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 2015  luglio 08 Mercoledì calendario

L’EFFETTO CINA FA SCATTARE LE VENDITE SULLE MATERIE PRIME

A indebolire i mercati delle materie prime era bastato che la Cina rallentasse il passo nel momento sbagliato, quello in cui l’offerta si era finalmente adeguata a una voracità che si credeva senza fine. Adesso è allarme rosso e la parola d’ordine tra gli investitori è vendere: vendere tutto, dal petrolio al rame, fino alla soia e persino l’oro, la cui reputazione di bene rifugio è ormai talmente appannata da essere messa in ombra - come ci sta insegnando la crisi greca - addirittura dai Bitcoin.
Le quotazioni del lingotto sono scese a 1.148 dollari l’oncia, il minimo da 4 mesi. E ancora peggio sono andati altri metalli preziosi, come l’argento, precipitato di oltre il 4% intorno a 15 $/oz, o il platino, mai così in basso da marzo 2009 (1.039,75 $).
Ma l’effetto Cina si sta manifestando in modo particolarmente acuto su quelle materie prime - e sono davvero tante - di cui Pechino domina i consumi. Il rame, di cui i cinesi consumano circa metà della produzione mondiale, ieri ha perso quasi il 6% al London Metal Exchange, finendo ai minimi dal 2009 (5.261,50 $/tonn), così come l’alluminio e il nickel, affondato addirittura del 10 per cento.
Il minerale di ferro - con una produzione davvero esuberante e due terzi dell’export globale diretto proprio in Cina - è di nuovo in bear market, con il prezzo sceso di oltre il 20% rispetto ai picchi di giugno, sotto 50 $/tonnellata. Anche il petrolio, che i cinesi importano ormai in quantità simili a quelle degli Usa, è a un soffio dall’entrare in bear market: con l’eccesso di offerta che da qualche giorno è tornato a preoccupare, il crollo è stato arginato solo grazie all’ulteriore proroga (fino a venerdì) dei negoziati con l’Iran, ma il Wti è comunque sceso fino a 50,58 $/barile, il minimo da oltre tre mesi. Anche i timori per la Grexit e la forza del dollaro, ieri ai massimi da 5 mesi, stanno pesando sulle commodities. Ma i rischi potenzialmente in arrivo dalla Cina hanno dimensioni enormi e il mercato ha appena iniziato a scontarli. La bolla del mercato azionario è esplosa in modo improvviso e violento, bruciando in meno di un mese oltre 3 miliardi di dollari di capitalizzazione, il doppio del valore della Borsa indiana. E la scarsa efficacia degli interventi di Pechino sta ora iniziando a far temere per la tenuta dell’economia. Le materie prime sono tutt’altro che secondarie nel quadro di destabilizzazione dei mercati finanziari. Al contrario rischiano di essere la cinghia di trasmissione della crisi cinese al resto del mondo. Insieme alle commodities stanno ricominciando a crollare anche le valute: quelle dei Paesi emergenti e non solo (il dollaro australiano è ai minimi da sei anni sul dollaro). Inoltre moltissime economie emergenti hanno emesso obbligazioni in dollari, spesso proprio per finanziare lo sviluppo della produzione di materie prime: l’esposizione complessiva, calcola la Bri, è di 554 miliardi di dollari. Una bomba a orologeria, se il biglietto verde continua a salire e se la Cina fa crollare ulteriormente i prezzi di petrolio, metalli e quant’altro.
.@SissiBellomo