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 2015  luglio 06 Lunedì calendario

ARTICOLI SULLA GRECIA DAI GIORNALI DI LUNEDI’ 6 LUGLIO 2015


Yanis Varoufakis si è dimesso. Lunedì mattina il ministro delle Finanze di Atene ha annunciato in un post sul suo blog che abbandona il suo posto nel governo di Alexis Tsipras. «Subito dopo il referendum sono stato reso consapevole di una certa preferenza di alcuni partecipanti dell’Eurogruppo per la mia… assenza da quegli incontri», un’idea giudicata dal primo ministro potenzialmente di aiuto per lui in vista del raggiungimento di un accordo. Tsipras dunque offre la testa di Varoufakis sul piatto ai governi creditori, come anticipato dal Corriere sul giornale di questa mattina. È un’uscita di scena polemica, che forse destabilizzerà il governo greco. Resta da capire se basterà al raggiungimento di un accordo in Europa [Federico Fubini, Corriere.it 6/7].

Vittorio Da Rold: «Alexis Tsipras si libera dell’ingombrante economista “marxista”, usato dal premier come testa di ariete per rompere la spirale di piani di aiuti il cui unico scopo era aggravare la recessione in atto con nuove misure di austerità senza affrontare il tema del taglio del debito da 320 miliardi di euro pari al 180% del Pil. Varoufakis ha però esagerato in questa contrapposizione con la troika al punto che al summit di Riga è stato definito “un perditempo, un giocatore d’azzardo, un dilettante ” dai suoi colleghi. Varoufakis ormai rischiava di essere una presenza ingombrante, soprattutto non ha mai amato il lavoro oscuro di “cacciavite” sui conti pubblici ( parole di Romano Prodi) per frequentare le ribalte dei convegni internazionali dove era ricevuto come una star. Gli è stato fatale un servizio giornalistico francese che lo ritraeva con sua moglie dalla terrazza con vista sull’Acropoli, della sua casa ad Atene» [Vittorio Da Rold, ilsole24ore.com 6/7].

Già in maggio Tsipras aveva in qualche modo ridimensionato il ruolo di Varoufakis, affiancandogli altri negoziatori come Yannis Dragasakis (più moderato) e Euklid Tsakalotos (più «falco») nel tentativo di facilitare le trattative. Quel rimpasto però non è servito. I prossimi giorni diranno se l’uscita di scena totale di Varoufakis, per lo meno dal governo, avrà un effetto diverso. Dopo il «No» al referendum nulla è più scontato [Federico Fubini, Corriere.it 6/7].

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LORENZO SALVIA, CORRIERE DELLA SERA – 
E’ stata un’altra giornata del No, per la Grecia. Ed è un No che va al di là delle previsioni, supera le attese degli ultimi giorni. Con oltre il 60% dei voti, a scrutinio ancora in corso, Atene ha respinto il memorandum d’intesa che i Paesi creditori avevano messo sul tavolo di Bruxelles dieci giorni fa. E poco cambia se quell’accordo nel frattempo era stato ritoccato, poi modificato, alle fine pure ritirato.
Quello che arriva da Atene non è solo un No all’austerità. E’ un urlo che sale dalla pancia del Paese, quella che ieri sera si è ritrovata in Piazza Syntagma e piazza Klafthmonos, per celebrare una giornata vissuta come una liberazione, come una festa dell’orgoglio nazionale. E’ una risposta che supera il quesito stampato sulle schede infilate ieri nelle urne di plastica trasparente. In alcuni casi è un No all’Europa, o almeno a questa Europa a trazione tedesca. In altri casi è un No all’euro, anche se il ritorno alla dracma è solo un punto interrogativo.
L’affluenza è rimasta al di sotto delle attese, intorno al 65%. Comunque oltre il quorum necessario per rendere valido il voto, fissato al 40%. I sostenitori del Sì erano pronti ad accusare il governo per non aver consentito di votare ai greci residenti all’estero, probabilmente più orientati verso il Sì. Ma il distacco finale rende debole anche questo argomento.
Gli exit poll diffusi subito dopo la chiusura delle urne - alle 19 ora locale, le 18 in Italia - davano il No in vantaggio ma con un margine ridotto. E i sondaggi diffusi negli ultimi giorni davano le due posizioni ancora più vicine, indicando in alcuni casi il Sì in vantaggio. Pure qui sbagliano, evidentemente. Persino i sondaggi riservati di Syriza, il partito di governo, davano il No in vantaggio con un distacco ridotto, 4 o 5 punti.
Ma il primo ministro Alexis Tsipras se lo sentiva che sarebbe andata così: «Oggi è un giorno di festa, perché la democrazia è una festa» aveva detto dopo aver votato nel quartiere popolare di Kypseli. «La Grecia — dice in serata in diretta tv — da domani vuole sedersi di nuovo al tavolo delle trattative: vogliamo continuarle con un programma reale di riforme ma con giustizia sociale». E poi aggiunge: «Dobbiamo riarticolare la questione del debito, non solo per la Grecia ma anche per l’Europa». «Oggi il popolo greco — ha concluso — non ha risposto se dobbiamo rimanere dentro o fuori dall’euro, e questa domanda è fuori dalla discussione, ma il popolo greco ha detto che vuole un’Europa di solidarietà e democrazia».
A sera parla il ministro delle Finanze Yanis Varoufakis: «Volevano umi liarci per la nostra resistenza - dice davanti alle telecamere in maglietta grigia - ma adesso l’Europa inizia a guarire le sue ferite, le nostre ferite». E ancora: «Con questo coraggioso “No” che il popolo ci ha dato, non tenendo conto della paura e dello stato di terrore che è stato creato, tenderemo una mano per collaborare con i nostri compagni e chiameremo ognuno di loro a cercare di trovare un luogo comune». Secondo Varoufakis, il No di ieri è un «grande Sì alla democrazia, un No all’eurozona intesa come bunker blindato ma Sì a un’Europa di benessere e speranze future per tutti».
Il risultato di ieri rafforza il governo di Syriza. Sia Tsipras che Varoufakis avevano detto che in caso di vittoria del Sì si sarebbero dimessi. Si indebolisce ancora di più, invece, il principale partito dell’opposizione, Nuova democrazia: le dimissioni del segretario ed ex premier Antonis Samaras vengono chieste direttamente dalla vice, Dora Bakoyannis, ex sindaco di Atene che si è candidata direttamente a sostituirlo. Samaras fa il passo indietro quando manca ormai poco alla mezzanotte.
Tutto questo, però, non risolve i problemi di un Paese che dal 2009 ad oggi ha visto scendere gli stipendi del 37% e le pensioni del 48%.
Anche se adesso l’urgenza è un’altra. Le banche greche, che sono rimaste chiuse per tutta la settimana e hanno razionato i prelievi al bancomat per le misure sul controllo dei capitali, potrebbero presto esaurire le scorte di liquidità. A meno che la Banca centrale europea non metta a disposizione linee di credito di emergenza .
Lorenzo Salvia

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IVO CAIZZI, CORRIERE DELLA SERA –
La clamorosa vittoria del governo nel referendum in Grecia ha iniziato a scuotere il sistema di potere dell’Unione europea, guidato dalla Germania con l’appoggio della Francia. Ma la cancelliera tedesca di centrodestra Angela Merkel ha già annunciato un incontro a due stasera con il presidente socialista francese Francois Hollande, a Parigi, per «una valutazione comune della situazione». Entrambi hanno chiesto e ottenuto per domani un Eurosummit dei 19 capi di Stato e di governo della zona euro, che sarà preceduto da un Eurogruppo dei ministri finanziari.
Nei Palazzi di Bruxelles la tensione è salita di colpo. Non sanno come procedere dopo le irrituali prese di posizione della Germania e dei vertici delle istituzioni Ue, che hanno messo da parte la regola di non ingerenza negli affari interni dei Paesi membri per sostenere di votare «sì» contro il «no» del premier ellenico di estrema sinistra Alexis Tsipras. L’obiettivo appariva far cadere il governo ellenico e riprendere la trattativa tra Atene e i rappresentanti dei creditori (Commissione europea, Bce e Fmi di Washington) con un esecutivo più disponibile ad accettare misure di austerità. Non era previsto un Piano B in caso di vittoria di Tsipras.
Merkel, secondo il settimanale tedesco Spiegel, ha detto a membri del suo partito Cdu che il premier greco sta portando il suo Paese «a schiantarsi contro un muro». Insieme al suo ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble ha scelto la linea dura, che ha impedito l’accordo di compromesso con Atene e ha portato al referendum ellenico. La Germania intenderebbe far uscire comunque la Grecia dalla zona euro: per usarlo come esempio della necessità di ridurre la sovranità nazionale dei Paesi con maxi-debito nelle politiche economiche e di bilancio. «Tsipras ha distrutto l’ultimo ponte verso un compromesso tra Europa e la Grecia», ha detto il vicecancelliere socialdemocratico tedesco Sigmar Gabriel.
Hollande ha sempre mediato per trovare un compromesso, inizialmente con l’appoggio del premier Matteo Renzi. Poi si è trovato isolato e alla fine si era riallineato a Merkel. Ora intenderebbe far riaprire il dialogo politico con Tsipras. Il ministro francese dell’Economia Emmanuel Macron ha anticipato che la vittoria del «no» in Grecia «non significa automaticamente l’uscita di Atene” dalla zona euro. E ha invitato i governi a non replicare il «Trattato di Versailles» dopo la Prima guerra mondiale e «a non punire la Grecia come avvenne con la Germania».
Gli alleati di Berlino, a partire dai Paesi del Nord e dell’Est, appaiono egualmente determinati. Il presidente filo-Merkel dell’Eurogruppo, l’olandese Jeroen Dijsselbloem, ha definito «spiacevole» la vittoria del «no» e ha annunciato «misure difficili» per Atene. Esponenti della Cdu di Merkel hanno addirittura esortato la Bce a bloccare la liquidità di emergenza alle banche elleniche, che paralizzerebbe l’economia nazionale. Ma il presidente della Bundesbank Jens Weidmann, secondo il quotidiano tedesco Handelsblatt, ha ammonito Merkel che Atene fuori dall’euro provocherebbe pesanti perdite alla Germania (e a Francia e Italia). Il governo greco ha invece chiesto alla Bce di aumentare subito la liquidità d’emergenza per consentire la riapertura delle banche nazionali da domani. «I nostri creditori devono rendersi conto che la realtà è cambiata», ha dichiarato Euclid Tsakalotos, uno dei negoziatori greci pronti a ritornare a Bruxelles.
Per ora i movimenti europei anti-austerità e «contro l’Europa dei banchieri» esultano. Nella sede di Syriza ad Atene esponenti delle sinistre di Italia, Spagna, Francia, Portogallo e Germania hanno ipotizzato una federazione europea per cambiare l’attuale sistema di potere dell’Ue.
A trovarsi in imbarazzo a Bruxelles appare il presidente lussemburghese della Commissione europea Jean-Claude Juncker, che si è schierato con Merkel per il «sì» e può avere difficoltà a continuare nel suo ruolo di mediatore indipendente nella trattativa tra Atene e i creditori. Ha annunciato che oggi si consulterà con i presidenti delle altre istituzioni schieratesi per il sì, il polacco Donald Tusk (Eurosummit), Dijsselbloem (Eurogruppo) e Mario Draghi (Banca Centrale Europea).
Ivo Caizzi

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FRANCESCO BASSO, CORRIERE DELLA SERA – 
La domanda, quella sarà fatta a prescindere dal risultato del referendum. Un portavoce del governo ellenico ieri sera ha detto che la Banca centrale greca farà richiesta alla Banca centrale europea di innalzare il tetto Ela (Emergency liquidity assistance) sulla liquidità d’emergenza per gli istituti di credito ellenici, che al momento è congelato a 89 miliardi di euro e che di fatto è l’unica fonte di sostegno per Atene dopo che è scaduto il 30 giugno scorso il secondo piano di salvataggio. La richiesta dovrebbe essere esaminata questa mattina dal board della Bce.
La situazione è molto critica. Una volta chiuse le urne, il ministro delle Finanze Yannis Varoufakis ha incontrato i banchieri e convocato per la tarda serata un vertice con i funzionari della Banca centrale greca. Il capo dei negoziatori della delegazione ellenica, Euclid Tsakalotos, parlando in tv ha annunciato che il governo non ha intenzione di emettere una moneta parallela e riferendosi ai creditori internazionali ha detto di non pensare «che ci cacceranno via dall’euro». Insomma, ha escluso con energia l’ipotesi di una Grexit. Tra le promesse fatte in campagna elettorale a sostegno del «No» c’era anche che le banche avrebbero riaperto al più presto. Era stato promesso un accordo in 48 ore. Secondo media finanziari greci la Banca centrale ellenica potrebbe chiedere alla Bce sei miliardi di liquidità d’emergenza. Mentre il Financial Times riferisce che si sarebbe discusso di un nuovo tetto di 20 euro ai prelievi giornalieri. I bancomat sono al limite della loro capacità. In alcuni casi le banconote da venti euro sono terminate e i greci riescono a prelevare solo 50 euro alla volta invece dei 60 consentiti. In più la viceministra delle Finanze, Nadia Valavani, ha spiegato che i greci non potranno nemmeno ritirare i contanti lasciati nelle cassette di sicurezza delle banche fino a che resta in vigore la restrizione sul movimento dei capitali, che sta creando molti problemi anche alle imprese, ormai in ginocchio (le transazioni internazionali, necessarie ad esempio per rifornirsi di materie prime, sono limitate).
Già venerdì scorso la presidente dell’Unione delle Banche greche, dopo un incontro straordinario con il vicepremier Yannis Dragasakis, il ministro delle Finanze Yanis Varoufakis e i presidenti e gli amministratori delegati di cinque banche greche (le quatto considerate sistemiche, ovvero Alpha, Eurobank, Nbd e Piraeus, più Attica) aveva lanciato l’allarme spiegando che gli istituti ellenici hanno «un cuscinetto di liquidità» pari a un miliardo di euro e che oggi ci sarebbe stato «un problema serio di finanziamento» delle banche se non verrà alzato il tetto dell’Ela. I prelievi dai bancomat procedono alla velocità di 300 milioni di euro al giorno. A questo ritmo il collasso è dietro l’angolo.
Per ricevere la liquidità di emergenza della Bce le banche elleniche devono essere solvibili, questo è quanto prevede l’Ela. In presenza del vecchio programma di salvataggio, ormai scaduto, le condizioni a cui si finanziavano gli istituti di credito greci erano più vantaggiose rispetto a quanto potranno essere quelle attuali. Venendo meno la «protezione» dell’accordo con i creditori internazionali legata alla liquidità messa a disposizione dal fondo salva-Stati e dal Fmi, qualora decidesse di mantenere l’Ela e di non chiedere la restituzione dei prestiti finora elargiti, la Bce si troverà costretta probabilmente ad aumentare lo «sconto» sul valore dei titoli greci portati in garanzia dalle banche, di fatto tagliando la liquidità d’emergenza. In questo modo la sopravvivenza della banche greche sarebbe davvero questione di giorni.
Tanto più che il capitale degli istituti di credito ellenici è costituito quasi esclusivamente da crediti d’imposta verso lo Stato e da titoli di Stato greci. Quello stesso Stato che è considerato «in arretrato» dal Fmi dopo il mancato pagamento, il 30 giugno scorso, della rata da 1,55 miliardi e che ha altre scadenze nei prossimi giorni, tra cui la più importante è quella da 3,5 miliardi con la Banca centrale europea il 20 luglio. Se Atene fosse insolvente, allora andrebbe in default, con tutte le conseguenze che ciò comporta inclusa un’eventuale uscita dall’euro, che avrebbe dei costi altissimi per tutti. Ieri la Bundesbank guidata dal falco Jens Weidman ha avvertito la cancelliera Angela Merkel che in caso di Grexit le perdite creerebbero un buco non indifferente nel bilancio federale tedesco per i prossimi anni.
Francesca Basso

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FEDERICO FUBINI, CORRIERE DELLA SERA – 
S ventolano le bandiere del No nella notte di piazza Syntagma e su almeno uno slogan di quei manifesti chiunque sarà d’accordo: graphoume istorìa , «scriviamo la storia». Dopo cinque anni di agonia, la Grecia di Alexis Tsipras ha consumato il più grande strappo nella storia di 65 anni di integrazione europea. Da stamattina il premier greco dovrà fare i conti con le sue promesse che, entro poche ore, rischiano di rivelarsi altrettante menzogne: aveva detto che l’accordo con il resto d’Europa ora sarebbe stato più facile, che la Grecia sarebbe rimasta nell’euro e le banche avrebbero riaperto domani. Non è certo che gli elettori manterranno l’ordine pubblico, quando scopriranno di avere a che fare con l’ennesimo demagogo.
La Grecia ora è più sola e entra in un capitolo nuovo, del tutto imprevedibile. Ma riletta ora, in un’Atene lacerata, c’è un’altra pagina di storia che all’improvviso appare, perversamente, l’atto fondante di questa Unione Europea: la guerra di Spagna. Fu quello il primo episodio in cui migliaia di ragazzi da tanti Paesi accorsero a schierarsi nella guerra ideologica di uno solo.
La Grecia di oggi non è la Spagna degli Anni 30, se non altro perché per fortuna non è teatro di una guerra.
E ppure un’occhiata ai voli delle compagnie a basso costo che servono Atene da Roma o Madrid, qualche dubbio lo dà: fa sospettare che la battaglia (politica) per la Grecia abbia una posta più vasta del futuro del Paese o anche solo della moneta unica, e che l’Europa fatichi terribilmente a liberarsi dei dèmoni della sua storia. In questi giorni la capitale greca è diventata la meta di migliaia di militanti e tifosi della politica accorsi a partecipare, respirare l’aria, sostenere Tsipras. Il pellegrinaggio di Beppe Grillo è solo il caso più chiassoso di un fenomeno di per sé tutt’altro che negativo. Da tempo l’Europa è politica interna. Il referendum consumato ieri sera però segna un salto di qualità e spiega in parte perché ci sentiamo tutti piombati in questo labirinto ellenico. Il dramma della Grecia si è scaricato sugli altri Paesi con una potenza emotiva senza precedenti, ma in Italia e in Spagna più che altrove perché in questi Paesi il No ha riscosso il sostegno più forte: quello di M5S e di Podemos.
Al netto del tragico radicalismo di Tsipras, è questa ramificazione europea che contribuisce a spiegare perché l’accordo con Atene è stato impossibile. Guidati dalla Germania, i creditori hanno cercato di sanzionare la condotta irresponsabile della Grecia anche per fermare il contagio della sua politica anti-sistema. L’inflessibilità era intesa anche come messaggio agli elettori di altri Paesi. Atene è diventata un simbolo così potente che pochi si sono accorti che nel frattempo il suo governo stava cambiando natura: da forza di sinistra, a partito della nazione tutto «dignità», intimidazioni ai poteri indipendenti e ammiccamenti al ruolo dell’esercito per mantenere l’ordine. Ora la Grecia si è auto-imposta la sua sanzione. Ma se Angela Merkel pensa che l’ulteriore disastro sociale che aspetta quel Paese raffreddi le forze anti-sistema altrove, rischia nuove delusioni.
Non si gestisce l’euro con le sanzioni esemplari. All’alienazione degli elettori che si sentono privati dei diritti economici, si risponde con un’integrazione non più solo monetaria ma politica e più attenta al dolore degli esclusi. Tsipras ha scelto il salto nel buio. A maggiore ragione chi è più forte in Europa adesso deve far prova di forza tranquilla e maggiore senso di responsabilità: spetta ai leader di oggi dimostrare che l’Europa è più forte dei suoi dèmoni di ieri.
Federico Fubini

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DAVID CARRETTA, IL MESSAGGERO –
Le sorti immediate della Grecia nella zona euro sono nelle mani della Banca Centrale Europea, dopo che il successo del “no” nel referendum di ieri ha confermato la rottura tra il governo di Alexis Tsipras e i suoi creditori. Il Consiglio dei governatori si riunirà oggi in teleconferenza per decidere se tagliare il programma di liquidità di emergenza ELA, con cui ha mantenuto a galla le banche greche dall’arrivo di Tsipras al potere. Finora l’istituzione presieduta da Mario Draghi aveva scelto una linea attendista, evitando di intervenire in una disputa che considera politica tra Atene e i suoi creditori.
LE IPOTESI
Ma il successo del “no” potrebbe costringere la Bce ad agire. Con il “no” sarà «più difficile raggiungere un accordo e questo ha delle conseguenze per le nostre analisi e decisioni», aveva spiegato il vicepresidente della Bce, Vitor Constancio, prima dei risultati del referendum. Per limitare la sua esposizione, la Bce potrebbe tagliare il programma ELA o imporre un “haircut” più significativo sui titoli dati in garanzia dalle banche. Ma anche un rifiuto del Consiglio dei governatori di aumentare il tetto di liquidità di emergenza, attualmente a 89 miliardi, potrebbe portare a un fallimento del sistema bancario. Il ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis, ieri sera si è riunito con il governatore della Banca centrale greca, Yannis Stournaras, e i dirigenti delle principali banche. Atene ha annunciato una richiesta per aumentare il tetto del programma ELA. Ma difficilmente il Consiglio dei governatori acconsentirà, dopo aver deciso di sospendere ulteriori iniezioni di liquidità a causa della rottura dei negoziati. La crisi è grave, a prescindere dal “no”. Da dicembre dello scorso anno fino alla fine di maggio, erano usciti dai conti greci oltre 40 miliardi. A fine giugno si è registrata un’altra accelerazione della fuga bancaria. Venerdì restava solo un miliardo per alimentare i bancomat presi d’assalto. Senza altra liquidità d’emergenza, i principali istituti di credito ellenici non saranno in grado di far fronte alle richieste. Nel frattempo, il viceministro delle Finanze, Nadia Valavani, ha annunciato che non sarà fatto uscire contante dalle cassette di sicurezza.
Senza ulteriori aiuti dalla Bce, ad Atene non resterebbe altro che ricapitalizzare le banche con rimedi estremi. Il governo greco ha smentito le indiscrezioni del Financial Times secondo cui sarebbe pronto a imporre perdite del 30% sui conti correnti sopra gli 8 mila euro. Viste le regole europee sulle garanzie per i depositi sopra i 100 mila euro, l’operazione potrebbe prendere la forma di una tassa patrimoniale sui conti. Secondo alcuni analisti, per riaprire le banche il governo Tsipras potrebbe introdurre di una moneta parallela, ma significherebbe compiere un passo definitivo verso la Grexit.
Il Consiglio dei governatori è pronto a muoversi anche contro il rischio di effetto contagio. Con molta discrezione, la Bce da mesi studia gli scenari di un default e di un’uscita dall’euro. Diversi governi hanno consultato Francoforte nelle ultime settimane. Il Consiglio dei governatori potrebbe confermare di essere pronto a mettere in campo, non solo il programma del Quantitative Easing e lo scudo anti-spread OMT, ma anche nuovi strumenti in caso di pericolo per altri Stati membri dell’euro. «Nelle circostanze attuali di grande incertezza europea e mondiale, la Bce è stata chiara sul fatto che se necessario farà di più», ha spiegato ieri il membro del board, Benoît Coeuré: «Si troveranno gli strumenti necessari».
David Carretta

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LUCA CIFONI, IL MESSAGGERO –
Due settimane di fuoco attendono la Grecia. A meno di un clamoroso cambio di rotta lungo l’asse Bruxelles-Berlino, il sistema bancario ellenico rischia di restare senza liquidità al più tardi entro il prossimo 20 luglio. E nel momento in cui la Bce non sarà più la banca centrale dei greci, sarà difficile per l’intero Paese non ritrovarsi di fatto al di fuori dell’euro.
VELOCITÀ
Il corso degli eventi potrà risultare più o meno accelerato soprattutto in base a quel che decideranno i creditori, che però difficilmente possono essere rappresentati come un fronte compatto. Una prima indicazione si dovrebbe avere già stamattina, quando si riunirà a Francoforte il Consiglio direttivo della Bce. Non è detto che l’opzione del taglio del programma Ela, ovvero della liquidità di emergenza alle banche greche, sia subito sul tavolo. È altamente improbabile però che possa essere accolta la richiesta greca di aprire di più i rubinetti. La quantità di fondi potrebbe essere mantenuta al livello attuale, ma è anche possibile che sia decisa una prima riduzione parziale. In queste condizioni è difficile ipotizzare che le banche greche possano essere riaperte in tempi brevi, a meno che la banca centrale greca sia in qualche modo indotta a finanziare in proprio gli istituti di credito, il che però è contro i Trattati europei e dunque in ultima analisi porterebbe ugualmente lo Stato ellenico al di fuori del sistema della moneta unica.
Intanto il calendario di luglio porterà giornate sempre più complicate. Il 10 luglio scadono titoli di Stato a breve per 2 miliardi di euro. In circostanze normali le stesse banche greche avrebbero dato una mano sostanziale per rinnovarli ma al momento difficilmente avrebbero i mezzi per farlo. Il 13 luglio la Grecia dovrebbe restituire al Fondo monetario un’altra rata da 450 milioni circa, che con tutta probabilità andrà ad aggiungersi agli 1,6 miliardi non onorati a fine giugno e dichiarati da Washington “arretrati”. Il 17 luglio c’è un altro miliardo di titoli di Stato da rinnovare. Quel che può accadere fin qui sarà in qualche modo oggetto di valutazioni politiche; ma la scadenza del 20 luglio è più importante, perché le scelte della Bce appaiono obbligate, con margini di discrezionalità inesistenti o quasi. Ammontano a 3,5 miliardi i titoli di Stato greci detenuti da Francoforte: direttamente per circa il 60 per cento, attraverso le altre banche centrali per il restante 40. Risalgono al default del 2012: se Atene non sarà in grado di ripagarli, diventerà ufficialmente insolvente nei confronti dell’Eurotower. Così non ci sarebbero le condizioni giuridiche per una prosecuzione del programma di emergenza Ela, e i falchi del board non faranno a meno di rilevarlo.
SVALUTAZIONE
A quel punto - se non sarà stata raggiunta una qualche forma di intesa - gli eventi sono destinati a precipitare. Senza liquidità le banche non potranno continuare a essere operative, e dunque rischia di bloccarsi l’intero sistema dei pagamenti, con tutte le conseguenze sull’attività economica. Del resto gli istituti di credito non saranno nemmeno in condizione di erogare prestiti. E la mancata disponibilità di valuta toccherà prima o poi anche il governo, che con tutta probabilità sarà costretto (anche se ieri fonti ufficiali lo smentivano) ad adottare una sorta di moneta parallela per pagare pensioni e stipendi. Moneta che inevitabilmente si svaluterebbe del 30-40 per cento, forse anche di più. Sarebbe l’inizio di un’altra storia: gli analisti sono piuttosto concordi nel prevedere per la Grecia una recessione ancora più severa di quella che ha caratterizzato gli ultimi anni di cura della troika. Per il governo greco si porrebbe anche il problema di trovare canali di finanziamento alternativi. Nelle settimane scorse ci sono stati contatti con la Russia, resta da vedere in che misura potrebbero eventualmente tradursi in prestiti effettivi.
Luca Cifoni

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STEFANO LEPRI, LA STAMPA – 
Come si fa a mandare avanti una economia senza banconote? Molti greci hanno votato no perché «peggio di così non può andare». Purtroppo potrà andare ancora peggio: supermercati vuoti, pompe di benzina chiuse, nessuno salda i conti.
E se va avanti così imprese fallite, altri disoccupati. Già si ricorre a promesse di pagare, perfino a baratti.
Forse davvero nulla da perdere l’avevano i giovani, che si sono schierati in massa per il no. Proprio perché esclusi dal mercato del lavoro non si sono resi conto delle conseguenze. Il micidiale circolo vizioso riassume gli errori di entrambe le parti: troppo dura l’austerità imposta da fuori, troppo cauti verso privilegi e interessi costituiti tutti i governi greci.
Le banche hanno discusso se ridurre il prelievo massimo giornaliero ai bancomat da 60 a 20 euro. E anche se ce ne fosse, di circolante, come ridare ossigeno agli affari senza continuare a gonfiare il tesoro sotto i materassi e dentro le cassette di sicurezza? Anzi no, la viceministra Nadia Valavani, poi smentita, aveva detto ieri sera che il denaro nelle cassette di sicurezza è bloccato.
Ogni ora di incertezza su euro o ritorno alla dracma porterà nuovi danni. La voce di una tosatura dei depositi (il 30%, quando nell’Italia del 1992 bastò lo 0,6% del governo Amato a invelenire la gente) è stata smentita; però non è inverosimile. La sinistra dogmatica di Sriza l’ha sempre avuta nei suoi piani; potrebbe essere il rimedio estremo.
Le banche greche non sono in grado di riaprire stamattina né lo saranno domani. Entro pochi giorni alla mancanza di liquidità potrebbe subentrare una vera e propria insolvenza. Senza l’appoggio di emergenza della Bce, le banche sono già in linea di principio fallite. La Bce, che si riunisce stamattina, riceverà dalla Banca di Grecia una richiesta di aumento.
In queste prime ore del dopo-no Mario Draghi è appunto il più esposto. La Bce in materia ha delle regole assai tecniche da seguire che ora tutti si sforzano di interpretare. Dalla parte opposta, la Bundesbank tedesca da settimane premeva già per ridimensionare l’Ela (questa la sigla tecnica dell’aiuto di emergenza); in Germania ieri c’era chi chiedeva di troncarlo subito.
La bussola di Draghi resta che il caso è politico e tutte le decisioni rilevanti saranno prese dai governi. Ma ora il suo sforzo di equilibrio diventa sempre più difficile. Aumentare l’Ela non si può, tenerlo invariato lascia le banche greche in difficoltà. Uno che se ne intende, l’ex ministro del Tesoro Usa Larry Summers, invita a una «improvvisazione costruttiva».
Con un po’ di fantasia si potrà andare avanti fino al 20 luglio quando il mancato pagamento del debito verso la Bce renderà inevitabile tagliare i legami, perché l’Ela non può essere garantito da titoli di un Paese insolvente. Di conseguenza le quattro banche più grandi della Grecia, vigilate da Francoforte, saranno dichiarate fallite; il governo potrebbe nazionalizzarle, ma poiché non ha denari dovrebbe appunto espropriare una parte dei depositi oppure avviare il ritorno alla dracma.
Il risvolto drammatico della paralisi è che mano a mano che i giorni passano il salvataggio della Grecia si fa più oneroso. Sarà costoso politicamente per Alexis Tsipras, costretto a chiedere sacrifici in tutte le evenienze, anche con l’uscita dall’euro. Si gonfia la somma degli aiuti europei che sarebbero necessari a mandare avanti la Grecia.
Nel suo documento dell’altro giorno il Fondo monetario internazionale aveva calcolato il minimo indispensabile di aiuti in 30 miliardi di euro fino a settembre 2016, 52 arrivando fino al 2018; già a margine correggeva quest’ultima cifra in 60 o più. Ogni giorno che passa, rischiano di servirne altri ancora. E quel conto prendeva come base l’accordo che il referendum ha respinto.
Inevitabilmente nei Paesi euro più ostili alla Grecia il voto di ieri sarà interpretato come un «60 miliardi non ci bastano, datecene altri». Pur se Francia e Italia si dicono disposte a riaprire subito il negoziato, due settimane possono passare in fretta; specie con un governo così incline ai passi falsi come quello di Atene.

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TONIA MASTROBUONI, LA STAMPA – 
A novant’anni, il nonno di Achille Hekimoglou, ex partigiano comunista sopravvissuto a sei pallottole dei nazisti, ha lasciato i suoi risparmi in banca. E ha votato «sì». Perché crede nell’Europa.
Non si fida dei nipoti dei «suoi» comunisti, della sinistra radicale che sei mesi fa, per la prima volta, è riuscita a conquistare il potere. Ma dopo la vittoria schiacciante dei «no», il gruzzoletto del nonno di Achille è in mano a due uomini: il premier Alexis Tsipras e il suo ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis. Achille non fa che scuotere la testa, in questa afosa sera ateniese che cambierà per sempre la storia del suo Paese. «Sa come chiamano quelli del “sì” come il mio nonno?», racconta, con un sorriso amaro: «“Germanotsolias”, collaborazionisti nazisti». Non lo può raccontare al nonno, ne morirebbe.
Il «no» che ha conquistato la Grecia è un «no» di rabbia e di rifiuto dell’austerità. Forte di questo risultato travolgente, il governo vuole riprendere una trattativa con i creditori. Di Tsipras si vocifera che abbia avuto un esaurimento nervoso, in questi mesi complessi. Tempo fa disse sorridendo che se avesse ceduto troppo con la vecchia Troika, la moglie Betty avrebbe divorziato. E nelle ultime, convulse settimane, sembra essere diventato sempre più ostaggio dell’ala radicale del partito, dei duri e puri euroscettici capeggiati dall’arcinemico di sempre, Panagiotis Lafazanis. Di sicuro, quando ha deciso di rovesciare il tavolo della trattativa, il leader di Syriza sapeva di non avere più la maggioranza in Parlamento per far passare un eventuale accordo. Ma ora ha dimostrato che il Paese è con lui. Mai come adesso avrà bisogno di mantenere i nervi saldi.
«Il no - ha detto ieri notte in tv - non è una rottura con l’Ue. I greci hanno fatto una scelta coraggiosa che cambierà il dibattito in Europa». Fino a sabato, da Bruxelles a Berlino, i messaggi sono stati molto chiari: il «no» rischia di buttare la Grecia fuori dall’euro. Ieri, però, il ministro francese dell’Economia Macron ha detto che un negoziato va ripreso in ogni caso. E stasera, Angela Merkel incontrerà François Hollande all’Eliseo per decidere cosa fare. Uno spiraglio? Chissà. Ieri anche Tsipras ha parlato al telefono con il presidente francese. Se l’ingegnere quarantenne e Varoufakis hanno vinto una scommessa impossibile, la Grecia è al collasso.
Il guardiano delle sempre più disastrate finanze greche si è riunito ieri con i banchieri per evitare che i risparmi del nonno di Achille e quelli di altri milioni di greci si polverizzino. In serata, quello che tra gli omologhi dell’eurogruppo è considerato più un ostacolo che un mediatore serio, ha detto che il «no» è «una liberazione dalla gabbia dell’Eurozona». Dopo che la trattativa si era totalmente arenata per gli eterni duelli tra Varoufakis e Wolfgang Schäuble, Merkel ha dovuto riprendere il dialogo ai massimi livelli, qualche settimana fa. Per poi rendersi conto che anche Tsipras non era più disponibile al compromesso. Il premier ha riunito ieri sera il governo, secondo fonti politiche, per decidere il da farsi. La presidente dei banchieri, Louka Katseli, ha messo in guardia già venerdì che gli istituti avranno soldi soltanto fino a oggi e che il destino della Grecia, da stamane, è in mano alla Bce. Ma sul «piano B» del governo girano voci agghiaccianti. C’è chi parla dell’introduzione temporanea di una moneta parallela ad uso interno. «Se necessario - ha ammesso Varoufakis - emetteremo moneta parallela». Secondo una fonte, il governo pagherebbe salari e pensioni al 30% in euro e al 70% nella nuova valuta; unificherebbe i fondi pensione, nazionalizzerebbe banche e aziende. Soprattutto: sequestrerebbe la banca centrale greca per ricominciare a garantire sufficiente liquidità alle banche. Una mossa che rischierebbe di provocare l’espulsione di Atene dall’euro. Ma i colpevoli, in quel caso, sarebbero gli altri. E qualcuno pensa che questo sia stato, sin dall’inizio, il piano di Tsipras. C’è un’incognita: il presidente della Repubblica Pavlopoulos. Giorni fa ha detto che nel caso di un pericolo di ritorno alla dracma, si dimetterebbe, spalancando le porte a elezioni anticipate. A giudicare dagli ultimi sondaggi, Tsipras rivincerebbe a mani basse.
Oggi si riunisce il consiglio direttivo della Bce per una delle consultazioni più difficili della sua storia. Ieri sera la banca centrale greca le ha chiesto di poter aumentare l’Ela, di poter dare più fondi emergenziali agli istituti di credito, fermi a 89 miliardi di euro dal 26 giugno scorso. L’Eurotower è spaccato: tra chi vorrebbe interrompere subito i finanziamenti e chi teme di interpretare il ruolo del «cattivo» e costringere la Grecia al default prima che i suoi creditori prendano una decisione politica.
La morsa della liquidità ha già costretto Tsipras a chiudere le banche e introdurre un controllo «soft» dei capitali, con i prelievi quotidiani limitati a 60 euro. Indiscrezioni che avvelenavano ieri l’aria già asfittica della capitale, parlavano di una nuova stretta imminente: il governo potrebbe decidere di limitarli ulteriormente a 20 euro al giorno. Una corsa contro il tempo: il destino della Grecia si deciderà a cominciare da stasera, dal vertice parigino tra Angela Merkel e Hollande.

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ROBERTO GIOVANNINI, LA STAMPA –
E adesso tutti gli occhi sono puntati su Francoforte. Se Mario Draghi e la Bce garantiranno ulteriore liquidità alle banche elleniche, domani mattina, al termine della chiusura forzata, gli sportelli potranno aprire e i bancomat continuare a erogare danaro. È probabile che nonostante tutto Francoforte non chiuda definitivamente i cordoni della borsa; si tratterebbe di una decisione drastica e irrevocabile che Draghi vorrebbe invece lasciare ai politici.
Ad Atene il timore - rafforzato dalle prime reazioni negative del vicecancelliere tedesco Sigmar Gabriel - è proprio questo: che i creditori adoperino l’arma dello strangolamento bancario per infliggere una o due settimane di economia senza più moneta alla Grecia. Chissà, potrebbe essere lo strumento più efficace per raggiungere l’obiettivo mancato con il «sì» al referendum: ovvero, effettuare il cambiamento di governo desiderato e cacciare Tsipras nonostante i suoi trionfi nelle urne. In teoria c’è tempo fino al 20 luglio, quando scadrà un prestito della Bce.
Le banche, dunque, sono per le prossime ore la piaga aperta per governanti e cittadini ellenici. Ieri sera un vertice convocato alla Banca di Grecia dal governatore Yannis Stournaras ha confermato quanto già annunciato da Louka Katseli, presidente dell’Unione delle Banche Elleniche: più o meno gli istituti di credito dovrebbero avere liquidità sufficiente per resistere fino a stasera, continuando ad alimentare i Bancomat. Vero è che già ieri il tetto massimo di contante ritirabile, fissato a quota 60 euro, di fatto si è ridotto a 50 euro: colpa della mancanza di banconote azzurre da venti euro. Si sa già che le autorità politiche e monetarie greche chiederanno un aumento dei finanziamenti della Bce attraverso il programma «Ela». A seconda della risposta di Francoforte si capirà se la crisi bancaria si avviterà, e con che velocità.
Per adesso però - e sicuramente per molti giorni ancora - non ci sono e non ci saranno particolari problemi di approvvigionamento né per i generi alimentari né per il carburante né per i medicinali. Come succede normalmente in tutti i Paesi avanzati, anche la Grecia dispone di riserve di questi generi di prima necessità, e da quello che si sa il governo Tsipras ha da qualche giorno attivato un piano straordinario per assicurare i rifornimenti. Anche se i media internazionali parlano già di difficoltà per quanto riguarda le forniture di latte, carne e medicinali, per adesso pare proprio che problemi non ce ne siano. Assolutamente non sembrano esserci intoppi nelle isole e nei luoghi turistici, che sono una fonte fondamentale di introiti per un’economia tanto male in arnese. Sempre i media internazionali prospettano accaparramenti ai supermercati, tensioni di piazza, militari nelle strade, scioperi selvaggi: diciamo, per usare un eufemismo, che si tratta di scenari decisamente lontani.
Ma non è detto che le difficoltà non possano aumentare in modo drammatico. La crisi, la chiusura delle banche, l’incertezza su quello che accadrà sta rapidamente portando alla paralisi le imprese. Il gettito fiscale sta riducendosi a un rivoletto minimo, lo Stato non paga più alcun fornitore, e chiunque disponga di contanti rinvia o evita del tutto i pagamenti. Se il negoziato non porterà a una intesa accettabile per tutte le parti - con riforme severe e profonde di tanti aspetti della vita economica ellenica, ma anche con una neutralizzazione dell’imponente debito pubblico accumulato nel quinquennio dell’austerità - gli scenari più imprevedibili potrebbero diventare realtà. A cominciare dall’uscita della Grecia dall’euro.

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VITTORIO DA ROLD, IL SOLE 24 ORE –
In Grecia ha stravinto il «no» per 61,2% a 38,2 per cento. Il popolo greco ha detto no all’austerità senza crescita della troika e ha ascoltato il suo giovane premier Alexis Tsipras, 40 anni, che lo aveva invitato a non avere paura e a dargli fiducia. E i greci gli hanno creduto anche quando ha detto che non voleva portare fuori dall’euro il paese ma solo ottenere condizioni migliori dai creditori. Il «no» è un trionfo per il premier Tsipras che si è battuto per ricevere un potere contrattuale più forte per trattare con i creditori che vogliono imporre condizioni dure a un Paese stremato ma lascia aperta anche la possibilità che gli stessi creditori vadano avanti, lasciando che la Grecia faccia default e sia costretta a lasciare l’euro.
Per questo Tsipras, mentre i suoi sostenitori festeggiavano in migliaia in Piazza Syntagma, ieri sera ha riunito un consiglio dei ministri di emergenza per fare il punto sul sistema bancario e le drammatiche esigenze di liquidità per le banche greche che sono praticamente a secco. Poi c’è stato un incontro tra il ministro delle Finanze Yanis Varoufakis e i rappresentanti del sistema bancario greco per verificare se la chiusura delle banche e della Borsa, che termina dopodomani, sarà prolungata insieme ai controlli di capitale, come è probabile che accada.
«Il governo greco, da parte sua, ha assicurato che non ha intenzione di emettere una moneta parallela», ha detto il capo dei negoziatori greci Euclid Tsakalotos. «Non penso che ci cacceranno via dall’euro, siamo pronti a incontrarli già da stasera», ha poi aggiunto riferendosi ai creditori. Per questo il ministro Yanis Varoufakis ha detto che ci vuole un accordo in 24 ore. È una corsa contro il tempo per ottenere almeno un inizio di negoziati che permetterebbe alla Bce di Mario Draghi di riaprire i rubinetti per le banche, ormai prosciugate.
Il «no» avrebbe stravinto soprattutto tra i giovani greci. Secondo i sondaggi riportati da una tv greca, il «no» avrebbe perso il 67% dei voti dei giovani tra i 18 e i 34 anni. Hanno poi votato per il «no» il 49% dei 35-55enni e solo il 37% degli over 55 anni. Ha votato «no» chi non aveva altro da perdere e «sì» chi ne aveva, ma dopo cinque anni di austerity della troika in Grecia più del 60% della popolazione non aveva più niente da perdere.
Le conseguenze del «no» sono molteplici e lo scenario, al di là dell’entusiasmo, è complesso anche se il governo Syriza dice che verranno ripresi i negoziati sulla base della bozza Juncker. A questo punto Tsipras e Varoufakis però potrebbero appellarsi alle aperture fatte dall’Fmi che ha parlato di un piano da 60 miliardi di euro e di riduzione del debito del 30%. Il premier Tsipras cercherà di migliorare l’ultima offerta ma alla fine firmerà in ogni caso un compromesso per permettere alla Bce di riaprire i rubinetti e salvare le banche. Resta da vedere se troverà qualcuno seduto dall’altra parte della trattativa disposto a firmare ancora quel piano. Dopo il «sì» a quel punto Tsipras si ripresenterà in Parlamento in Grecia con un piano di misure di austerità ma l’ala di sinistra di Syriza ora dovrà votarlo visto l’esito del referendum.
Dopo questo passaggio il terzo piano di salvataggio dovrebbe passare anche al Bundestag e altri tre parlamenti europei. Se il parlamento tedesco non dovesse passare il piano, si aprirebbe uno scenario catastrofico perché la Grecia andrebbe fuori dall’euro sotto responsabilità tedesca, realizzando l’incubo, come dice l’ex ministro degli Esteri tedesco, Joschka Fischer, di una Germania che in un secolo distrugge tre volte il progetto europeo. C’è anche l’ipotesi in cui la Troika potrebbe decidere di considerare il «no» al referendum come la fine di ogni negoziato e di abbandonare la Grecia al suo destino. A quel punto la Bce dovrebbe congelare i finanziamenti.
Atene senza liquidità per riaprire le banche e pagare pensioni e stpendi pubblici sarebbe costretto a battere una moneta propria. Due le ipotesi più gettonate: valuta parallela (Iou, sorta di pagherò) che tenga in corso l’euro o la dracma, cioè l’addio definitivo alla moneta unica. L’euro non sarebbe più considerato una moneta irreversibile, ma un accordo di cambi fissi da cui si può uscire.


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VITTORIO DA ROLD, IL SOLE 24 ORE – 
Ha vinto il no. National Bank of Greece, Piraeus Bank, Alpha e Eurobank, le quattro maggiori aziende di credito elleniche, il ventre molle della crisi del Paese a sua volta epicentro della crisi dell’eurozona, potrebbero essere nazionalizzate se non ci sarà un accordo a breve.
Il problema è che domani le banche greche dovrebbero riaprire dopo una caotica settimana di chiusura a causa del fallimento delle trattative con i creditori e dove la gente ha potuto ritirare solo fino a 60 euro al giorno dopo lunghe code davanti ai bancomat. Il pensionato che piange accasciato davanti a una banca di Salonicco è diventato l’icona di questa crisi politico-finanziaria. Ma una riserva così esigua di 1 solo miliardo di euro potrebbe essere sufficiente per qualche giorno ancora, senza una rapida iniezione di nuovo contante da parte della Bce, che però non è scontata dopo il risultato negativo del referendum. In mancanza di un accordo in tempi rapidi al governo in carica non resterebbe che emettere degli Iou, dei “pagherò” a pensionati e dipendenti pubblici, decisione che sarebbe l’anticamera di una moneta parallela e quindi il ritorno alla dracma, magari svaluta del 50 percento.
«Le banche greche hanno liquidità per circa 1miliardo di euro», aveva fatto sapere venerdì Louka Katseli, numero uno dell’Associazione delle banche elleniche, secondo cui «la liquidità è assicurata fino a lunedì, dopo dipenderà dalle decisioni della Banca centrale europea di Mario Draghi. La Bce a gennaio giudicando il programma di salvataggio a rischio, ha tolto alle banche elleniche l’accesso alle normali aste di liquidità e ha mantenuto aperto solo una linea di emergenza (Ela) oggi a 89 miliardi di euro. Che farà la Bce? «La Bce europea ha ben chiaro che se è necessario fare di più, farà di più», ha affermato ieri sibillino, senza specificare se si riferiva alla Grecia, il membro francese del board della Bce, Benoit Courè parlando ieri ad Aix en Provence.
Il governatore Mario Draghi con la vittoria del no è in una posizione molto complicata, “terra incognita” come ha descritto lo stesso Draghi. Teoricamente l’Eurotower non può aumentare i prestiti di emergenza perché non c’è un accordo con l’eurogruppo e addirittura potrebbe chiedere il rimborso degli 89 miliardi di prestiti al sistema ellenico oltre ai 19 miliardi di titoli di stato acquisiti con l’Smp ai tempi di Jean-Claude Trichet, visto che secondo l’Efsf, il fondo salva stati europeo, il mancato pagamento della Grecia della rata del Fmi è un “evento di default”, ma il suo board dei governatori ha deciso di aspettare e “non richiedere” ad Atene il “pagamento immediato dei prestiti concessi né di usare il suo diritto ad agire”, cioè di non usare alcuna delle opzioni a disposizione.
Il caso Atene e delle sue banche verrà esaminato già oggi dal Board della Bce. E Draghi potrebbe decidere che la situazione è talmente difficile da mettere in pericolo l’esistenza stessa della moneta unica e potrebbe spingere per concedere liquidità di emergenza alle banche greche ma avrebbe la forte ostilità della Bundesbank di Jens Wiedmann.
Oggi sarà ancora giornata di chiusura ma domani le banche dovrebbero riaprire, ma pochi ci credono davvero. Intanto i rumour, diffusi dal Financial Times e smentiti dal governo di Atene, parlavano di un taglio del 30% sui depositi oltre gli 8 mila euro.
Vittorio Da Rold

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R.BOC., IL SOLE 24 ORE –
Sarà per forza di cose un’ assemblea dominata dall’“effetto Grecia”. Dopo il risultato del referendum ellenico, mercoledì 8 luglio l’appuntamento con la riunione annuale dell’Abi sarà il primo momento per un confronto diretto sul tema tra le massime istituzioni economiche: di fronte alla platea di banchieri del Palazzo dei Congressi all’Eur, parleranno infatti il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan e il governatore di Bankitalia Ignazio Visco, oltre al padrone di casa, Antonio Patuelli. Sotto i riflettori, ovviamente, la reazione dei mercati finanziari e valutari nonchè quella istituzionale e politica, rispetto all’imprevista dinamica della crisi greca e le ripercussioni per l’economia, in particolare per il settore bancario, il più esposto di fronte a eventuali turbolenze sulle piazze finanziarie.
Vi sarà dunque l’analisi di una situazione che non ha nulla di ordinario, e che non è determinata dall’economia ma da una rapida evoluzione del quadro politico dell’Eurozona, in un contesto nel quale, però, il sistema bancario italiano può almeno contare su una ritrovata solidità patrimoniale,fortemente sollecitata anche dal pungolo di Bankitalia. E può contare, nello specifico, su una scarsa esposizione rispetto ad Atene. «Le nostre banche nazionali sono esposte verso la Grecia in misura molto limitata», ha ricordato nei giorni scorsi il presidente dell’Abi. La cifra dell’esposizione diretta del sistema creditizio italiano nei confronti di Atene è infatti inferiore al miliardo; da questo punto di vista, dunque, il rischio contagio, almeno in questa fase, non è una minaccia.
Anche perché, rispetto al 2011, ci sono progressi evidenti, nel Paese e nella situazione delle aziende di credito. «Noi stiamo in Italia, non siamo nel 2011 ma nel 2015. L’Italia era il problema nel 2011, nel 2015 il problema è la Grecia», ha detto Patuelli di recente. Di certo, nella relazione di Patuelli non mancherà l’elenco dei risultati ottenuti anche grazie a un dialogo proficuo con il governo. A partire dal decreto, recentemente approvato, per ridurre da cinque anni a uno il tempo necessario per la deduzione fiscale delle perdite su crediti e velocizzare i tempi del contenzioso creditizio. Che non va visto come un regalo alle banche, secondo il suo presidente ma come «un efficientamento, scritto in punto di diritto, della legge di procedura fallimentare risalente al 1942, e della deducibilità delle perdite su crediti» Anzi «un provvedimento di legalità, che ci avvicina all’Europa».
Da sempre, infatti, il responsabile di Palazzo Altieri chiede al governo in carica di assicurare regole uguali al resto della concorrenza. Ora, però, con il quadro normativo che sta sensibilmente migliorando, le banche dovranno aprire i rubinetti del credito alle imprese e alle famiglie. Un impegno rispetto a cui il mondo delle banche italiane non intende sottrarsi.
R.Boc.

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ISABELLA BUFACCHI, IL SOLE 24 ORE –
La domanda chiave che tiene i mercati sui carboni ardenti: la Grecia di un Tsipras rafforzato dal “NO” pagherà i 3,5 miliardi di titoli di Stato in scadenza in mano alla Bce? E i 695 milioni di cedole? Non pagare farà scattare un vero default, con effetto-domino devastante. Serve subito un prestito ponte dall’Europa per sgombrare il campo almeno da questa incertezza.
Il mancato pagamento nei giorni scorsi del Fondo monetario internazionale sui 1,6 miliardi prestati alla Grecia non ha scatenato l’inferno: per quanto simbolicamente molto negativa (è stata la prima volta di un impegno non rispettato con l’FMI da parte di uno Paese non emergente, con economia avanzata), tecnicamente questa mancanza non ha rappresentato un default, un’insolvenza. Non si è avverato alcun effetto-domino con cross-default su altri titoli e anche l’ESM (al quale la Grecia deve 130 miliardi) ha deciso di prendere tempo e di congelare la situazione, senza richiedereallo Stato debitore greco il pagamento anticipato dei suoi prestiti, come avrebbe potuto fare perchè previsto dal suo statuto.
Diverso invece sarebbe il caso del non-pagamento dei titoli di Stato greci acquistati dalla Bce nell’ambito del Securities markets programme, acquisti che servirono ad abbassare i rendimenti e aiutare la Grecia agli inizi della crisi del debito sovrano.
Se questo evento accadesse, se la Grecia non rimborsasse i bond presso la Bce, si verificherebbe un default vero e proprio, e questo coinvolgerebbe a catena tutti i titoli di Stato emessi dalla Grecia e utilizzati come garanzia collaterale dalle banche greche per finanziarsi presso l’Eurosistema (anche per la linea di emergenza Ela erogata dalla Banca centrale greca). In sostanza, il default sui titoli di Stato greci, con immediato declassamento di rating, costringerebbe la Bce ad aumentare l’haircut sui titoli stessi e con tutta probabilità a richiedere alle banche greche la restituzione della liquidità concessa (34 miliardi standard e 89 miliardi con l’Ela). Le banche, non avendo disponibilità senza aiuti esterni, sarebbero costrette a chiedere un intervento dello Stato per essere ricapitalizzate. Ma lo Stato, in default anch’esso, non sarebbe in grado di intervenire. Già ieri gli operatori finanziari ipotizzavano l’attivazione del nuovo strumento europeo di ricapitalizzazione diretta delle banche, l’ESM, il meccanismo europeo di stabilità che oltre ad essere meglio noto come “fondo salva-stati” è divenuto nell’ambito dell’Unione bancaria in aggiunta un “fondo salva-banche”. Il Governo Tsipras, per salvare le banche oltre al Paese, sarebbe costretto a firmare uno se non addirittura due Memorandum of Understanding, protocolli d’intesa con i partners europei
e la Bce, con condizionalità estese anche al settore bancario.
Il collasso delle banche greche e la bancarotta dello Stato, se dovessero verificarsi, darebbero un colpo di acceleratore alla crisi greca al punto che l’uscita della Grecia dall’euro potrebbe divenire inevitabile.
Tutto questo per un pagamento da 3,5 miliardi di euro sui bond e 0,695 miliardi sui coupon greci il 20 luglio.
Cosa accade esattamente quando uno Stato va in default sui suoi titoli di debito detenuti dalla Bce non è noto, non esistono precedenti ed Eurotower si è lasciata margini di discrezionalità. Correva voce ieri che vi possa essere un periodo di grazia di 30 giorni: una boccata d’ossigeno per comprare tempo e consentire alla politica di trovare una soluzione.
Ma da oggi fino al 20 luglio, giorno di scadenza dei titoli greci, la tensione sui mercati sarà elevatissima soprattutto per l’incertezza causata sul rischio di un default greco con la Bce. Ecco perchè, nel tentativo di chiudere la partita con un terzo programma di aiuti alla Grecia, serve un intervento d’emergenza per proteggere tutti i titoli dell’Eurozona periferica da un’eccessiva volatilità e avversione a rischio dei mercati: basterebbe un prestito ponte da 4,5 miliardi (ci sono 1,8 miliardi residui dal secondo pacchetto di aiuti presso l’Esm non ancora erogati) per traghettare la Grecia, l’euro, l’Eurozona e tutti i mercati, fino al 20 luglio disinnescando almeno questa piccola, grande bomba.
Isabella Bufacchi

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ETTORE LIVINI, LA REPUBBLICA –
Atene allaccia le cinture di sicurezza in vista di un lunedì che per la Grecia si annuncia ad alta tensione. «Comunque vada a finire, dobbiamo restare uniti » ha detto ieri al seggio il presidente della Repubblica Prokopis Provopoulos. La serenità con cui si è votato è un buon viatico. Oggi però, sarà un’altra cosa. Il ministero degli interni ha piazzato la polizia a guardia di 600 supermercati e 480 banche, nel timore che il rischio di Grexit inneschi un assalto ai bancomat e agli scaffali per paura che le scorte alimentari inizino a scarseggiare. Misure esagerate? Può darsi. Prevenire, però, è meglio che reprimere. Ieri sera così Yanis Varoufakis si è incontrato d’urgenza con i vertici della Banca centrale della Grecia per mettere a punto un cordone di sicurezza attorno al tallone d’Achille della Grecia del “No”: gli istituti di credito. La speranza di tutti è che domattina Mario Draghi, malgrado il risultato del referendum, non chiuda i rubinetti della liquidità. Anzi, li riapra. Venerdì sera nei caveau delle banche elleniche erano rimasti poche centinaia di milioni, una scorta appena sufficiente per riempire un’ultima volta i bancomat questa mattina. I biglietti da 20 euro sono già finiti, svaniti in decine di migliaia di prelievi da 60 euro (gli Atm non sono attrezzati per le banconote da 10) il tetto massimo giornaliero per i greci. Cambiare monete di grosso taglio in città è un’Odissea. Il presidente della National Bank of Greece, non proprio una Cassandra, è stato chiaro: «Le riserve di soldi ci basteranno per poche ore».
«Quello è il meno. Quasi tutti hanno una scorta di contanti a casa – dice Maria Spitakis, in coda per un prelievo last minute in Odos Solonos - . Il dramma è che nessuno sa quanti soldi troverà sul conto corrente quando le banche riapriranno. E in che valuta saranno”. Nelle ultime ore si è sparsa la voce (“terrorismo mediatico”, la liquidano a Syriza) di un intervento sui depositi per salvare le banche in difficoltà. Sul fronte supermercati, finora, tutto è andato liscio. «Adesso però cambia tutto – confessa Victoria Diakopoulos, 64 anni, che ieri sera riempiva le borse della spesa di pasta e verdura in uno dei pochi chioschi aperti a Monastiraki - . Cosa succede se le banche finiscono i soldi? E se non riaprono martedì?». La risposta la danno i manuali d’economia: o Atene riprende a battere la dracma o un’altra valuta parallela, oppure l’economia si avvita su se stessa, asfissiando in pochi giorni. Tradotto in soldoni, manca la liquidità per portare le derrate alimentari dai produttori ai consumatori o per comprarle dall’estero, rischiano la paralisi la distribuzione del carburante e le forniture di medicinali. Un mini-Armageddon cui nessuno vuole pensare. Ma che rischia di diventare una realtà tragica se – come ha detto il presidente dell’Europarlamento Martin Schultz - «il no significa che la Grecia torna alla dracma ». E in serata ha aggiunto: «Penso che domani o al massimo martedì dovremmo discutere un piano di aiuti umanitari per la Grecia. La gente comune, non dovrebbero pagare il prezzo della situazione drammatica in cui l’ha portato il governo» . Gli scaffali dei negozi, ultimo aggiornamento a sabato sera, erano pieni. Le associazioni imprenditoriali segnalano però i primi problemi specie su carne e latte. «E io non aspetto certo di ritrovarmi domani a fare a gomitate al Carrefour qui all’angolo», confessa Victoria infilando nel busta due altre scatole di fagioli.
«Siamo tranquilli – rassicura uno degli uomini più vicini al ministro delle Finanze - Che la Grecia sia sull’orlo del baratro lo sanno tutti. Ma proprio per questo sono certo che in meno di due giorni arriveremo a un accordo smentendo i gufi». Sarà. L’importante, se si vuole sperare in un lunedì come gli altri, è che ne siano convinti i suoi concittadini. «Ci hanno detto tante bugie – snocciola con precisione ragioneristica Manos Skourletis, in coda (corta) al bancomat della Eurobank a Kolonaki - . Che non ci sarebbero stati controlli sui capitali, che non avrebbero chiuso le banche. Come fanno ora a prometterci in 48 ore quello che non hanno fatto in cinque mesi?” ». Meglio quindi ritirare gli ultimi 60 euro. Non si sa mai. A Punto a capo, il bar a fianco, dove un Martini Dry viene 8 euro, i tavolini sono pieni. E’ l’ora dell’aperitivo, si discute e si ride. Per ora, almeno qui, il mondo non è crollato.

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FEDERICO FUBINI, CORRIERE DELLA SERA –
Quello che è successo ieri sera ad Atene, non appena è diventata chiara l’affermazione a valanga del No, ha dato subito la misura di quanto potrebbe accedere nei prossimi mesi: Yanis Varoufakis ha convocato i manager delle principali banche greche. Per loro il ministro delle Finanze aveva quella che i banchieri hanno percepito come un’ingiunzione: domani devono riaprire, a qualunque costo.
Potrebbe essere una delle ultime iniziative del ministro Varoufakis. In queste ore dall’interno della maggioranza e del governo ad Atene si moltiplicano le voci che Alexis Tsipras, il premier, potrebbe sostituirlo come gesto di buona volontà verso i governi europei, in un tentativo di riaprire il negoziato per nuovi prestiti sempre disperatamente necessari anche dopo il No.
Tsipras ieri sera ha subito cercato di riaprire il negoziato europeo: «La Grecia tornerà al tavolo domani, con l’obiettivo di stabilizzare il sistema bancario e l’economia», ha detto. L’idea di un’uscita dall’euro, ha aggiunto «è completamente esclusa». Ora Varoufakis dovrà affrontare il problema più urgente, le banche. Riaprire gli sportelli degli istituti di credito 36 ore dopo la chiusura delle urne è stata una delle grandi promesse del governo nella sua fulminante campagna referendaria. Otto giorni fa il Comitato di stabilità finanziaria di Atene, guidato dallo stesso Varoufakis, aveva fatto chiudere gli istituti a partire dal giorno seguente. Non c’era alternativa, dato che la Grecia era ormai in preda al panico dei risparmiatori che aveva scatenato una corsa agli sportelli per ritirare i depositi.
Di qui la promessa dei due uomini forti della Grecia di oggi: dopo il referendum, soprattutto se vincerà il No, entro 36 ore riapriremo le banche. Ora il conto alla rovescia è iniziato e ieri in serata Varoufakis lo ha reso chiaro agli amministratori delegati delle quattro banche di rilevanza sistemica: Alpha, Eurobank, National Bank of Greece e Piraeus, oltre a Attica.
A loro il ministro ha chiesto di riaprire i battenti al pubblico domani, ma i quattro hanno fatto presente che è impossibile. La liquidità presente negli istituti è ormai di appena poche centinaia di milioni di euro, sufficienti forse per tenere i bancomat in funzione fino a martedì con il limite dei 60 (o più spesso 50) euro. Se gli sportelli riaprissero, le banche sarebbero travolte. Ma il governo cerca di forzare loro la mano, perché vuole dimostrare che mantiene le sue promesse.
Difficile prevedere come finirà. È già chiaro però che questo è un segnale di come il governo Tsipras intende usare la forza politica interna che ha conquistato con la scommessa, per ora riuscita, di convocare un referendum per il No a una bozza ormai scaduta di accordo con l’Europa.
Il premier non è mai stato così forte in Grecia, e la sua alleanza con la destra nazionalista e militarista del partito dei Greci indipendenti è stabile. Anche il fatto che abbia sempre cercato di evitare tagli troppo profondi al bilancio delle Forze armate, in un Paese che ha subito una giunta militare per sette anni fino al 1974, gli dà garanzie.
In queste condizioni, con una transizione in uscita dall’euro ormai probabile, Tsipras sembra ormai tentato di applicare le ricette della coercizione ben oltre il settore bancario. Nei prossimi mesi potrebbero seguire nazionalizzazioni a tutto campo. L’opposizione delle vecchie forze tradizionali, i socialisti del Pasok e i conservatori di Nea Demokratia dell’ex premier Antonis Samaras (che ieri sera si è dimesso dalla guida del partito), sono ormai allo stremo: hanno la stessa presa sulla società greca della Dc o del Psi alla fine della Prima Repubblica.
Tsipras ha il campo di gioco ad Atene, pieno di buche e trappole, tutto per sé. Ora per la prima volta non ha più scuse: deve dimostrare di saperlo usare in qualche modo.