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 2015  luglio 06 Lunedì calendario

DELRIO CHIUDE LA ‘MACCHINA DEGLI APPALTI’ PER SBLOCCARE 70 MILIARDI DI GRANDI OPERE

A Piazzale Porta Pia dicono che Graziano Delrio, da circa tre mesi ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, abbia un atteggiamento guardingo. Insomma si fida poco di quella macchina ministeriale (8 mila addetti) dove per decenni Ercole Incalza si è mosso come un topo nel formaggio. Ercole Incalza, e con lui Maurizio Lupi, sono stati fatti fuori dalle indagini delle Procura di Firenze, anche se l’ex ministro non è mai stato indagato.
La missione di Delrio è provare a smontare, pezzo dopo pezzo, quel sistema di potere che per anni ha controllato gli appalti delle grandi opere pubbliche. Un sistema protetto da quella Legge Obiettivo (pensata e approvata in epoca berlusconiana ma mai realmente intaccata durante le parentesi dei governi di centrosinistra) che ha drenato risorse pubbliche, arricchito imprenditori privati conniventi con una politica disposta a farsi corrompere, lasciando l’Italia in una costante situazione di affanno infrastrutturale con l’inettitudine della pubblica amministrazione e lo strapotere improduttivo dei giudizi amministrativi. Tutto nella logica del primato dell’emergenza che cancella i controlli ed esalta le varianti in corso d’opera. Si calcola — solo per fare un esempio — che il costo di una logistica inadeguata, come quella che sopporta gran parte del nostro sistema manifatturiero, sia pari ogni anno a circa 50-60 miliardi di euro. Sono cifre pari a due, tre manovre economiche in una stagione in cui anche solo una sentenza della Corte costituzionale sul ripristino parziale delle indicizzazioni sugli assegni pensionistici ha rischiato di far saltare l’equilibrio dei conti pubblici. E siamo — non per caso — il paese delle opera incompiute, dei progetti faraonici mai portati a termine. Si calcola — sempre per fare un esempio — che se si sbloccassero tutti i cantieri attualmente fermi per vari cavilli burocratici e non, recupereremmo circa un punto di Pil, pari a oltre 17 miliardi di euro immessi nell’economia reale nazionale. Voltare pagina non sarà affatto semplice per Delrio. Il “ministero parallelo” si è messo in “sonno” ma non è escluso che possa risvegliarsi. Bisogna togliergli l’acqua da cui può abbeverarsi, prima che possa quindi prendere le contromisure. Perché per un ministro è, allo stato dell’attuale legislazione, praticamente impossibile far ruotare i dirigenti da un incarico a un altro per rompere le incrostazioni che inevitabilmente si sono formate negli anni. Non si deve essere esperti di organizzazione del lavoro per comprendere che svolgere per anni lo stesso compito genera inefficienze e anche abitudini negative. E a Porta Pia c’è chi per oltre quindici anni ha gestito continuativamente le concessioni au-tostradali, per esempio. La legge Madia sulla pubblica amministrazione dovrebbe permettere il turnaround anche negli alti uffici ministeriali, ma è ancora all’esame del Parlamento. Delrio ha mutato il compito della Struttura tecnica di missione, quella da cui Incalza dirigeva le operazioni delle grandi opere: non più la gestione dei progetti, ma funzione di supporto alle scelte strategiche del ministro con la relativa valutazione dell’impatto. Sta partendo proprio ora il bando per la selezione dei membri che ne faranno parte. Il ministro cerca esperti al di sopra di ogni sospetto, privi di potenziali conflitti di interesse. La nuova Struttura tecnica sarà un organismo decisivo per la strategia di Delrio, per il passaggio dalla cultura dell’emergenza a quella della programmazione degli interventi. Al ministero Delrio governa con una catena di comando cortissima. Sono sei-sette le persone che si è portato da Palazzo Chigi. L’”uomo perno” è il capo di gabinetto Mauro Bonaretti, già city manager di Delrio sindaco di Reggio Emilia, poi segretario generale di Palazzo Chigi. E fedelissima è anche il capo dell’ufficio legislativo, Elisa Grande. Due i consulenti esterni importanti: Ennio Cascetta, professore di Pianificazione dei sistemi di trasporto all’Università di Napoli, docente al Mit di Cambridge (Usa), già assessore ai Trasporti della Regione Campania per circa un decennio nelle giunte di Antonio Bassolino, che ha redatto la strategica (erroneamente sottovalutata) riforma dei porti; e Ivano Russo, classe 1978, esperto di fondi europei, e già collaboratore di Giorgio Napolitano e poi di Delrio a Palazzo Chigi. Il nuovo codice degli appalti, approvato in prima lettura alla Camera e ora passato al Senato, supererà di fatto la logica emergenziale della Legge Obiettivo di Pietro Lunardi. L’Anac (l’Autorità centrale anticorruzione) di Raffaele Cantone ha già assunto il ruolo di vigilanza e controllo sulla regolarità degli appalti e ha assorbito le funzioni in precedenza svolte dall’Authority sui contratti pubblici e arbitro del mercato. La riforma degli appalti (più trasparenza, semplificazione normativa coerente con quella europea, divieto dell’affidamento in house per i concessionari, rating reputazionale per le aziende e fine delle varianti in corso d’opera) va di pari passo con il Piano pluriennale di interventi infrastrutturali che il ministero presenterà entro il prossimo mese di settembre. Ed è qui (per ora sulla carta) la svolta dal punto di vista strategico con la programmazione triennale delle priorità e non più delle liste dei lavori che è facile elencare ma difficile realizzare. In questo mutamento di approccio sarà importante il ruolo delle Regioni. Delrio punta a una sorta di patto pubblico, trasparente, non permanentemente negoziabile, tra il Mit e le varie Regioni: si decideranno le opere prioritarie, le risorse necessarie, quelle disponibili, e i tempi di realizzazione veri. Senza la ricerca del consenso con promesse a pioggia che raramente superano la prova con la realtà. Il caso della interminabile Salerno-Reggio Calabria è clamoroso ma non isolato, purtroppo. Quello dell’Anas può diventare un modello. Si è chiusa la lunga stagione di Piero Ciucci. Da Terna Rete Italia è arrivato il quarantanovenne Gianni Armani, voluto da Delrio ancor prima che dal premier Matteo Renzi. L’Anas deve recuperare credibilità ma anche cambiare modo di operare: più manutenzione straordinaria, meno nuove opere. Il che si traduce in meno costi finanziari e interventi più sostenibili sul piano ambientale. Così è stato costruito il nuovo contratto di programma (1,2 miliardi di finanziamenti pubblici previsti dalla legge di Stabilità) tra il ministero e l’Anas, che dovrebbe ottenere il via libera dalla prossima riunione del Cipe prevista per metà mese. D’altra parte oltre il 40 per cento degli 11 mila ponti e viadotti e delle 1.200 gallerie che insistono sui 25 mila chilometri di strade gestite dall’Anas, è stato realizzato prima del 1970. Basta davvero questo dato per comprendere come la priorità sia la manutenzione di opere ormai vetuste e non la realizzazione di nuovi collegamenti autostradali in un Paese che comunque continua ad avere una rete autostradale più lunga di quella sia della Francia, sia della Gran Bretagna. Resta però il problema del congestionamento della rete visto che quella italiana rappresenta circa il 9 per cento dell’intera rete europea mentre su di essa circola ben il 15 per cento delle autovetture dell’Unione. Tant’è che uno degli obiettivi del Piano pluriennale è quello di uscire dalla nostra storica dipendenza dalla gomma. Più ferro, nei centri abitati (metropolitane e tranvie) e anche nei collegamenti extraurbani. È questo uno dei punti strategici del “piano Delrio”. Un pezzo del nostro gap competitivo risiede esattamente qui, nella debolezza del sistema ferroviario (fatta salva la rete dell’alta velocità), in particolare nel Mezzogiorno e soprattutto per il trasporto merci, nell’insufficiente connessione tra le ferrovie e i porti. Il caso Melfi-Civitavecchia è invece emblematico di quel che bisognerebbe fare: due treni cargo al giorno partono dallo stabilimento lucano carichi di Jeep Renagade e di 500 X con destinazione il porto laziale che ha accettato la sfida del Lingotto, investendo risorse. Da qui le auto vengono trasferite sulle navi per il Nord America. È la logistica piegata alle esigenze della produzione. Ma è anche di più: è una parte importante, soprattutto in tempi di carenze finanziarie, della politica industriale che oggi non può più comporsi di grandi piani di sviluppo, deve adattarsi, essere pronta a modellarsi velocemente ai cambiamenti. Una politica industriale low cost dai margini potenziali, però, molto alti. C’è infine il dossier privatizzazione delle Ferrovie sul tavolo di Delrio. Entro il 2016 arriverà sul mercato il 40 per cento dell’intero gruppo. Riguarda Pier Carlo Padoan e il debito pubblico, quanto Delrio. Ma sono per tutti benefiche, per quanto razionate, dosi di mercato.
Roberto Mania, Affari&Finanza – la Repubblica 6/7/2015