Roberto Crivelli, La Gazzetta dello Sport 6/7/2015, 6 luglio 2015
BORG-MCENROE, 35 ANNI DOPO LA FINALE È ANCORA SENZA SCONFITTI
Ci sono momenti che diventano subito poesia, mentre li stai creando, mentre li stai vivendo. Gesti da leggenda, per sempre. Che la finale di Wimbledon del 1980, in programma il 5 luglio, giusto 35 anni fa, non fosse una semplice partita di tennis ma la sfida tra due mondi opposti, tra due modi agli antipodi di intendere lo sport e la vita, lo sapevano anche l’illustre prigioniero all’ergastolo a Robben Island di nome Nelson Mandela, che convinse una guardia del carcere a farsi portare una radio per ascoltarne la cronaca e quell’artista di gran talento capace di rivoluzionare l’arte contemporanea, un tal Andy Warhol, che si fece svegliare dalla mamma nell’appartamento newyorkese per non perdersi la diretta tv. Borg, l’orso svedese, freddo e glaciale, già quattro volte vincitore a Londra e, dall’altra parte, quel geniaccio linguacciuto di McEnroe, mancino tagliente come solo i diavoli sanno esserlo.
Per tre set c’è una partita, che il campione in carica conduce due set a uno. Poi, comincia la storia. Imperitura. Eterna. E un incontro di tennis si trasforma in un evento che trascenderà la semplice impresa sportiva per occupare definitivamente la memoria del mondo. Quello che mettono in scena Bjorn e John non è un tiebreak, ma l’apoteosi di una rivalità come non ne esisteranno più e uno dei più emozionanti momenti nella lunghissima favola dell’agonismo. Dura venti minuti, Borg ha cinque match point, McEnroe sei set point prima di chiudere sul 18-16 e vincere il parziale , con la gente muta durante gli scambi e stranita dopo. SuperMac, come sempre, la racconterà giusta: «Dopo pochi punti, il pubblico si è reso conto che stava assistendo a qualcosa di magico, a qualcosa che sarebbe rimasto per sempre, superiore a una semplice partita. E lo abbiamo capito anche noi».
Bjorn non ha mai avuto davanti un avversario così e dopo il ritiro lo rivelerà: «Quel giorno, e in quel tiebreak, mi sono reso conto che non sarei più stato il più forte giocatore del mondo ancora a lungo». Eppure, non era ancora arrivato il momento della resa, del cambio della guardia. Nel quinto set, lo svedese ha un rendimento assolutamente pazzesco al servizio, cedendo solo tre punti e, nel 14° gioco, ottiene il break decisivo e può inginocchiarsi dopo 3 ore e 53 minuti di uno spettacolo inimitabile: «Mentalmente, non ho mai giocato un set così: né prima, né dopo». La partita più famosa di tutti i tempi va in archivio con il quinto e ultimo successo di Bjorn a Wimbledon. Ma come accade al di fuori delle cose terrene, non esiste uno sconfitto. Quel pomeriggio, hanno vinto entrambi. E ha trionfato il rispetto.