Flavio Vanetti, Corriere della Sera 3/7/2015, 3 luglio 2015
«LA FERRARI È MAGICA»
Con Sebastian Vettel si può anche scherzare. Foglio di carta con un messaggio (apocrifo) di Toto Wolff: «Siluriamo Rosberg e ti offriamo un contratto di cinque anni: accetti?». Seb legge, strabuzza gli occhi e mangia la foglia: «È falso, eh? Non l’ha scritto lui. Ah, la stampa italiana...». Nessun dubbio, ad ogni modo. La risposta è in italiano: «No, grazie: non accetto». Il bello di Vettel è che parla volentieri di tutto, anche di argomenti delicati come la dichiarazione rilasciata da Mark Webber: a detta dell’ex compagno alla Red Bull, dopo che nel 2013 in Malesia il tedesco aveva disatteso un ordine di scuderia, Sebastian spedì l’avvocato da Chris Horner minacciando la rescissione del contratto se fosse stato punito. Vero o no? «Pensate quel che volete. A Montecarlo ho trovato Mark e non mi ha detto nulla. E comunque questo è il passato». Il presente è invece una Ferrari che l’ha stregato. Ed è anche un’espressione che vira al cupo quando gli si nomina Michael Schumacher: «Mi viene difficile parlare di lui». Il groppo in gola è malcelato: è un lato umano e «vero» di Seb che ci piace sottolineare.
British Grand Prix, nona gara: il giro di boa del Mondiale è in vista. Nell‘avventura ferrarista che cosa c’è di più e che cosa di meno rispetto alle aspettative della vigilia?
«Di più ci sono l’ottima partenza, il feeling con la monoposto e i progressi nell’area del motore: mi dicono siano enormi. Quali i “meno”? Non posso ancora darvi una risposta».
Però da due gare la squadra manca il podio. Siamo di fronte a una piccola crisi?
«No. Non interpretiamo male gli scenari: abbiamo già ottenuto quasi tutto quello che ci eravamo prefissi in partenza. Vogliamo di più, certo: ma non sono cose che si conquistano dalla sera alla mattina».
Se dovesse sintetizzare il bilancio con un emoticon, quale faccina sceglierebbe?
(nuova risposta in italiano) «Quella con l’occhiolino». (Interpretiamo: è lo sguardo furbo di chi sa dove può arrivare) .
Alonso dice che comunque siete secondi e che lo resterete: quindi, non è cambiato molto dai suoi tempi.
«L’analisi è corretta. Ma siamo progrediti e abbiamo tanta fame, pur essendo il divario dalla Mercedes ancora ampio».
Vettel era abituato a vincere sempre. Ora, non più. Come vive il cambiamento?
«Ho sempre pensato che certi risultati non fossero normali e poi ho sempre creduto che fossero opera di un team. Oggi che non vinco, non dico che guido una macchina scarsa. Ognuno ha i risultati che si merita: io sono qui per migliorarli. Non mi piace arrivare quinto, ma se arrivo quinto so ancora sorridere».
Si aspetta che la Ferrari le chieda un consiglio, nel caso dovesse non confermare Raikkonen?
«Non sono responsabile di chi ho a fianco. Io ho un contratto lungo. Se ci dovesse essere un altro compagno, lavorerò con lui. Ma sto bene con Kimi: è rimasto la stessa persona nonostante, nel 2007, sia diventato campione del mondo».
Quando Schumacher arrivò a Maranello dovette correggere un metodo troppo «italiano» del team. Lo ha fatto pure lei?
«Difficile giudicare il passato. Dico solo che da quando sono arrivato, molto è cambiato e in positivo: lo spirito è bello, i risultati sono giunti in fretta e ora tutti vogliono crescere».
Possiamo dire che lei si sente più italiano di Michael?
«Non so quanto lui fosse “italiano”! Non ne abbiamo mai discusso».
Quando verrà, dedicherà il titolo con la Rossa a Schumi?
«E complicato parlare di lui, oggi non è con noi. Vorrei evitare di farlo: eravamo vicini, è stato il mio eroe e poi l’ho frequentato. Non abbiamo speso molto tempo assieme, ma quando incontri una persona percepisci se ti piace o meno».
Le piacerebbe aspettare che suo figlio Mick sia pronto per la F1?
«Mick ha addosso il peso del cognome e della situazione del padre. Va rispettato: è un ragazzo, lasciategli tempo e lasciatelo correre senza pensieri. L’ho incontrato spesso: è un giovane uomo molto ben educato. Sì, mi piacerebbe vederlo in F1; ma oggi è presto».
Se Rosberg vincerà il Mondiale, sarà il primato di un tedesco su un’auto tedesca. Non le dispiacerebbe di non essere lei ad averlo fatto?
«No. Io voglio vincere con una macchina italiana».
A proposito, come finirà quest’anno tra Hamilton e Rosberg?
«Il mio pensiero rischia di essere travisato. Allora mi limito a due riflessioni: Nico ha sorpreso per la sua velocità; sarà un duello più incerto rispetto al 2014. Chi vincerà? Non me ne curo».
Ieri la Fia e la Fom hanno annunciato decisi cambiamenti dal 2017. Ma ci sono svolte già a breve: ad esempio, un pilota sarà meno «guidato» dal muretto. In questa F1 che cosa funziona e che cosa invece non va?
«Non va la complessità attuale: ci sono meno lotte e meno spettacolo. È una F1 diversa, nei rumori e nei “profumi”. Certo, abbiamo più aree da esplorare, però siamo andati troppo avanti e servirebbe tornare indietro. Non è semplice: anche se una cosa è ovvia, non è detto che sia fattibile».
Ci racconta la sua Maranello, tra angoli preferiti ed emozioni?
«Il ristorante Montana è una tana amata: ma non posso andarci quanto vorrei, sarebbe un attentato alla mia linea. Amo passeggiare dentro la Ferrari, vedere la gente che lavora. Frequento da anni meccanici e ingegneri, ma qui è diverso; qui c’è una passione che trascende il lavoro: è questa la magia che sto toccando con mano».
Tra quanto il Mondiale, ora che conosce il Cavallino?
«Eccola qua la pressione sulla Ferrari! Non dipende solo da noi. Cercheremo di far diventare possibile l’impossibile».
Lei era l’idolo di Ecclestone. Ma ora Bernie l’attacca: «Vettel fa poco per la F1». Perché ha cambiato idea?
«Non lo so. Domanda: è giusto decidere che cosa un pilota debba fare? Sfortunatamente non appartengo a una generazione che non era costretta ad ascoltare certe cavolate. Se avessero fatto quel discorso a Senna, Lauda, Prost o a Schumacher, avrebbero risposto con un “fuck off”».