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 2015  luglio 06 Lunedì calendario

I l boato della notte di Atene non ha fatto cadere a terra uno stormo di uccelli storditi, come quello che ventidue secoli fa seguì l’annuncio di Tito Quinzio Flaminino che concedeva la libertà alla Grecia; ma ha scosso l’Europa, o quel che ne resta, dalle fondamenta

I l boato della notte di Atene non ha fatto cadere a terra uno stormo di uccelli storditi, come quello che ventidue secoli fa seguì l’annuncio di Tito Quinzio Flaminino che concedeva la libertà alla Grecia; ma ha scosso l’Europa, o quel che ne resta, dalle fondamenta. Vince il No, vince l’alleanza rossobruna tra l’estrema sinistra di Tsipras-Varoufakis e l’estrema destra del ministro della Difesa Kammenos, che ha annunciato in caso di disordini l’intervento dell’esercito. Vince pure la «brigata internazionale», da Podemos ai 5 Stelle, che ha suscitato ironie e ora si vede aprire una prospettiva inattesa: il crollo dell’ordine europeo, l’alleanza tra le ali radicali contro la grande coalizione tra popolari e socialisti, la fine della certezza dell’irreversibilità dell’euro: «Usciamo anche noi, e ci troveremo benissimo», dice Grillo. Vince questa folla giovane ed euforica, che esulta con un orgoglio in contrasto con la povertà e la disperazione di oggi, e con la grande incognita che si apre domani. Atene è un tornante della storia, il segno di un fenomeno che va molto oltre la Grecia: la rivolta contro le élites, contro l’establishment, contro le istituzioni, stavolta quelle europee. Varoufakis esce in maglietta e la fa facile: «Ora Bruxelles comincerà a curare le sue ferite, le nostre ferite. In due giorni si fa l’accordo e le banche riaprono». Ma le banche greche sono fallite. Come lo Stato. La vittoria dell’«Ochi» non fa paura alla Merkel, che ha due possibilità: cercare di recuperare la Grecia, o colpirla per educare tutti gli altri; ma per l’Europa mediterranea, a cominciare dal governo Renzi, si apre un bel problema. E anche Draghi si trova davanti a un dilemma: aiutare i greci anche se non hanno dato la sperata prova di ragionevolezza? O abbandonarli alla miseria e al panico? Grillo è atteso al Grande Bretagne, l’hotel accanto alla residenza di Tsipras dove sono scesi Robbie Williams, lady Gaga e la moglie di George Clooney. Era il suo referendum, ora si gode la piazza Syntagma con le bandiere rosse, i tamburi, i clacson e i vecchi altoparlanti che trasmettono Bella Ciao e la canzone del comandante Che Guevara. La festa del No, quella vera, non è qui né al centro stampa, dove ci sono le telecamere e quindi i politici, ma a piazza Klafthmonos, in un quartiere popolare. La polizia presidia ambasciate e bancomat. Se non fosse per le banche chiuse, il No avrebbe vinto ancora più largo, com’è accaduto nei villaggi. Luoghi evocativi: in Arcadia l’«Ochi» è al 59, a Lesbo al 60, a Olimpia al 62, a Samo al 71. Chi ha ancora qualche risparmio ha votato Sì, e stanotte è ancora più cupo; come la metà o quasi del Paese che a votare non è andata. Ma la gran parte dei giovani ha detto No, perché all’evidenza non aveva più nulla da perdere. Le banche sono a secco anche perché migliaia di correntisti non pagano più le bollette. La brigata internazionale questi problemi non li ha e si aggrega entusiasta alla festa: «People from Syriza…» si sente cantare sulla musica di un pezzo da discoteca Anni ’80. Il fronte del Sì cova presagi funesti. Passa un gruppo di studenti del dipartimento media dell’università: «Ci porteranno via tutto. L’Europa taglierà ogni aiuto, i computer, i programmi di ricerca, i fondi all’agricoltura…». Ma a sentire i vincitori, i soldi dell’Europa non sono mai andati ai greci, sono serviti a garantire i crediti delle banche francesi e tedesche. Ad aspettare Grillo sotto l’hotel ci sono dal primo pomeriggio decine di suoi parlamentari, di ottimo umore per la mangiata di souvlaki e i risultati trionfali. Di Maio è particolarmente felice perché ha ritrovato un suo compagno di liceo greco. Di Battista, individuato rapidamente come il più bello, rilascia interviste per ore. Delusissima la reporter della tv olandese alla ricerca di tensioni: «Mi sono sembrati bravi ragazzi». È una vittoria del nazionalismo greco, nella versione rossa di Syriza o in quella nera di Alba Dorata: del resto non è la prima volta che Atene vota contro l’Europa; nel 1981 il socialista Papandreou stravinse le elezioni promettendo di uscire dalla Cee in sei mesi; alla fine però prevalse la ragione. Ora a sinistra aspettano aiuto da Obama, a destra confidano nella solidarietà ortodossa di Putin. Tsipras ha chiamato i turchi «kardas», fratelli, e la minoranza turca della Tracia ha votata compatta per il No. Il filantropo inglese Thom Feeney ha raccolto 2 milioni offrendo regali in cambio di denaro: 3 euro per un foto di Tsipras, 6 per un’insalata greca, 10 per una bottiglia di ouzo. Varoufakis ha chiesto indietro alla Svizzera una parte dei capitali esportati illegalmente, e ha aperto le cassette di sicurezza: si potranno prelevare i gioielli, non i soldi. A Corinto No al 61, a Cefalonia al 64, in Beozia al 65, a Zacinto al 67. Finisce pari solo nei quartieri alti di Atene. Nella notte prima di Tsipras parla Grillo: «Senza l’euro ci sarà qualche disagio all’inizio, poi andrà meglio». Un altro boato accoglie le dimissioni di Samaras, leader della destra liberale. Suv con la bandiera greca passano a clacson spiegato lungo questa strana città dove convivono due specie umane, quella dotata di una carta di credito legata a un conto estero e quella che ne è priva. La prima entra negli hotel, isole per stranieri e greci ricchi dove una bottiglia di minerale costa più di una cena per due nel mondo di fuori. La seconda spera in un soprassalto di buon senso in patria e in Europa per evitare la tessera per il pane, la benzina, le medicine. Il senatore Giarrusso, anche lui con bandiera biancoceleste, non vede il problema: «Con 60 euro al giorno si campa benissimo». La mattina dopo — passata l’euforia, smaltita la sbornia — è il momento più difficile. La Grecia è a un passo dal duplice fallimento, delle banche e dello Stato. Rischia di diventare un buco nero di instabilità e pulsioni imprevedibili, nei Balcani e altrove. La notte di Atene forse sarà ricordata come l’inizio della disgregazione europea, che può avere la prossima tappa agli antipodi del continente, in Gran Bretagna; forse potrà segnare un ripensamento e una rinascita. È questo il momento in cui l’Europa deve dimostrare di esistere, non abbandonando la Grecia a se stessa e a Putin, ma mostrando visione e lungimiranza. Tsipras attende segnali di apertura, ma teme la severità di Berlino e il veto di Madrid, dove si vota a novembre; una linea arrendevole darebbe forza a Podemos. La libertà concessa dai romani ai greci antichi si rivelò una trovata propagandistica. Oggi in pericolo non c’è solo un’eredità culturale, una suggestione del passato classico; è la sopravvivenza di un popolo, è l’anima del progetto europeo. Per questo anche i più euforici e spensierati cominciano ad avvertire di aver vissuto una notte troppo più grande di loro.