Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  luglio 05 Domenica calendario

DAI CONTI TRUCCATI AL FLOP TROIKA: 5 ANNI DI ERRORI

L’anno è il 2012, il mese aprile e il giorno il 23: in una splendida giornata di sole, dalla bellissima isola di Kastellòrizo, il premier socialista George Papandreou, eletto da pochi mesi, annuncia in diretta mondiale che la Grecia è in bancarotta e dovrà ricorrere ai prestiti internazionali.
Il 4 ottobre dell’anno prima, vinte le elezioni, il leader del Pasok svelava che i conti erano stati ulteriormente truccati dal precedente governo (era già successo nel 2004, quando Atene ammise di aver barato per entrare nell’euro) e che il rapporto deficit/PIL era al 12% (il doppio di quanto stimato): sarebbe arrivato addirittura al 15,4. Già nel dicembre 2009, Papandreou avvia un piano triennale di risanamento attraverso pesanti tagli di spesa, blocco dei salari pubblici e allungamento dell’età pensionabile.
Pochi mesi dopo, Atene getta la spugna e chiede gli aiuti internazionali. Il piano di salvataggio viene firmato il 2 maggio del 2010: arrivano 110 miliardi, 53 di prestiti bilaterali. Il Fmi, che pure avrebbe optato per una ristrutturazione del debito, versa 20 miliardi (arriveranno a 35) sulla base di un piano di rientro imposto alla Grecia “assolutamente irrealistico”, come poi ammise il suo staff tecnico. A tal punto che nel febbraio 2012 – subentrato il fondo salva stati Efs (poi sostituito dall’Esm) – arriva il secondo salvataggio contrattato con la Troika (Bce, Fmi e Ue), ora scaduto: 130 miliardi, e un taglio da circa 110 miliardi (il 53%) del valore nominale dei bond greci in mano ai creditori privati (soprattutto banche francesi e tedesche) che però erano già scesi dal treno (i fondi salva stati hanno permesso di scaricare tutto sui contribuenti europei).
In totale, Atene ha ricevuto 226,7 miliardi. La Bce ha inoltre acquistato 18 miliardi di titoli e fornito liquidità alle banche per altri 118, di cui 89 della libnea di emergenza alle banche greche (l’Ela). Oggi, l’eurozona ha un’esposizione complessiva (prestiti più banche) di 317 miliardi. La Germania è in testa con 87,6 miliardi, seconda la Francia con 67, terze Italia e Spagna con 40.
Risultato? Il debito della Grecia è arrivato al 177% del Pil nel 2014, circa 315 miliardi (ora saliti a 340), disoccupazione al 27% (49,7 quella giovanile) sulla base di un errato calcolo degli effetti della cura da cavallo imposta dalla Troika: per ogni taglio di spesa pubblica, il reddito nazionale non è calato di mezzo punto, ma di un punto e mezzo, con effetti disastrosi. A gennaio scorso, la coalizione di Syriza vince le elezioni convocate dopo la caduta del governo Samaras. Il 20 febbraio si arriva a un accordo che prolunga di 4 mesi il piano d’aiuti. L’intesa è sfumata il 28 giugno scorso: i ministri delle Finanze dell’eurozona, guidati da Jeroen Dijsselbloem estromettono il collega greco Varoufakis dopo l’annuncio del referendum.
Carlo Di Foggia, il Fatto Quotidiano 5/7/2015