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 2015  luglio 03 Venerdì calendario

CONTADOR: «GIRO PIU’ TOUR, VOGLIO ESSERE RICORDATO PER SEMPRE»

Le canoniche conferenze stampa di antivigilia e vigilia non fanno fare spesso salti di gioia ai cronisti. Cerchi parole fuori dall’ordinario e trovi la routine. Speri in un titolo e peschi l’ovvietà. E ieri Alberto Contador, che ha convocato i media mondiali in un albergo della periferia di Utrecht e in una sala troppo piccola per l’importanza della cosa, sembrava rispettare il solito copione tra un «Affronterò il Tour giorno per giorno, questa volta più che mai», un «Vorrei ritrovarmi al primo riposo con venti minuti di vantaggio, ma non sarà possibile» e un «Sì, mi fido dei miei compagni e credo che avranno un livello migliore rispetto al Giro d’Italia».
SFIDA È stato verso la fine, dopo il fuori programma del canarino (subito ribattezzato «Giallo») portafortuna regalatogli da due tifosi-giornalisti olandesi in omaggio a una sua antica passione («Ma ora non ho più tempo»), che Alberto ha spiazzato con una variazione sul tema. Ha alzato gli occhi. È sembrato che una scintilla li attraversasse. E ha detto: «Per me, quest’anno, Giro d’Italia e Tour de France sono una sfida unica. Non li ho mai presi in considerazione separatamente, ma come due passi sulla stessa strada. Come una vittoria unica. Il Giro l’ho conquistato ma sono soltanto a metà della storia. E se riuscirò a vestire la gialla a Parigi, dopo la rosa a Milano, avrò davvero fatto qualcosa che sarà ricordato per sempre».
EVEREST Giro d’Italia e Tour de France nello stesso anno. L’Everest per eccellenza del ciclismo al punto che solo in sette ce l’hanno fatta a scalarlo: da Fausto Coppi a Jacques Anquetil, da Eddy Merckx (ci mancherebbe altro: 3 volte, come nessuno) a Bernard Hinault, da Stephen Roche a Miguel Indurain fino ad arrivare a Marco Pantani. Il Pirata ce la fece nel 1998 e non è un caso che Contador abbia spesso indicato Marco come fonte d’ispirazione. Il Pistolero, per carattere sempre alla ricerca di nuove sfide, di obiettivi, di traguardi da tagliare a braccia alzate, stavolta ha posto l’asticella alla massima altezza. E sa bene che il Tour de France sarà la parte più complicata della faccenda.
STORIA Non è la classica banalità della corsa più difficile, dei rivali, della pressione, e chissà cos’altro. È la storia che ce lo insegna. Contador ha corso tre volte la Vuelta: 2008, 2012, 2014. Ha sempre vinto. Ha partecipato 3 volte al Giro d’Italia, 2008, 2011 e 2015, e il copione è stato lo stesso, anche se il trionfo 2011 gli è stato tolto per il controverso caso clenbuterolo. Al Tour no. La Grande Boucle gli ha regalato sì grandi gioie – i successi 2007 e 2009 – ma anche rovesci clamorosi, lasciando perdere l’esordio del 2005 quando a neppure 23 anni chiuse al 31° posto. Vediamo: l’impossibilità a partecipare nel 2006 come il resto della squadra, la prima versione dell’Astana, in un Tour sconvolto alla vigilia di Strasburgo dal deflagrare dell’Operacion Puerto; non invitato, sempre con l’Astana, nel 2008; la vittoria soffertissima e poi cancellata del 2010 per il clenbuterolo (la positività si riferisce proprio a quella edizione). Ancora: la via crucis del 2011 cominciata con la caduta nella prima tappa e conclusa al quinto posto; l’assenza per squalifica del 2012; le batoste prese da Froome e Quintana nel 2013 (4°, alle spalle anche di Purito Rodriguez) che l’avevano portato a subire gli strali del patron Oleg Tinkov; e infine lo scorso anno, con le difficoltà sul pavé prima e la rovinosa caduta poi, che lo costrinse al ritiro prima che si arrivasse alla Planche des Belles Filles. No, sarà tutt’altro che facile. Ma ad Alberto non interessa nulla. Anzi, è cosi che gli piace.
PAROLE Proprio l’esperienza del 2011, l’unica stagione in cui aveva già tentato la doppietta, è ritornata alla memoria ora che al via della 102a edizione mancano appena 24 ore. «Anche se può sembrare una bugia perché non vinsi – ha detto il capitano della Tinkoff-Saxo, 32 anni — quel Tour del 2011 mi dà fiducia. Le cose si misero subito male con la caduta il primo giorno, ero arrivato al punto che volevo ritirarmi. Rimasi soltanto per una questione personale, una sfida con me stesso. E sulle Alpi, ebbi una cattiva giornata sul Galibier, ma poi il giorno dopo cercai di far saltare il banco attaccando subito. La gente che ama il ciclismo fu contenta, io mi ero divertito, e poi nell’ultima crono mi superarono soltanto due come Martin e Evans. Insomma, nonostante tutto, senza la crisi nel giorno del Galibier avrei lottato per la maglia gialla fino a Parigi. Questo mi motiva».
AMBIENTE Dalla conclusione del vittorioso Giro (31 maggio) al via del Tour (domani) ballano appena 34 giorni. «Ho dovuto rinunciare alle feste, a passare tempo con gli amici, a tante cose, anche a quella di non bere neppure un bicchiere di vino in un mese. Ho vissuto solo e unicamente per la bicicletta. Non sono cose che si vedono, ma sapevo che sarebbe stato così quando ho preso la decisione di tentare la doppietta. Un’idea che mi frullava in testa già prima dell’inizio dell’ultima Vuelta. Psicologicamente, ero già preparato a questi sacrifici». L’impressione è quella che Alberto abbia fatto fruttare bene questi giorni, visto che l’unico test agonistico – la Route du Sud – lo ha vinto (quattro giorni di gara, per lui tappa e classifica finale), infliggendo una sconfitta al rivale diretto Nairo Quintana che potrebbe avere qualche conseguenza psicologica nel morale del colombiano. Contador non dimentica certo Chris Froome («Se è in giornata, in salita ha un cambio di ritmo impressionante») e Vincenzo Nibali («Sa come si vince un Tour ed è assai regolare»), ma non toglie dal pronostico i francesi Thibaut Pinot e Romain Bardet oltre al connazionale Purito Rodriguez («Il percorso è ideale per lui»).
SCELTA Contador ammette: «Se dovessi scegliere, preferirei avere la condizione che avevo al via del Tour dello scorso anno (disse che non era mai stato più in forma, ndr). Ho qualche timore che il fisico non abbia recuperato del tutto gli sforzi del Giro, ma sto bene. Fisicamente e di testa, che conta almeno quanto le gambe. A differenza di altre squadre, la nostra intelaiatura è simile a quella del Giro (oltre a lui, «doppiano» Basso, Kreuziger, Rogers e Tosatto, il maggior numero tra le squadre top, ndr). Ma siamo veterani, forti, corridori di fondo. Questa è un’edizione aperta, forse la più aperta degli ultimi dieci anni. E tra quelli che ho fatto io, è il Tour più esigente dal punto di vista della montagna, senza dimenticare che nei primi nove giorni tra pavé, vento, crono e strappi secchi può succedere di tutto. Il fatto che molti credano che la doppietta sia impossibile mi motiva ancora di più». A proposito di asticelle alte, cime da scalare e obiettivi da centrare. È il ritratto del Tour de France. E anche quello del grande Alberto, che di «accontentarsi» di essere già nettamente il miglior corridore da grandi giri della sua generazione proprio non ne voleva sapere.