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 2015  luglio 04 Sabato calendario

NICOLA LAGIOIA «COSì HO FREGATO LO STREGA ALLE PENNE ROSSE»

Nicola Lagioia, di Bari, 42 anni, ha vinto con il romanzo La ferocia (Einaudi, pp. 412, euro 19,50) il Premio Strega 2015 giunto alla sessantanovesima edizione. Dietro di lui: La sposa di Mauro Covacich (Bompiani), Storia della bambina perduta di Elena Ferrante (e/o), Chi manda le onde di Fabio Genovesi (Mondadori) e Come donna innamorata di Marco Santagata (Guanda). Al vincitore abbiamo rivolto alcune domande, spaziando da William Faulkner (cui la scrittura di Lagioia è sovente accostata, con il consenso dell’interessato) fino alla comicità di Lino Banfi. Un noto scacchista armeno, Levon Aronian, ha detto: «Le vittorie più belle sono quelle non meritate». La tua è orrenda: hai vinto distanziando il secondo (Covacich) di 56 voti, ancora un po’ e lo doppiavi pure. A parte l’ovvia gioia di vincere, c’è gusto a stravincere così? Come ti spieghi tanto distacco? «Nelle competizioni la cosa crudele è che, se qualcuno vince, c’è evidentemente chi perde. Io sono abbastanza fiero del fatto di aver ricevuto più consensi anche dai cosiddetti “lettori forti”, quelli designati dalle librerie indipendenti. Anche questo credo abbia fatto la differenza». Sembri aver condotto una campagna bellica. Prima di arrivare al Ninfeo hai fatto un tour in molte librerie, hai presentato il libro negli Istituti di cultura all’estero, e sia i lettori delle librerie che gli istituti sono tra i votanti dello Strega. Napoleone ad Austerlitz ti fa un baffo. Avevi un piano preciso fin dalla prima presentazione de La ferocia? «La ferocia non era un libro scritto e pubblicato per andare allo Strega. Einaudi aveva vinto l’anno prima, e poi si tratta di un romanzo lungo, complesso, non così facile. Però a poche settimane dall’uscita aveva già conquistato più lettori di quanto io o la casa editrice ci aspettassimo. Allora, per prolungarne la vita, ho cominciato a presentarlo in giro. Per come sono fatto io, l’obiettivo è sempre limitare il danno. Dunque, non me ne sono andato in giro pensando “voglio arrivare allo Strega” ma “cerchiamo di prolungare il più possibile la vita di questo romanzo”. Le cose, insomma, sono accadute poco per volta». Seriamente: hai mai temuto un avversario fantasma come Elena Ferrante? Una volta mi hai detto che quello forte era Covacich, io ero incredulo e infatti... «Ho temuto i libri della Ferrante, che mi sono piaciuti molto. La quadrilogia de L’amica geniale è fatta molto bene, e non mi sorprende che abbia conquistato tanti lettori. Nessuna sorpresa se avesse vinto. Anzi: all’inizio tutti dicevano che avrebbe vinto lei. Aveva dalla sua anche il tifo di un giornale come Repubblica». Hai letto i libri della cinquina? Che ne pensi? «Sì, certo. E ne penso bene». Non è stato goffo da parte di Saviano candidare la Ferrante come un equivalente di Raffaele Cantone dei premi letterari? Di fatto ha investito la Ferrante - con la sua esplicita adesione - di un doppio e conflittuale ruolo di concorrente e arbitro morale della competizione... «Di Roberto pubblicai per minimum fax uno dei primi racconti, quando ancora non era uscito Gomorra. C’è stato un periodo in cui ci frequentavamo molto. Lo vedo poco adesso, purtroppo. Mi piacciono le competizioni, e mi sembra di capire che piacciano anche a lui. E allora ognuno compete con gli argomenti che più sente vicini. È giusto, se sentiva di fare così, che sostenesse con quelle argomentazioni Elena Ferrante, ed era giusto che lo facesse (in modo ancora più robusto) Repubblica. A me, ad esempio, piacque molto quando qualche anno fa Giuliano Ferrara con tutto Il Foglio sostenne smaccatamente La versione di Barney di Mordecai Richler. Le mie argomentazioni sono sempre e solo di ordine squisitamente letterario: conta la qualità dei testi, indipendentemente da chi li pubblica e da quanto vendono. Altrimenti Franz Kafka, Marcel Proust, Faulkner, Robert Musil, Ezra Pound, T.S. Eliot e Malcolm Lowry dovrebbero essere gli ultimi della classe. Invece è l’esatto contrario. Così, in questi mesi, io mi sono goduto serenamente la competizione all’ombra delle realtà che frequento quotidianamente: la casa editrice minimum fax, la rivista Lo Straniero, diretta da Goffredo Fofi; il sito internet di Internazionale; gli amici della Mostra del cinema di Venezia». Come ti sei sentito appena sono apparsi sulla lavagna i risultati del primo scrutinio, e poi, dell’ultimo? «Bene. Ma una parte di me era troppo felice per crederci». Annunciato il vincitore (cioè tu) ti hanno detto di salutare il tuo predecessore Francesco Piccolo e sei andato da lui esclamando «Frangèsco!» in splendido barese. Per un momento ho visto Lino Banfi nel film Al bar dello sport che si ripete “No, non è invarto, è tredici! Ho fatto tredici!”. I tuoi avversari erano un po’ alteri, freddi, una era persino spettrale. Genovesi è simpatico - oltre a averti fatto da gregario per la volata finale - ma tende a parlare come Siddharta. Tu eri molto cordiale e, come hai detto invitando tua moglie sul palco, “irrituale”. Qualità letteraria a parte, pensi che il fattore umano ti abbia aiutato a conquistare voti? «Chissà, forse ha contato anche quello. Al bar dello sport è un cult. C’è Mara Venier che fa la tabaccaia sexy, e poi “Parola”, Jerry Calà. Non posso non ridere ancora quando Lino Banfi, a un certo punto, autoparodiando gli insulti del suo padrone di casa settentrionale che gli diceva “Terùn, va a mangià el sapùn”, dice solenne con la schedina in mano: “Che cazzo me ne frega a me! E mo’ me lo mangio, el sapùn!”, e inizia a masticarlo. Ecco, io posso garantire che stanotte il sapone non l’ho mangiato». Accetti la critica che alcune proposizioni de La ferocia sono pericolosamente contorte (una è finita in pasto ai critici di Facebook)? «Ma certo che la accetto. Se però uno è abituato alle frasi di Faulkner, di Proust, di Carlo Emilio Gadda, di Thomas Bernhard, oppure (per venire ai contemporanei) anche del sempre amato Aldo Busi, troverebbe quelle de La ferocia di estrema semplicità». Quali sono i tuoi cinque vincitori dello Strega preferiti? «Tomasi di Lampedusa, Tommaso Landolfi, Elsa Morante, Raffaele La Capria e Gesualdo Bufalino».