Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 3/7/2015, 3 luglio 2015
MAURO, CONTRO DI ME UN COMPLOTTO
[Intervista a Rosa Angela Mauro] –
«Che cosa ho fatto in questi tre anni? Ho provato a stare più tranquilla». Rosa Angela Mauro, ex-vicepresidente del Senato, classe 1962, è di S.Pietro Vernotico (Br), ma di salentino non c’è più nulla nella sua inflessione, essendo a Milano da 35 anni.
Nel 2012, al massimo della carriera politica, dopo vent’anni di impegno nella Federazione lavoratori metalmeccanici, la mitica Flm, lato Uil, quindi nel SinPa, sindacato padano, poi nella Lega Nord, fu travolta dalla caduta di Umberto Bossi.
Contro il suo volto intenso di donna del Sud, contro i suoi capelli corvini, contro la sua figura e contro la sua ascesa in Via Bellerio, sede nazionale del Carroccio nel capoluogo lombardo, si accanirono in molti, tanto che la Procura di Milano aprì un fascicolo sui finanziamenti del partito al sindacato. «Ma poi archiviarono tutto. E stiamo parlando della Procura di Milano!».
Pochi giorni fa, Marco Reguzzoni, uno che, come lei, era ascritto dalle cronache al Cerchio magico bossiano, è stato cacciato dal partito.
Domanda. Mauro, che cosa fa, adesso?
Risposta. Mi occupo del SinPa a tempio pieno.
D. Ma come, il sindacato padano esiste ancora?
R. Certo. Nel 2012, quando fui travolta dall’attacco giornalistico, sapientemente alimentato dal fuoco amico...
D. Ah, quindi fu un complotto...
R. Ci arriviamo, mi faccia continuare.
D. Prego.
R. Le dicevo, allora Roberto Maroni, divenuto segretario, disse che il sindacato padano doveva avere un segretario padano. E siccome io padana non avrei potuto mai esserlo, per un fatto anagrafico, convocai il congresso: che decidessero gli iscritti.
D. E chi scelsero?
R. Scelsero me e, da quel momento, ci separammo dal movimento politico della Lega.
D. Ci sono ancora molti iscritti?
R. Fra 50 e 60mila, in tutta Italia, ma nel momento di fulgore siamo arrivati a 230mila.
D. Quindi, grazie alle loro tessere riuscite a stare in piedi?
R. Certo, non abbiamo mai voluto fare centri di assistenza fiscale, patronati e altri meccanismi di finanziamento laterale. Il SinPa esisterà finché ci saranno dei lavoratori che si iscrivono. Anche se...
D. Anche se?
R. Dobbiamo portare in tribunale certe aziende che si rifiutano di operare la trattenuta in nostro favore.
D. E perché?
R. Perché non abbiamo firmato i contratti nazionali. Ma le pare? Andiamo in Tribunale e i giudici ci danno ragione. È successo di recente, a Milano, dove Poste italiane hanno avuto torto, e a Brescia.
D. La magistratura l’ha anche sfilata da quell’onda di fango che l’aveva travolta, archiviando ogni addebito.
R. Si figuri. Io mi muovevo pagando di tasca mia, impensabile che mi fossi appropriata di un centesimo. Potei dimostrare tutto: la Lega sosteneva il suo sindacato, Rosi Mauro si comportò correttamente.
D. La colpirono sul piano personale, la chiamarono «badante», tirarono in mezzo il suo capo scorta.
R. Badante era per colpire Bossi, chiaramente. E non infangarono non solo quelli della mia scorta ma entrarono pesantemente nelle vicende familiari.
D. Cosa si diceva, allora?
R. Che bisognava stringere i denti e che la verità sarebbe venuta a galla. È stato così.
D. Il momento più brutto?
R. Quando, dopo la defenestrazione di Bossi, a Bergamo, fu convocata un’assemblea di cui sarei diventata bersaglio.
D. La cosiddetta «Notte delle scope»: che Maroni e i suoi colonnelli agitavano dal palco, promettendo pulizia.
R. Pensi che io quel giorno ero a Porta a Porta, non sapevo nulla.
D. Se lo avesse saputo?
R. Ci sarei stata anche io e, le assicuro, avrei fatto volare qualcuno giù da quel palco.
D. Che successe?
R. Mi telefonarono militanti che avevano partecipato e che ne erano rimasti sconcertati. Fu un colpo di mano, oggi lo posso dire. In quella serata mi si attaccò in tutti i modi e pensi che, all’epoca, non ero neppure indagata.
D. Pagò qualcosa?
R. Beh, certo non sono mai stata diplomatica, ma ho sempre lavorato per gli altri. Il triumvirato che si istallò a capo del partito, formato da Maroni, Roberto Calderoli e Manuela Dal Lago, mi chiese di fare un passo indietro. E io non capivo il perché. Parlavano di opportunità, di lasciar passare la sfuriata. In realtà, forse, interessava la mia poltrona in Senato.
D. Dai suoi compagni di sventura ha avuto qualche attestato di solidarietà?
R. Niente. Nemmeno da Federico Bricolo, e dire che ero stata madrina della figlia, a settembre 2011. Ora ha sempre un ruolo nella segretaria, mai più sentito. Roberto Cota, neppure. Calderoli idem. Persone con le quali ho girato l’Italia e con cui ho fatto migliaia di chilometri. Sa chi si è scusato, dopo che la Procura aveva archiviato?
D. Chi?
R. Mario Borghezio, che mi telefonò. Gli altri non ne sono stati capaci e, mi creda, se un uomo non riesce a tornare sui suoi passi, ad ammettere i propri errori, non sa neppure governare.
D. Nessuno altro?
R. Qualcuno dell’Italia dei valori.
D. Chi fu?
R. Non glielo dico: ammise però che avrebbero fatto meglio a guardare in casa sua.
D. Ma nel pieno della tempesta mediatica, Bossi, che pure aveva i suoi problemi, cosa le disse?
R. Ricordo il consiglio federale in cui mi chiesero di dimettermi, cosa di cui non volevo sapere. Mi disse di essere cauta, «che questi qua, ti fanno a pezzi».
D. Senta, lei parla di fuoco amico, ma qualche leggerezza il Senatur la face, mi riferisco alla gestione del tesoreria, da parte di Francesco Belsito.
R. Io stavo nel consiglio federale in quanto segretario del SinPa, potevo occuparmi solo di lavoro, non avevo diritto di parola né di voto. Che potevo fare?
D. Di qualcosa si era resa conto...
R. Certo, non sono nata ieri. Si intuiva che qualcosa stesse andando male.
D. E lo disse al Senatur?
R. Ovvio. Ma lui ripeteva che il segretario era lui e non rompessimo le balle...
D. Perché, secondo lei, il vostro gruppo dirigente è caduto?
R. Davamo fastidio. La Lega era al suo culmine. Oggi Matteo Salvini parla di trionfi ma allora la gente andava a votare davvero. Alle ultime regionali in Emilia sono stati persi 60mila voti: il Carroccio è andato bene ma perché i votanti sono stati il 37%.
D. Cosa fasce di buono?
R. Impostammo tutto il federalismo fiscale, d’intesa col Pdl, che poi il signor Giulio Tremonti smontò.
D. Forse le casse dello Stato non l’avrebbero retto. E sul fronte sindacale?
R. La battaglie del SinPa erano troppo avanti: 15 anni fa parlavamo di contrattazione regionale e aziendale, mettendo a punto un accordo con Assolombarda, che poi fu accantonato.
D. E poi?
R. Sostenevamo le gabbie salariali, che ogni tanto tornano di moda, ben sapendo come il costo della vita non sia uguale in tutta Italia. E facemmo anche la battaglia per le barriere doganali, per la quale ci dettero tutti addosso.
D. Battaglia protezionista.
R. L’avessimo fatta davvero, oggi, l’Italia non sarebbe a subire gli effetti delle delocalizzazioni e la gente, a casa, disoccupata.
D. Volevate un sindacato più legato al territorio...
R. Già quando ero nei metalmeccanici della Uil. Nel 1987, e c’era ancora la Flm, firmammo una piattaforma regionale, approvata dal 90% degli iscritti, ma Roma non volle riconoscere. Ricordo Giorgio Benvenuto che, sempre con grande garbo, mi pregava di essere più prudente. Ci commissariarono. Fu allora che Bossi, il quale stava muovendosi per fare la Lega Lombarda, capì quanto potesse essere importante un sindacato padano.
D. Che non scioperava mai.
R. Per forza, la gente guadagnava poco, non era il caso di fargli perdere altri soldi. Facevamo battaglie in tutte le sedi. E poi uno sciopero lo facemo: il primo.
D. Quale?
R. Quello contro la modifica dello Statuto dei lavoratori che voleva fare il governo di allora. Ministro del lavoro era Maroni.
D. Se l’è cercata, allora...
R. Forse.
D. Ha votato Lega alle ultime elezioni?
R. Assolutamente no.
D. E perché?
R. Perché molti di quelli che erano sul quel palco, e che vomitarono fuoco contro di me, la guidano. E perché quelle scope, usate contro di me che non avevo fatto nulla, non sono state utilizzate contro esponenti rinviati a giudizio.
D. Che le pare della Lega di Matteo Salvini?
R. Che è facile gridare all’invasione: è ovvio che la gente ti viene dietro. Poi bisogna anche saper governare e coi proclami non lo si fa.
D. Le battaglie leghiste non sono più le stesse?
R. Alcune sì, ovviamente ma, le ripeto, un conto sono i comizi, un conto la realtà.D. Una realtà sui cui Salvini trova consensi è la lotta all’euro.
R. Anche lì: bisognava fare la battaglia ai tempi di Romano Prodi, quando fu deciso tutto. Oggi non ha più senso. E poi mi pare che anche Salvini stia un po’ frenando.
D. Sì infatti, dinnanzi a quello che accade in Grecia, parla della necessità di un’uscita coordinata e condivisa.
R. Vede?
D. Senta l’altro giorno hanno cacciato Reguzzoni, anche lui del Cerchio magico.
R. Ancora con questo Cerchio magico? La riprova che non ci fosse l’hanno data i fatti di cui abbiamo parlato. Anzi, fu inventato un genere: c’è stato poi quello di Pier Luigi Bersani, ora c’è quello di Matteo Renzi.
D. Ma di Reguzzoni che pensa?
R. Che se l’è cercata. Ha messo in piedi un’associazione politica, era inevitabile. Mi sarei fatto scrivere un’autorizzazione col sangue.
D. La politica è un capitolo chiuso?
R. No, perché? Mai dire mai. Ora ho da fare, e molto, col sindacato.
Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 3/7/2015