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 2015  luglio 01 Mercoledì calendario

UN ANNO SULLA PANCHINA CHE SCOTTA

In una calda giornata d’estate, alla notizia che il freezer si è rotto, Roberto Donadoni non fa una piega. In pantaloncini e polo viola, con calma zen dice: «Quest’anno ne ho viste così tante che so passare sopra a queste cose». Nella sua masseria bianca a Savelletri, sulla costa brindisina alle porte del Salento, l’ex gloria del Milan, l’ex ct della nazionale, l’ex allenatoredelParma,tracciailbilancio del suo anno più terribile e importante davanti a un tè freddo alla pesca, circondato da ulivi secolari e siepi di bouganville. E mentre arriva la ferale notizia del frigo, commenta anche quella che più lo immalinconisce: il Parma è fallito, nessun acquirente, l’asta è andata deserta. Non c’è più niente da fare, la squadra che ha allenato per tre stagioni dovrà ripartire dalla serie D. Donadoni, che cosa è successo? È una cosa che mai avrei immaginato potesse accadere, ma quando si ha a che fare con dei farabutti puoi aspettarti tutto. Si riferisce al presidente Tommaso Ghirardi e alla sfilza di personaggi un po’ alla film di Quentin Tarantino, che sono venuti dopo di lui? Fin dallo scorso anno si sussurrava di difficoltà finanziare della società, ma il presidente pagava sempre all’ultimo istante. Lo sapevamo, ma non pensavo fosse una situazione così grave. Tutti credevano che la famiglia Ghirardi avrebbe fatto fronte ai debiti. Così non è stato ed è iniziato il disastro. È apparso Rezart Taci, petroliere albanese, che io non ho mai incontrato. Poi è arrivato Giampietro Manenti e lì è stata davvero la fine. Manenti l’ha incontrato?
Sì, è venuto anche in qualche trasferta. Ci siamo aggrappati a lui, mentre il buonsenso avrebbe dovuto dirci che non era una speranza, ma l’ennesima fregatura. Ricordo che diceva sempre: i soldi ci saranno. Ci fece vedere anche documenti che annunciavano l’arrivo di 100 milioni. Quando l’hanno arrestato abbiamo saputo come stavano davvero le cose.
È stata dura resistere?
Misonosentitoindovereneiconfronti del gruppo, non potevo abbandonare la squadra. Anche se questa vicenda terribile, finita con la retrocessione, resterà come una macchia nella mia carriera, per me è stata un’esperienza indimenticabile.
E per i giocatori?
Tanti sono andati via, faccio fatica a ricordarli tutti. Ma chi è rimasto ha lottato come un gladiatore. In che condizioni giocavate? È vero che lei stesso ha sponsorizzato con il suo ristorante alcune partite?
Giocavamo senza una guida, non solo economica, e con tutte le difficoltà di una situazione paradossale: dalla lavanderia, ai ristoranti, alle trasferte, alle pulizie. Con il mio ristorante abbiamo sponsorizzato la partita contro la Juventus, che poi, piccola soddisfazione, abbiamo vinto.
Una grande soddisfazione: Gianni Mura ha scritto che in America quella partita sarebbe diventata un film. È stata una bella emozione tenere testa alla prima della classe, ma abbiamo fatto diverse partite straordinarie. Anche con il Napoli. Dopo quell’incontro, lei accusò il Napoli. Vi avevano detto: falliti, dovete lasciarci vincere!
È il contrario dello sport: una squadra può essere meno forte, ma questo non vuol dire che debba tirare i remi in barca e rinunciare. Il calcio è bello perché non sai mai come finisce, finché l’arbitro non fischia la fine del match.
E invece tra gli scandali internazionali e quelli nostrani, da ultimo le partite comprate del Catania, la realtà com’è? In Italia ci sono presidenti in gamba, ma spesso usano le loro capacità solo per se stessi. E invece non ci sono solo i soldi. Se poi pensiamo a Joseph Blatter, allora c’è da augurarsi che questo sia l’anno zero del calcio. E poi si riparte. Sennò diventa tutto inutile, anche il nostro sforzo di lottare per cambiare qualcosa. A qualcosa è servito, se alla fine
vi applaudivano anche i tifosi dei vostri avversari. Più andavamo avanti, più gli avversari ci incoraggiavano. Mi ha fatto ritrovare la dimensione vera dello sport. Non ha mai perso le staffe, è rimasto lo stesso «Gianni Letta dello spogliatoio» come l’avevano definita anni fa. Ma quando ha sofferto di più? A volte ho pensato: se fallisce ci liberiamo tutti da un peso. Antonio Cassano, uno di quelli che ha abbandonato la barca, l’ha attaccato in un tweet chiamandola «Crisantemo»: roba da toccarsi. Barzellette. Per lei Cassano è un traditore? È uno dei migliori giocatori che ho allenato. A Parma non lo capiva nessuno all’inizio, ma lui viaggiava a una velocità diversa dagli altri. Come lui solo Andrea Pirlo: giocatori che hanno qualcosa in più. Poi c’è l’uomo. Anche lei aveva qualcosa più degli altri: Michel Platini la definì il migliore giocatore degli anni Novanta. Fu così fin dal campetto dell’oratorio? Era un campetto a sette, dovevi sbrigarti ad arrivare dopo la scuola sennò non giocavi. Io abitavo a 100 metri, arrivavo sempre. Quel prato mi ha fatto diventare quello che sono oggi. Avevo qualche qualità tecnica in più rispetto ai miei compagni, così mi obbligavano a stare sempre nella nostra metà campo. Anche da professionista continuai così. Ormai era nel mio inconscio, cercavo l’assist più che il gol.
Fu uno dei primi acquisti di Silvio Berlusconi per il suo Milan. La scelta di andare al Milan fu dettata dal « cuore, mi voleva la Juventus. Ma io ero milanista: Gianni Rivera era il mio idolo, fu una scelta sentimentale, come tutte le scelte della mia vita. Come ha vissuto l’apertura a Mr. Bee? È in linea con i tempi, oggi il calcio ha bisogno d’investimenti enormi. Pare che per il Parma ci sia un interesse di Barilla e di Parmalat? Speriamo. Sarei felice per il Parma che se lo meriterebbe. Anche se conosco Guido Barilla ed è un golfista... Anche lei è un grande giocatore di golf. Come c’è arrivato? Dopo aver giocato in 11, mi piace la solitudine. È una sfida, bisogna misurarsi con il campo, con la natura. Ognuno con il suo handicap può virtualmente sfidare i grandi campioni. Come giocare a calcio con Pelè. E poi il golf aiuta a mantenere la calma. Forse lei di calma ne ha avuta anche troppa quest’anno: ora dove andrà adesso ad allenare? Si è parlato del Basilea. Sì, era una possibilità, ma ci sono impedimenti con la lingua: non parlo il tedesco. Ci sono stati contatti con squadre di serie A e B in Italia, ma nulla di fatto ancora. Vorrei tornare a lavorare il più in fretta possibile per togliermi le tossine velenose. Ora Donandoni alza gli occhi sul prato all’inglese dove sua figlia Bianca di un anno e mezzo sta correndo. E un pensiero veloce gli attraversa la mente: «Che sollievo, è una femmina e da grande non vorrà fare il calciatore».