Eugenio Occorsio, la Repubblica 3/7/2015, 3 luglio 2015
GREXIT, LE TERRE INCOGNITE DELL’EURO SENZA ATENE
«Il futuro dell’Europa è nelle mani della Grecia», titola l’Economist di oggi.
Difficile discordare. Banche chiuse d’ufficio per otto giorni, la prima insolvenza con l’Fmi di un Paese europeo, il collasso di un piano di salvataggio senza precedenti, l’impossibilità di un accordo europeo: situazioni impensabili quando fu varato l’euro e che lasceranno il segno. Secondo il Fondo serviranno altri 50 miliardi entro il 2018 per la Grecia. E sono il preludio alla “navigazione in acque sconosciute” prospettata da Draghi. A questo punto è davvero difficile prevedere cosa accadrà. Ma lo spettro della Grexit si fa sempre più incombente: ormai non è più solo un male remoto da esorcizzare ma uno scenario plausibile con cui politici e banchieri stanno facendo seriamente i conti. Così abbiamo chiesto e tre prestigiosi economisti di aiutarci a valutare, come in un esperimento non più solo da laboratorio, quali potrebbero essere le conseguenze della più infausta delle conclusioni a questo dramma che si trascina da sette anni. Ognuno fa le sue ipotesi, ma di sicuro tutti concordano con il titolo dell’Economist.
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MICHAEL SPENCE
“Una dracma svalutata del 50% schianterebbe l’economia”
«Atene sopravvive oggi solo grazie alla Troika e la prima vittima della Grexit sarebbe la Grecia stessa. Non vedo la possibilità che il Paese possa farcela in una condizione di isolamento totale dal resto d’Europa, con l’economia a pezzi e un debito gigantesco da restituire, a questo punto non si sa più come. La solidarietà europea già fatica a manifestarsi adesso, figuriamoci dopo un divorzio che non potrà essere che traumatico. La reintroduzione della dracma porterebbe ad una svalutazione che il Fmi calcola nel 50%, qualcuno più ottimista nel 40, ma insomma di dimensioni tali da sfiancare qualsiasi economia anche molto più solida. Paradossalmente l’export, che di regola è l’unico settore a trarre vantaggio da una svalutazione, nel caso greco quasi non esiste per l’esiguità dell’apparato manifatturiero a differenza dell’Italia e anche della Spagna e del Portogallo. Le possibilità che il ritorno alla dracma possa avere qualche pur minimo risvolto positivo secondo me sono molto esigue. Le conseguenze sarebbero pesanti anche dal punto di vista politico interno, con Tsipras e i suoi ministri che finirebbero inevitabilmente sotto accusa per non aver saputo trattare efficacemente e non aver mantenuto la promessa elettorale di restare nell’euro pur attenuando la morsa dell’austerity che tanta sofferenza provoca. Peggio, il premier verrebbe anche incolpato di aver dissipato i germogli di ripresa che il Paese respirava nel 2014 quando addirittura la Grecia si era riaffacciata sul mercato dei capitali. Ora sarebbe fuori dall’euro e con un’economia sfiancata, senza la possibilità di recuperare in fretta sovvertendo le misure di austerity per assoluta mancanza di risorse. L’austerity è stata sbagliata ed eccessiva, il suo retaggio sono il 26% di disoccupazione e il 50% di quella giovanile, e i suoi danni saranno duraturi. Le banche, dissanguate da una fuga di capitali che continuerebbe sfrenata fino all’ultimo secondo utile, malgrado tutte le chiusure e i controlli ufficiali di capitale, molto probabilmente fallirebbero senza alcuna possibilità di sostegno dalla Bce. Tutto questo nello scenario peggiore plausibile, quello di Grexit: ma in ogni caso, comunque vada a finire, dopo la crisi greca l’Europa non sarà mai più la stessa».
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DANIEL GROS
“Rischio dissoluzione per l’euro se la Grecia si riprende da sola”
«Il vero pericolo per l’Europa, non sembri un’ipotesi surreale, è che la Grexit sia un successo. Visto che ragioniamo in termini di ipotesi di studio, perché ancora credo che alla fine un accordo in extremis sarà raggiunto, vediamo anche questa variabile: naturalmente nei primi mesi le conseguenze economiche sono disastrose per tutti, e tutti dicono “avete visto, lo dicevamo noi”. Però poi – ripeto, questa è l’ipotesi peggiore per il continente - la Grecia si riprende, magari addirittura rapidamente, e prospera con la sua brava dracma. Allora per l’Europa è davvero finita. Avrà buon gioco chi dirà: “Avete visto? Si sta meglio senza Europa”, e l’effetto-propulsione per i partiti anti-euro sarebbe incontrollabile. La fine dell’irrevocabilità dell’euro, insieme con la consapevolezza di aver bruciato centinaia di miliardi inutilmente, può davvero condurre alla fine dell’esperimento della moneta unica. Certo, tutto questo accade se la Grecia ne ricava giovamento: viceversa, se la Grecia affonda, si apre per l’Europa una serie di altri problemi, però tutti molto minori che non nel caso precedente. Le misure anti-attacco speculativo in questo caso funzionerebbero, anche perché la soluzione della vicenda greca (nefasta nell’ipotesi che stiamo esaminando) arriva dopo tanti anni di “attesa” nel momento in cui in Europa si respira aria di ripresa. Per cui neanche nei primi mesi vedo il pericolo concreto di impennate dello spread e dei “premi di rischio”. Certo, la tensione potrebbe riaffiorare in una prossima crisi o recessione, perché la speculazione si ricorderebbe del precedente greco e attaccherebbe senza pietà le economie più deboli. Insomma, meglio evitare di sperimentare la Grexit dal vivo. Comunque, se la Grecia esce, quello che deve fare subito l’Europa non è molto diverso dall’ipotesi contraria: rafforzare le strutture comuni, implementare l’unione bancaria con una garanzia dei depositi, accennare qualche forma di integrazione fiscale. Di più l’Europa non può fare a meno di cambiare i trattati e cedere finalmente un po’ di sovranità. Basterebbe una vera volontà politica. Ma i Paesi europei non vogliono saperne, neanche se c’è la Grexit».
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LORENZO BINI SMAGHI
“L’Italia può evitare il contagio con riforme e piano banche”
«L’alto livello del debito e la bassa crescita del nostro Paese rappresentano elementi di vulnerabilità sui quali si concentreranno inevitabilmente gli investitori internazionali, nel caso della vittoria del no in Grecia e della conseguente possibile Grexit. Un altro punto di debolezza italiano è rappresentato dalle varie forze che si sono schierate a favore di Tsipras recentemente – Lega, 5 Stelle, Forza Italia, addirittura alcune frange del Pd a giudicare dalle ultime esternazioni di D’Alema – che potrebbero prendere spunto dal disagio greco per lanciare una nuova campagna populistica contro l’Europa nella speranza di ottenere ulteriori consensi. E’ il “pensiero debole”, insomma il populismo che si sente circolare in questi giorni nei talk show nostrani, che alimenta timori di una incapacità del paese di fare la propria parte invece di cercare continuamente capri espiatori. A meno che non ci sia un ravvedimento di fronte al dramma che la Grecia vivrà uscendo dall’euro. Il rischio di contagio esiste comunque, inutile nasconderselo, soprattutto se l’euro non appare più come irreversibile. Bisogna prepararsi a farvi fronte. Sono fondamentali i passi avanti che si riuscirà a compiere in Europa verso una maggiore integrazione politica. Presumo, e voglio sperare, che il governo italiano abbia già negoziato con gli altri principali partner, non solo nelle sedi ufficiali ma in quelle in cui veramente si decidono le cose, un piano preciso in tal senso: integrazione fiscale, assicurazione comune sui depositi, altri provvedimenti per il completamento dell’unione bancaria. Altrettanto fondamentali sono le riforme rivolte a consentire all’Italia di recuperare competitività e riprendere a crescere creando posti di lavoro. Non basta il Jobs act, occorre realizzare concretamente le riforme promesse, dalla giustizia alla pubblica amministrazione. È necessario poi accelerare la ristrutturazione del sistema bancario e alleggerirlo delle sofferenze affinché possa sostenere la ripresa. Solo in queste condizioni la Bce, più che mai in caso di Grexit, potrà sentirsi pienamente legittimata ad intervenire con i suoi “bazooka” per limitare il contagio. L’istituto ha più volte ripetuto che ciascuno deve fare la sua parte e ha dimostrato di saper fare la sua».