Àlex Vicente, il venerdì di Repubblica 3/7/2015, 3 luglio 2015
LE CHIESE SENZA DIO
In questa chiesa non si ascoltano sermoni. Non ci sono cappellani intriganti né devoti inginocchiati. Le sue messe domenicali non servono per espiare peccati e non includono nessun rito di comunione, a meno che non si vogliano considerare tali inni pop cantati a squarciagola in un karaoke di massa, sedersi a prendere un tè con degli sconosciuti per partecipare a conferenze su temi di scottante attualità. Qui i cantici sono sostituiti da pezzi dei Beatles, l’officiante è più bravo a raccontare barzellette che a celebrare l’eucarestia, e se proprio deve scegliere preferisce citare Schopenhauer e David Poster Wallace che gli apostoli.
È la domenica di Pasqua nel quartiere londinese di Holborn. I parrocchiani di questa peculiare parrocchia sono venuti qui, come fanno due volte al mese, per cercare di trovare qualcosa che dia un senso alle rispettive esistenze. I responsabili non reclamizzano la chiesa promettendo la salvezza, ma un lieve sentimento di redenzione sì, quella sensazione che emerge quando ci si sforza di trasformarsi nella «versione migliore di se stessi». Così si esprimono, quasi all’unisono, i due fondatori di questa peculiare congregazione, che propongono attività alternative alla liturgia classica e risate assicurate. All’inizio del 2013 Sanderson Jones e Pippa Evans, due umoristi con una certa reputazione nella scena cabarettistica londinese, hanno creato la prima chiesa pensata per gli atei. L’hanno chiamata Sunday Assembly. Un’idea da pazzi che ha finito per apparire sensata. Dopo appena due anni, l’organizzazione ha già aperto delegazioni in 54 città di tutto il mondo, come Bruxelles, Berlino, Amburgo, Dublino, Budapest, Sydney, Melbourne, New York, Washington, Chicago. L’onda lunga è arrivata perfino nella Silicon Valley. E altre succursali ancora stanno per vedere la luce in Africa, Asia e America Latina, portando il totale delle associazioni sorelle vicino al centinaio. «Abbiamo oltrepassato di gran lunga le nostre aspettative. Ci siamo detti che se funzionava a Londra poteva funzionare in qualsiasi parte del mondo, ma non avremmo mai immaginato che sarebbe stato così rapido» ammette Jones, un tipo alto, sorridente e dall’aspetto vagamente messianico, pochi minuti prima dell’inizio di questa assemblea domenicale.
Tutto cominciò due anni fa in una vetusta cappella di Islington, il quartiere gentrificato del nordest londinese dove risiedono Colin Firth, Kate Winslet ed Emma Watson. Ma i locali della parrocchia ben presto cominciarono ad andare stretti alla neonata congregazione. Prima di morire di successo, decisero di traslocare in un’enclave ricca di storia, la Conway Hall, sede di attività di associazioni umaniste dal 1929, così battezzata in onore di Moncure Conway, illustre difensore della libertà di espressione. Sopra il palcoscenico di questo edificio art déco, illuminato dalla luce che entra dal lucernario sul tetto, campeggia una citazione dell’Amleto: «Sii fedele a te stesso».
Sanderson Jones compare nel corridoio centrale mentre il coro prova un pezzo dei Proclaimers che i presenti intoneranno, su sue istruzioni, poco dopo. Ha una faccia vagamente conosciuta. Alcuni anni fa questo cabarettista di 33 anni è stato il protagonista di una serie di spot televisivi per l’Ikea, dopo aver lasciato il suo lavoro nel reparto pubblicità del settimanale The Economist. Oggi è la cosa più simile a un arcivescovo che possa avere la Sunday Assembly: è lui che dirige questa rete di congregazioni laiche sparse in ogni parte del mondo, è lui che visita un Paese dopo l’altro per dare consigli. Figlio di scozzesi che hanno vissuto in ogni parte d’Europa per motivi lavorativi, Jones definisce la sua educazione religiosa «quella classica di un cristiano reticente». Oggi si considera completamente ateo. «Sono stato educato in scuole confessionali, dove ci obbligavano ad andare a messa cinque volte la settimana. Mi è sempre piaciuto cantare, ascoltare i discorsi, sentire che appartenevo a una comunità. L’unico problema era che non credevo in Dio» ironizza. Verso i nove anni cominciò ad avere seri dubbi sull’esistenza dell’Onnipotente seguendo le lezioni di un professore di scienze naturali che non esitava a parlare di evoluzionismo.
«Un anno dopo, mia madre morì. Questo mi obbligò a familiarizzare fin da piccolo con concetti intensi come la vita e la molte. Invece di spingermi allo sconforto, la morte di mia madre mi fece apprezzare ancora di più il fatto di essere vivo. Da allora provo un senso di gratitudine e di piacere. Probabilmente è questo che mi ha pollato qui» racconta.
Jones creò questa organizzazione quando si rese conto che non era l’unico a trovarsi in quella situazione. Intorno a sé cominciò a scoprire altri giovani che avevano rinnegato la loro educazione religiosa, scontenti della posizione ideologica della loro Chiesa o incapaci di credere alle storie della Bibbia. Oppure persone educate al più stretto ateismo, ma che sperimentavano un’inquietudine spirituale che non sapevano come definire, e ancora meno dove esprimere. Per tutte queste persone è nata la Sunday Assembly. «Nella società occidentale le Chiese hanno perso peso o sono addirittura scomparse, ma non c’è nulla che abbia preso il loro posto. Qualcuno doveva riempire questo vuoto» assicura Jones, sottolineando l’effetto positivo che l’organizzazione esercita sui suoi fedeli. Secondo un recente sondaggio, realizzato su un campione di 350 persone, l’87 per cento dei partecipanti ha detto di sentirsi «più felice» dopo aver cominciato a prendere parte alle attività della Sunday Assembly. La Chiesa si finanzia attraverso donazioni e campagne di crowdfunding. La prima, lanciata nel 2013, puntava a raccogliere mezzo milione di sterline (circa settecentomila euro). Fu un fallimento: la cifra incassata fu appena un quinto. Oggi, anche se non precisano le cifre a loro disposizione, i responsabili della Sunday Assembly assicurano che possiedono fondi sufficienti a garantire il funzionamento delle attività per altri due anni. Inoltre, alla fine di ogni riunione si organizza una colletta: anche in questo assomigliano a una chiesa tradizionale.
Queste assemblee domenicali si ispirano al modello proposto da alcune chiese del Sud degli Stati Uniti, dove non importa tanto la fede religiosi), quanto il vincolo invisibile che unisce i suoi membri. «A differenza di quello che succede di solito in Europa, molti statunitensi conservano un buon ricordo della Chiesa in cui sono cresciuti, anche se poi hanno smesso di credere» dice Jones. «La ricordano come il posto dove andavano agli scout o giocavano a football, dove hanno conosciuto la donna che poi hanno sposato, cui hanno affidato la nonna quando si è ammalata. 11 senso di comunità fi è molto pii) forte».
Forse non è un caso se l’organizzazione si sta espandendo a ritmo sostenuto sull’altra sponda dell’Atlantico, perfino in posti come la Bible Belt, la «cintura della Bibbia» che va dalla Virginia al Texas. Oggi la metà delle congregazioni della Sunday Assembly sono negli Stati Uniti, dove negli ultimi anni la percentuale degli atei sta crescendo costantemente. Secondo un rapporto pubblicato a marzo dalla National Science Foundation, dal 2012 a oggi il Paese avrebbe perso 7,5 milioni di credenti. Un altro studio, realizzato dal Pew Researeh Center e pubblicato a maggio, segnala che i non religiosi ormai sono più numerosi dei cattolici (che finora rappresentavano la Chiesa con più fedeli): un 23 per cento di non religiosi, sette punti percentuali in più del 2007, contro un 21 per cento di cattolici, calati di tre punti. Anche nel Regno Unito le cifre dimostrano un’involuzione della fede religiosa: secondo un sondaggio di YouGov per il Times, il 33 per cento dei britannici non crede in Dio, un punto percentuale in più dei credenti; un altro 20 per cento dice di contemplare una forza spirituale che non definisce con quel nome.
Anche se la sua diffusione è ancora minoritaria, la Sunday Assembly punta a proporsi come alternativa per centinaia di migliaia di miscredenti, cercando di convincerli con uno slogan tanto accattivante quanto consensuale: «Vivi meglio. Aiuta spesso. Meravigliati di pili». Nelle battute d’avvio di questa messa aconfessionale, tra le quattro pareti della Conway Hall, riusciamo a tracciare alcuni profili. Per esempio Stanley, uno studente di 24 anni con le treccine rasta che Jones ha incaricato di distribuire volantini all’ingresso. «È la mia prima volta. Un amico mi ha parlato di questo progetto e mi è sembrato interessante. Non avevo mai sentito parlare di niente di simile» spiega il giovane.
In sala è seduta Katie, un’americana che lavora per un’agenzia di pubblicità londinese da sette anni. È stata educata al luteranesimo e continua ad andare in chiesa di tanto in tanto, anche se non lo considera «incompatibile» con l’appartenenza a questa congregazione laica: «Vengo ad ascoltare le conferenze. Nelle altre chiese non ci parlano di come tenere sotto controllo la propria impronta ecologica». Qualche fila più in là, Hildegarde, professoressa di teatro in pensione, racconta come scoprì di non essere credente quando studiava in una scuola di monache: «Non la smettevo di fare domande, perché non capivo come potessero essere vere le storie che mi raccontavano. Finché una delle suore, stufa dei miei dubbi .sull’esistenza di Dio, si stancò e mi gridò: “È un mistero!”». Quel giorno perse per sempre la fede. «Però a volte mi manca la liturgia, la cerimonia, l’appartenenza a una comunità. Per questo ho cominciato a venire qui». Nell’ultima fila si presenta Haleema, medico quarantunenne di origini pachistane, che ascolta con attenzione insieme alle sue tre figlie: «È un buon modo per concludere la settimana, occupandosi di sé stessi per qualche ora. lo sono stata educata come musulmana, ma ho sempre pensato che le storie che mi raccontavano non avevano senso, e non mi sono mai sentita a mio agio con il dogma. Meglio stare qui che in una moschea. Per lo meno ci si diverte di più».
Qualcuno ha collegato questo movimento al libro Del buon uso della religione: una giada per i non credenti, un saggio del filosofo Alain de Botton che propone di adattare alcuni principi ecclesiastici alla vita laica e secolare. «Anche se una religione non è vera, perché non teniamo le parti migliori?» recitava la campagna promozionale del libro al momento della pubblicazione, alcuni anni fa. «Il libro che avete fra le mani parte dalla premessa che è possibile essere atei e nonostante questo pensare che le religioni, sporadicamente, possono essere utili, interessanti e consolatorie, e provare una sufficiente curiosità per la possibilità di importare parte delle loro pratiche e idee nella sfera laica» scriveva fautore. De Botton pensava di organizzare grandi agapi di gruppo, creando ristoranti dove fosse obbligatorio sederai accanto a un estraneo per intavolare una conversazione. 0 ancora di reintrodurre la morale nel discorso artistico, praticare «esercizi mentali»e addirittura erigere un glande tempio ateo alto 4 metri nel centro di Londra. Jones si è ispirato a queste linee guida per creare la Sunday Assembly? Lui dice di no: «Avevamo avuto l’idea già prima. Però è vero che quel libro mi ha dato la spinta per decidermi ad agire. Mi sono detto che se non l’avessi fatto io qualcuno avrebbe finito per rubarmi l’idea». De Botton, da parte sua, ha creato The School of Life, un’istituzione educativa che offre corsi di sviluppo personale e propone arringhe laiche nello stesso luogo dove si celebrano le riunioni di questa assemblea domenicale.
Questa Chiesa sui generis in certi casi sarà fraintesa o derisa, ma i suoi adepti non smettono di moltiplicarsi. Lo scorsso settembre una trentina di città diverse si sono aggiunte, tutte in una volta, a questo movimento nascente. Un’agenzia di comunicazione che costituisce un punto di riferimento per le tendenze di consumo, la JWTIntelligence, aveva già aggiunto il termine godless congregations («congregazioni senza Dio») alla sua lista delle cento pai-ole chiave per il 2014. Nei Paesi Bassi, per esempio, sono nate chiese laiche in quattro città: Amsterdam, Rotterdam, Utrecht e Apeldoorn. Uno dei promotori è stato Jan Willem van der Straten, un ragazzo di 25 anni con folta barba da hipster che ci riceve seduto di fronte a un cappuccino in un bar di De Pijp, un altro quartiere bohémien con passato proletario nel Sud di Amsterdam. Studente di teologia e comunicazione, specializzato nella natura del secolarismo, ha lavorato pei1alcuni mesi come volontario accanto a Jones e Evans, prima di tornare nel suo Paese pei- sovrintendere alla creazione di queste quattro delegazioni.
«Sono cresciuto in una famiglia non credente, dove la religione non giocava nessun molo. È stato a tredici anni, quando scoprii un predicatore in televisione, che cominciai a considerare questo tipo di concetti» racconta. Van der Straten è uno dei rari dirigenti del movimento che non si definisce ateo. Dice di frequentare altre chiese – come la Hillsong, una Chiesa evangelica presente in 14 città del mondo che modernizza i canti religiosi e li trasforma in successi pop – e afferma che la Sunday Assembly non rifiuta nessuno per le sue convinzioni. In Italia e in Spagna, per il momento, non esiste nessuna succursale di questa congregazione, anche se van der Straten assicura di aver ricevuto messaggi di persone interessate a crearne una. Anche in Portogallo e Grecia la Sunday Assembly non è presente.
In questo momento sono in lavorazione tre tesi di dottorato sul fenomeno. Una di queste è della teologa Katie Scholarios, dell’Università di Aberdeen. «I suoi creatori sono stati palesemente influenzati dal modello della messa e si sono ispirati alle Chiese cristiane» afferma. «La Sunday Assembly dimostra che nonostante le apparenze esiste un certo rispetto di fondo per la fede nelle nostre società, che pure sono sempre più secolarizzate. Per esempio, questo movimento si mostra più rispettoso che provocatore. L’aumento del secolarismo non implica necessariamente un discredito o un minor rispetto verso le Chiese». Van der Straten è parzialmente d’accordo. «Più che di Chiesa atea, si dovrebbe parlare di un movimento laico in cui tutti sono benvenuti. Siamo solo una congregazione che celebra la vita» assicura. Ma il dibattito su chi può far parte di questa assemblea domenicale e chi no ha già provocato il primo scisma dell’organizzazione: una parte della delegazione newyorchese ha deciso di scindersi dalla Sunday Assembly per creare un gruppo più stretta- mente inquadrato nell’ateismo, il Godless Revival, perché giudicava la proposta di Jones troppo vicina alla liturgia cattolica ed eccessivamente tollerante nei confronti dei credenti che desideravano assistere a queste messe fittizie. Non sono le uniche critiche ricevute da questa Chiesa artificiale. L’editorialista del Guardian Sadhbh Walshe li ha definiti una «barzelletta»: «Hanno tutto il diritto di formare congregazioni e riunirsi con persone simili a loro, condividendo abbracci e progettando come fare del bene, ma non hanno diritto ad appropriarsi dell’ateismo pei- la loro causa».
All’altro estremo, il deputato nordirlandese William McCrea, reverendo della Chiesa presbiteriana, si è detto «preoccupato» per l’apertura di una delegazione della Sunday Assembly a Belfast: «Questa gente può rifiutare Dio, ma un giorno scopriranno che anche loro vengono dal Creatore». Negli Stati Uniti, l’avvocato Doug Berger, noto pelle sue posizioni laiciste, li ha definiti «insipidi», mentre il blogger Michael Luciano ha tacciato la Chiesa di «ingenua» e «fatua». Sui social network si sono levate alcune voci contro la loro ossessione per le donazioni.
Per Niki Bosemberg, una colombiana di 26 anni, non devono esistere limiti. «A patto che non si parli di religione» puntualizza. È arrivata a Parigi un anno e mezzo fa per lavorare come ragazza alla pari e si prepara a frequentare un master di traduzione e interpretariato. È una delle fondatrici di questa assemblea domenicale nella capitale francese, che ha iniziato le sue riunioni lo scorso autunno. «Sono stata educata all’ateismo, ma da grande ho riscoperto la spiritualità» spiega. «Condivido alcuni valori con la Chiesa cattolica, come l’amore per il prossimo, però non potrei mai farne parte: mi disgustano il suo dogmatismo e la sua corruzione». La delegazione parigina si riunisce una volta al mese nella Maison du Japon, una pagoda situata nella città universitaria. Le riunioni sono meno partecipate di quelle londinesi, anche se non esistono grosse differenze rispetto al programma. «L’unica è che i francesi sono più restii a mettersi a ballare» sorride Niki. Una delle ultime conferenziere è stata Florence Servan-Schreiber, guru dell’autoaiuto in Francia. Di fronte a un pubblico composto di mariti trascinati lì dalle mogli e studenti con facce da doposbornia delle residenze universitarie che circondano il luogo, la Servan-Schreiber si è presentata come una «professoressa di felicità» e ha distribuito consigli per «tonificare il nervo dell’amore» attraverso «stimoli positivi» e «spirali virtuose». A un certo momento è sembrato di sentir provenire dal giardino il trillo degli uccellini. Ma l’acustica era talmente perfetta, dentro quella pagoda parigina, che non era del tutto chiaro se fosse vero o solo un suono preregistrato.
Àlex Vicente, il venrdì 3/7/2015