SHANGHAI
Una straordinaria iniezione di liquidità per contrastare la più grande emorragia di capitali dal mercato azionario cinese degli ultimi anni. È questa la manovra che la People’s Bank of China, la banca centrale del Paese asiatico, si appresta ad attuare in risposta alle perdite per oltre 2.400 miliardi di dollari registrate in tre settimane sulle due principali Borse del Paese. Una manovra senza precedenti, che si affianca alle misure già adottate nei giorni scorsi dalle autorità del Dragone, come lo scudo finanziario da 19,3 miliardi di dollari, il blocco di nuove offerte pubbliche iniziali, oltre ai reiterati tagli dei tassi d’interesse. Misure varate dopo la maratona di incontri dello scorso fine settimana, che ha visto riunite le principali autorità politiche, economiche e finanziarie del Paese, compreso il premier Li Keqiang. Misure che hanno sortito i primi frutti alla riapertura dei mercati di ieri, con lo Shanghai Composite Index che guadagnava l’8% per posizionarsi a termine contrattazioni a +2,42%, mentre gli altri mercati asiatici chiudevano in negativo sul «No» del referendum in Grecia. Tra questi lo Shenzhen, l’altra Borsa cinese vittima dell’emorragia delle ultime settimane. A dimostrazione che le misure già varate rischiano di aver già esaurito i benefici effetti per le quali erano state messe a punto. Ecco allora la necessità di procedere a una manovra ancora più incisiva, ovvero «provvedere all’assistenza di liquidità», una sorta di «Quantitative easing» azionario. In pratica la People’s Bank of China immetterà capitali nella China Securities Finance Corp., società controllata dalle autorità di Borsa, che utilizzerà il denaro per effettuare prestiti ai broker. A loro volta questi impiegheranno il denaro per aprire linee di credito con cui gli investitori acquisteranno titoli azionari. L’esatto ammontare della somma che sarà versata dalla Banca centrale cinese in questo «circuito virtuoso» non è ancora nota, ma senza dubbio si tratta di una misura straordinaria come mai si erano viste in passato. Anche perché per la prima volta nella storia della finanza cinese, la People’s Bank of China versa fondi direttamente ad altre istituzioni finanziarie oltre alle banche. Un termometro dei timori che investono la stessa leadership cinese su quelle che potrebbero essere le conseguenze di un’accelerazione della crisi azionaria, osservata tra la metà di giungo e i primi di luglio. Timori che sono comuni agli Stati Uniti, visto che Pechino controlla la maggior parte del debito americano. Secondo gli osservatori, le difficoltà attuali potrebbero spingere la Cina a rientrare di parte del debito Usa. ed ecco l’interesse americano a un rialzo dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve. In questo modo potrebbero rinegoziare il debito offrendo al suo principale creditore condizioni più favorevoli, ovvero prezzi dei Treasury più bassi al cospetto di rendimenti più cospicui. Ma per alzare i tassi occorre solidità economica, e gli Usa si affidano alla nuova stagione delle trimestrali societarie (per cui è previsto un rialzo su base annuale del 2,5% al netto del volatile comparto energetico) per sostenere il mercato dinanzi all’”effetto Oxi”, alle difficoltà di realtà periferiche come Porto Rico, e agli possibili effetti di un rallentamento della crescita della stessa Cina.