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 2015  luglio 04 Sabato calendario

IN LIBERIA IL RITORNO DI EBOLA

A suscitare ansia e inquietudine in tutto il mondo per il riaffacciarsi di Ebola sulla scena, non è tanto il numero dei casi – tre – di cui uno solo mortale, almeno per il momento.
A preoccupare è piuttosto il fatto che si siano verificati nell’unico Paese in cui il focolaio sembrava finalmente estinto, a 42 giorni dalla sepoltura dell’ultima vittima, un periodo di «sicurezza» che mette in conto il doppio di quello d’incubazione della malattia.
Già epicentro del devastante incendio epidemico che ha attraversato l’Africa occidentale, la Liberia è così entrata di nuovo nel radar delle autorità sanitarie internazionali, anche perché non sono pochi i punti oscuri circa l’origine dei casi. Le sparse informazioni disponibili sono tutt’altro che rassicuranti. E questo a dispetto dell’ottimismo dei responsabili sanitari locali, che vantano l’esperienza accumulata nella generosa lotta corpo a corpo contro una malattia le cui distruzioni sembrano rimandare ad una maledizione biblica. Le notizie di queste ore ci dicono che il primo malato liberiano, un ragazzo di diciassette anni, risultato positivo alla malattia, è morto qualche giorno fa a Nedowein, nella contea di Margibi, a circa 50 chilometri dalla capitale, Monrovia. Il fatto è che quel villaggio è a distanza di sicurezza dalla Guinea e dalla Sierra Leone dove focolai di febbre emorragica sono tuttora presenti e né la vittima, né due suoi amici, in condizioni stabili e sotto osservazione, si sono allontanati dall’abitato: è quindi da escludere che siano stati contagiati in quei Paesi che stanno ancora lottando contro l’epidemia. Questo propone una serie di interrogativi: dove si nascondeva il virus prima di riaffiorare? potrebbero esserci nicchie nascoste o nuovi mezzi di trasmissione? Alcune fonti – tra cui il responsabile della task force Ebola – raccontano che i tre abitanti del villaggio risultati positivi alla malattia avrebbero scavato e recuperato un cane morto, di cui avrebbero mangiato la carne, comunemente consumata in Liberia.
Non è stato dimostrato che i cani possono trasportare il virus, e ora si indaga sul possibile ruolo degli animali domestici come portatori del virus, mentre è in atto un controllo sulla moria di capi di bestiame, in una remota contea della Liberia, Lofa. Ricompaiono sulle homepage dei giornali le immagini dei corpi delle vittime portate frettolosamente alla sepoltura; e quelle del villaggio dell’ultima vittima messo in quarantena, un termine che evoca pesti medievali e lazzaretti cinti da mura.
Nessuno, naturalmente, dimentica che un caso di Ebola arrivato dalla Guinea aveva dato il via, l’anno scorso, ad una catastrofe sanitaria che ha provocato in Liberia più di 4000 morti. Non resta che sperare che una nuova crisi possa essere scongiurata grazie al grado di allerta e alla sorveglianza messa in campo in questi mesi. In attesa dei risultati che potranno venire dalla ricerca sulla fonte dell’infezione e dallo studio dell’evoluzione genica del virus per verificare i legami con quelli responsabili delle epidemie in Guinea, Sierra Leone e la stessa Liberia, nella precedente ondata epidemica.
Eugenia Tognotti, La Stampa 4/7/2015