Sergio Romano, Corriere della Sera 5/7/2015, 5 luglio 2015
ANDRÉ MASSENA E NAPOLEONE UN SOGNO INIZIATO A NIZZA
Mi riferisco alla sua risposta su Eugenio di Savoia in cui ha citato André Massena, eroe della battaglia di Rivoli. Mi sa dire qualcosa di più?
Daria Emili
Bologna
Cara Signora,
Andrea Massena (come si chiamava alla nascita) fu il più italiano dei marescialli napoleonici. Nacque nel 1758 a Nizza, quando la città e il suo territorio facevano parte del Regno di Sardegna. Era figlio di un mercante di vino, ma preferì il mestiere delle armi e fece le sue prime esperienze militari, come semplice soldato, in un reggimento piemontese. Quando la rivoluzione francese e il suo esercito cominciarono a contagiare i Paesi vicini, Massena si arruolò nell’armata del Mezzogiorno, comandata dal generale Anselme, e gli fu molto utile quando i francesi si impadronirono di una terra, la contea di Nizza, che la giovane recluta conosceva perfettamente.
Come accadeva abbastanza spesso in quei tempi, fece una carriera folgorante. Combatté brillantemente fra il Piemonte e la Liguria, attrasse su di sé l’attenzione delle autorità parigine, divenne generale di brigata. Quando Bonaparte scese in Italia, ne scoprì il talento e ne favorì la carriera con importanti incarichi sul fronte nord-orientale dove il nizzardo, non ancora trentenne, dovette misurarsi con i più anziani generali austriaci. Fu per qualche tempo, all’epoca dei trattati franco-austriaci di Leoben (quelli che precedettero il trattato di Campoformio), il braccio destro della diplomazia di Bonaparte e il suo inviato alla corte di Vienna. Tornato a Parigi, fu accolto e festeggiato come un trionfatore.
Coltivava ambizioni politiche e cercò di contrastare quelle di Napoleone, ma aveva un vizio di cui non riuscì mai a curarsi: una certa inclinazione a trarre ogni vantaggio possibile dalla sua autorità. Quando fu inviato a Roma, nel 1798, per fare degli Stati della Chiesa una Repubblica laica, la sua autorità fu contestata dalla tumultuosa protesta di coloro che, nel suo esercito, lo accusavano di «dilapidazioni», avarizia e cupidigia. Umiliato, dovette invocare la protezione dell’uomo a cui aveva cercato di sbarrare la strada e ottenne il comando dell’Esercito di Elvezia. Ancora una volta le sue qualità militari, soprattutto contro l’esercito russo, gli restituirono il prestigio perduto.
Tornato in Italia, Massena si distinse durante l’assedio austriaco di Genova quando, asserragliato nella città, riuscì a mantenerne il possesso per qualche mese e a favorire così la vittoria di Napoleone a Marengo. Era nemico politico di Bonaparte, ma Napoleone, imperatore dal 1804, sapeva trattare generosamente i suoi avversari. Lo fece maresciallo nello stesso anno, principe di Essling dopo la guerra contro l’Austria nel 1809, e gli fece intravedere la corona portoghese se fosse riuscito a battere gli inglesi di Wellington nella penisola iberica. Ma fallì: sfortuna, certo, ma anche qualche errore strategico e, soprattutto, quella fama di cupidigia che lo accompagnò durante una buona parte della sua vita e lo esponeva spesso al malumore dei suoi soldati.
Caduto in disgrazia, Massena non partecipò alle campagne del 1812 in Russia e Germania, fu tenuto lontano da Parigi, ebbe incarichi minori nella Francia meridionale. Nessuno fu sorpreso quindi dal suo rapido salto di campo nel 1814 quando salutò entusiasticamente il ritorno dei Borbone e riuscì così a conservare titoli e prebende. Fece qualche altro salto acrobatico durante il ritorno di Napoleone dall’Elba, ma senza troppo esporsi in un senso o nell’altro. Dovette affrontare le accuse di coloro che gli rinfacciavano le pagine meno onorevoli del suo passato e continuare a difendersi negli ultimi della sua vita. In una Enciclopedia biografica universale , pubblicata in Francia ma edita in italiano a Venezia con aggiunte e correzioni nel 1827, leggo che «morì a Parigi il dì 4 di aprile del 1817, in uno stato di disfacimento, frutto di tardo e immoderato uso di voluttà». Quando dovette parlare del suo vecchio compagno d’arme a Sant’Elena, Napoleone fu più generoso. Elencò tutti i suoi difetti, ma scrisse che «al primo colpo di cannone, in mezzo alle palle e ai pericoli, il suo pensiero acquistava forza e chiarezza».