Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  giugno 27 Sabato calendario

LA MAGLIA DEL PIRATA


Lo si abbina alla maglia rosa del Giro, lo s’identifica con la maglia gialla del Tour o della Mercatone, la sua squadra storica (più raramente con quella celeste), lo si ricorda anche con la maglia azzurra della Nazionale. Ma forse il colore più adatto a lui è il verde, il verde della maglia di leader nei gran premi della montagna (una sola vittoria finale, nel Giro del 1998), il verde delle Alpi e dei Pirenei, o della sua salita, il Carpegna, in quelle Marche affacciate sulla Romagna, dove Marco Pantani continua – per incantesimo, per memoria, per gioco – a pedalare e a vincere. Nove corridori su dieci, di quella generazione nata tra la fine degli Anni 80 e l’inizio degli Anni 90, hanno cominciato a correre per Pantani. Chi lo ha fatto perché elettrizzato dai suoi attacchi in salita, chi perché affascinato dalla sua figura atletica e ascetica, chi perché scosso dai brividi del ciclismo o contagiato dalle tradizioni familiari o imparentato da ragnatele territoriali. Chi si è poi rivelato passista e chi velocista, chi ha cercato di emularlo sulle montagne e chi ha dovuto limitarsi ai capelli rasati, a un orecchino o a un tatuaggio, e chi ha appeso, oltre alla bici al chiodo, una foto in giallo o un ritaglio in rosa alla parete. Ma quel Pantadattilo (diritti d’autore a Gianni Mura), quell’Elefantino (soprannome che al portatore – c’era da immaginarselo – non è mai piaciuto), quel Pirata (ecco, ci siamo) è rimasto nel cuore, anche se come esempio e modello, tra il doping prima (e quella è stata la prima morte – sportiva – di Pantani: 5 giugno 1999, Hotel Touring, Madonna di Campiglio) e le droghe poi (e quella è stata la seconda morte – fisica – di Pantani: 14 febbraio 2004, Residence delle Rose, Rimini), la storia, anche quella del ciclismo, ne ha proposti di più puri e solidi.
Ma il manifesto di Pantani, così come quelli di James Dean, Jim Morrison e John Belushi, per dirne solo tre che a loro modo hanno pedalato nel cuore di generazioni bruciate o ardenti, rimane attaccato a muri e a ideali, un po’ simbolo e un po’ bandiera, impersonificato ma scorporato, nonostante, oltre, al di là. Sarà stata la sua origine di scalatore marinaio, sarà stata la sua urgenza agonistica e anche agonizzante, sarà stato quel modo di attaccare, quando trasformava la strada in arena e se stesso in torero, e la bandana lanciata in aria era come le banderillas stilettate nel toro. Oppure sarà stata quella sua doppia valenza, forza sulla bici e fragilità a piedi, quella sua doppia animalità, agnello in pianura e aquila in salita, quella sua doppia identità, campione e vittima, quella sua duplicità ma anche doppiezza, altare e polvere, successi ed eccessi, la fuga come supremo atto di coraggio nel ciclismo ma anche come estremo gesto di sparizione e disperazione nella vita di tutti i giorni e tutte le notti.
Dicono: quelli erano gli anni di piombo del ciclismo (ed è vero: oggi l’ambiente è stato bonificato e molto ripulito). Dicono: con o senza. Pantani sarebbe stato comunque il più forte di tutti in salita. Però Pantani rimane. È una storia che non si cancella e non si dimentica, è una tragedia che merita rispetto e pietà, è un artista che può ancora essere ascoltato e deve essere ricordato. E viene ricordato, anche celebrato, ognuno a suo modo. Con una biglia (quella davanti alla Mercatone, a Imola: forse il più bell’omaggio), con un bronzo (quello sul Mortirolo, versante valtellinese: forse il più struggente), con un libro o con il silenzio, con una pedalata in più o una in meno, con una vittoria immortalata con gli occhi socchiusi e il corpo in croce.