Diego Gabutti, ItaliaOggi 2/7/2015, 2 luglio 2015
CARLO EMILIO GADDA NON VOLEVA ESSERE DISTURBATO DA TEMI POLITICI PERCHÉ LA POLITICA È UN CAMPO MINATO, L’UNICO RIMASTO TALE DAL 1915
Goffredo Parise, in un articolo del 1973, pensa «a un’ideale biografia di Gadda fatta esclusivamente d’aneddoti». Gli aneddoti, per i romanzieri come per i biografi e per i pettegoli, sono la chiave di tutto.
Non c’è altro modo di raccontare una vita, e non solo la vita di Carlo Emilio Gadda, penna ineffabile e barocca, autore del Pasticciaccio brutto e della Cognizione del dolore, ma la vita di chiunque, compresa la vostra e la mia. Un esempio di biografia gaddiana «per aneddoti» è questa ricostruzione d’un episodio minore ma importante della sua vita: l’amicizia con l’autore del Prete bello e del Padrone, e la delusione che ne derivò. (Ma ci sono anche altri esempi di biografia gaddiana in pillole: Il gran lombardo di Giulio Cattaneo, Einaudi 2003, o L’ingegnere in blu di Alberto Arbasino, Adelphi 2008, entrambe mirabili e straconsigliate).
«Se mi vede Cecchi, sono fritto». Corrispondenza e scritti 1962-1973 (Adelphi 2015, pp. 346, 18,00 euro, ebook 7,99 euro) raccoglie le poche lettere superstiti tra quelle, numerosissime, che il Grande Lombardo e Goffredo Parise si scambiarono negli anni sessanta.
Scontroso e timido, Gadda attraversava un momento di grande «esposizione mediatica» (come si direbbe oggi, quando non ci sono più Gadda né Parise a vegliare sulla moralità della lingua). Incalzato dai gazzettieri culturali, omaggiato da premi vinti o persi solo per un pelo, diviso tra il catalogo Garzanti e quello Einaudi, tradotto (lui, intraducibile) in «altri idiomi», Gadda aveva i nervi a fior di pelle: contento d’essere esaltato e omaggiato, come una specie di rock star delle patrie lettere, beniamino della critica e dei lettori «alti», era per lui un incubo non diciamo rispettare i tempi di consegna pattuiti con gli editori e con i giornali ma anche solo tentare di farlo.
Ma c’era un incubo peggiore: essere sotto attacco da parte delle furie della fama letteraria. Evitava il più possibile di presentarsi alle cerimonie ufficiali e, quando si rassegnava a farlo, ne usciva frollo e sconvolto, pronto a dar conto dei suoi mali, tra veri e immaginari, a quello che era all’epoca un grande amico, Goffredo Parise, a lungo suo vicino di casa a Roma, poi suo confidente e compare di penna.
Gran fifone oltre che gran lombardo, Gadda si faceva scarrozzare da Parise a bordo della sua «spider-rossa-biposto-inglese», e mentre Parise premeva a tavoletta sull’acceleratore il vecchio ne ascoltava rapito le confessioni (e le invenzioni) erotiche. «Temeva anche di essere visto, e criticato, a bordo di quella macchina», scrisse Parise in seguito. «Qualche volta diceva: «Se mi vede Cecchi, sono fritto».
Sdebitandosi, Gadda lo iniziò alla lettura di Darwin, che avrebbe poi fecondato la narrativa di Parise.
Quella in cui la stella gaddiana prese d’un tratto a brillare, era un’Italia che s’avviava ai sessantotti, agli autunni caldi, al terrorismo e a una lenta, inarrestabile rovina. Scrittore satirico e filosofo negativo, Gadda già la metteva in burletta quand’era ancora soltanto una trama appena abbozzata. «Non amava essere «tormentato» da domande troppo inquisitorie in politica, in sociologia, in religione», scrive ancora Parise. «Considerava la politica «un campo minato, l’unico rimasto tale dal 1915».
Poi Parise si prestò a fare da portavoce a Valentino Bompiani, col quale Gadda aveva firmato un contratto in anni remoti, cedendogli ogni sua opera passata e a venire, salvo poi cedere ogni suo parto letterario a Giulio Einaudi e Livio Garzanti. Bompiani, attraverso l’amico Parise, che si prestò (pensò Gadda, ferito) allo scopo d’arruffianarsi un possibile editore, gli ricordava l’antico impegno (e l’anticipo, versato in anni lontani). Gadda non perdonò a Parise, che era per lui una specie di figlio, il ficcanasamento, e da quel dì l’amicizia tra i due dovette appannarsi un po’.
Non si sono conservate lettere del periodo successivo. Parise avrebbe scritto un racconto, L’ingegnere, e un paio di straordinari articoli su Gadda, che trovate in appendice al carteggio Adelphi, magnificamente curato, annotato e commentato da Domenico Scarpa. Gadda morì nel 1973, Parise nel 1986.
Diego Gabutti, ItaliaOggi 2/7/2015