Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  luglio 08 Mercoledì calendario

SCOPPIA LA BOLLA CINESE. UN GRAFICO STILE ’29 METTE PAURA AL MONDO

Spiacenti, ma oggi è chiuso. È l’amara scoperta che alcune migliaia (o centinaia di migliaia) di piccoli azionisti cinesi hanno fatto ieri mattina, mentre tornavano a fioccare le vendite sulle Borse di Shanghai e Shenzhen. Ma per evitare il tracollo non poche società hanno adottato una scelta drastica: hanno staccato la spina e si sono concesse un giorno di vacanza. Ben 200 società, secondo la Consob cinese, ieri hanno sospeso gli scambi sui propri titoli grazie alla connivenza dei traders. La settimana scorsa, a dichiarare il black out erano stati ben 768 titoli quotati, per lo più matricole che hanno contribuito alla folle corsa delle Borse cinesi: +140% dall’inizio del 2014. Una crescita ininterrotta, febbrile che sembrava non dover finire mai. Al contrario, a partire dal 12 giugno, il genio dei mercati ha invertito la rotta. In meno di un mese il listino ha perduto più del 30% con punta del 40% per il mercato di Shenzhen, la Silicon Valley del Drago che fa la fortuna della città simbolo della nuova Cina, dove Deng Xiao Ping lanciò la parola d’ordine «arricchirsi è rivoluzionario». Ma dove è anche possibile perdere tutti i risparmi nel giro di poche sedute. Come è successo all’esercito dei nuovi piccoli azionisti, approdati in Borsa negli ultimi mesi, invogliati dai guadagni. La parola esercito, per la verità, è inadeguata: si calcola che i nuovi adepti dello Stock Exchange siano 92-93 milioni. Sono stati loro a far la fortuna dei fondi specializzati nelle matricole (almeno 200 per un giro d’affari di oltre 320 miliardi, superiore al pil della Malaysia) che hanno fatto fare ai primi sottoscrittori guadagni d’oro su titoli saliti di 40-45 volte nel giro di un mese o anche meno. Poi, come sempre accade, i grandi guadagni hanno provocato una grande bolla seguita da un fragoroso sboom. Tanto più rapido e violento quanto più golosi si sono rivelati i piccoli speculatori che, per ogni yuan investito in un’azione ne hanno preso uno a prestito per moltiplicare il valore della scommessa. E così, quando le autorità hanno provato a stringere i cordoni della Borsa, l’edificio è franato come un castello di carte. Fin qui una storia abbastanza comune. Ma la Cina non è un Paese comune. Per più motivi. 1.Per le dimensioni, innanzitutto. La frenata del mercato azionario, combinata con quella del settore manifatturiero, sta provocando la caduta dei consumi e dei prezzi del petrolio su scala mondiale. 2.La corsa al mercato è stata benedetta dalle autorità di governo e Partito nell’ambito del cambio di passo dell’economia cinese: non più fabbrica del mondo ma economia basata sui servizi, anche finanziari. Una metamorfosi che, secondo il presidente Ji Xingping e il premier Li Kequiang richiede un’iniezione di trasparenza e l’uscita dal sistema della finanza ombra, foriera di corruzione. 3.La crescita della Borsa (2.800 società quotate) è il simbolo della nuova Cina, che non si lascia certo spaventare dal tracollo di questo mese: 3.000 miliardi di perdite, tanto quanto la capitalizzazione di Italia, Russia, Messico, Francia e Regno Unito. 4.Per la prima volta, a difesa del mercato, è scesa in campo la politica: Pechino ha autorizzato l’acquisto di azioni da parte dei fondi pensione, poi sono arrivati gli acquisti delle finanziarie di Stato, infine l’immissione di liquidità a vantaggio del mercato. Ma non è servito a molto. Ma a qualcosa sì. 5.Tra le tante curiosità di questo folle ribasso, che tanto assomiglia al crac del 1929, c’è la forbice che separa i giganti di Stato dal resto del listino. I Big come Petrol China sono di nuovo in ripresa (+28%) sotto la spinta delle grandi banche. Le società piccole e medie, figlie del boom, soffrono. Come i piccoli azionisti. 6.Forse ha ragione Anne Stevenson-Yang, consulente aziendale, un tempo giornalista arrivata trent’anni fa in Cina dove ha sposato un ex ufficiale dell’intelligence di Pechino. «L’ascesa della Borsa - scrive sul suo blog - è l’ultimo sistema adottato dalla classe dirigente per spremere ricchezza dalla gente comune».