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 2015  agosto 03 Lunedì calendario

DIETA VEGANA E IL BIMBO FINISCE IN OSPEDALE

Un bimbo di un anno che arriva in ospedale in condizioni critiche per denutrizione è un’immagine straziante che evoca gli spettri più oscuri. La fame? Una povertà estrema talmente ai margini di questo nostro mondo che proprio non riusciamo a vederla? Un degrado indicibile fatto di ignoranza e inerzia? Macché. A Firenze, all’ospedale Meyer è capitato ieri.
Ma lo scricciolino ora in terapia intensiva deve probabilmente il suo dramma alla coppia di genitori vegani che sin dalla nascita gli hanno negato ogni forma di cibo di origine animale: carne, latticini e altri derivati - come il miele - compresi.
E’ una storia che avrebbe dell’incredibile se non fosse terribilmente vera, e in fondo anche «esemplare» nella sua aberrazione. Che fa riflettere sulle conseguenze estreme a cui può condurre non l’ignoranza o la distrazione ma precisamente il suo contrario. Nel rapporto con il cibo, con ciò che mangiamo e ciò che siamo a seconda di ciò che mangiamo, ma non solo. Questo nostro presente tende a enfatizzare l’atto di alimentarsi: fobie, intolleranze, divieti, raccomandazioni, linee guida. I danni e i benefici di quel che troviamo nel piatto sono ormai una questione esistenziale. Il cibo è una necessità, è un piacere ed è anche - forse soprattutto - lo specchio della varietà che il mondo offre (ma già, ora si chiama biodiversità). Per molti sta invece diventando un’ossessione, come nel caso dei due genitori vegani che hanno affamato il loro bambino. Magari con le migliori intenzioni, etiche e affettive. Ma come non di rado capita, l’educazione dei figli è guidata dal principio di una consapevolezza totale: non si fa né si dice nulla che non sia supportato da un’ampia letteratura, da controlli di qualità, da uno studio meditato dei pro e dei contro. Nulla è per caso. Pensare che, a partire dal momento in cui si concepisce un figlio, l’amore di un genitore è fatto anche di una incoscienza necessaria per stare al mondo e non sgomentarsi di fronte all’imprevisto.
Invece è ormai nel pensare comune la lista dei cibi buoni ed etici e sani e di quelli (di solito decisamente più buoni) ma sicuramente non etici e malefici, per i quali si impartisce ai bambini un divieto condito di autentico sdegno. Di lì ad arrivare al fanatismo di certi regimi alimentari il passo non è poi così tanto lungo, e in questo senso il caso dei genitori vegani di Pontedera è tanto estremo quanto sintomatico. Anche il tema dei vaccini, dei movimenti pro e contro i vaccini, ha più il sapore di una guerra santa che di un dibattito sociale e scientifico, e la dice lunga su questa genitorialità e le sue derive. Soprattutto perché non vaccinare i propri figli è un lusso che ci si può permettere solo se quasi tutti gli altri lo fanno: una scelta dunque profondamente elitaria. E anche questa questione, come quella di che cosa mettere sul piatto dei nostri figli, rimanda al tema generale e universale di quello che vogliamo per i nostri bambini.
Certo non che diventino lo specchio, per non dire la vittima, delle nostre fobie, o anche solo delle nostre libere scelte fatte in nome di principi validi fintanto che non intaccano il diritto degli altri, nella fattispecie quello di un neonato di crescere e svezzarsi con una alimentazione adeguata invece che dissennata. Invece di sgomentare i medici dell’ospedale di fronte a gravi carenze nutrizionali imposte dall’osservanza di un regime vegano più che legittimo, a patto che non si trasformi in un fanatismo per il quale esiste solo una retta via, la propria. In fondo, la migliore ricetta dell’amore di un genitore contempla un poco di incoscienza, una misura di discrezione e soprattutto quel coraggioso altruismo che non vuole figli a propria immagine e somiglianza.