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 2015  luglio 02 Giovedì calendario

SOLO LA POLITICA SALVERA’ L’EGITTO – 

L’Egitto è impegnato su tre fronti di guerra, nel Sinai, a Nord, contro i jihadisti affiliati all’Isis, all’interno del resto del territorio contro i Fratelli Musulmani e una galassia di gruppi radicali, a Ovest in Libia, dove sostiene in Cirenaica il generale Khalifa Haftar e il governo di Tobruk. Per la verità questo Paese strategico, all’incrocio tra Nordafrica e Medio Oriente, è impegnato anche su un quarto fronte: con più di 80 milioni di abitanti è il terzo Paese più popoloso dell’Africa, dopo Nigeria ed Etiopia, ed è anche la terza potenza economica araba per il Pil totale, dietro Arabia Saudita ed Emirati, ma la sua economia è sempre più in sofferenza, con elevati tassi di disoccupazione, una demografia esplosiva e una povertà dilagante.
L’instabilità cronica, imboccata dopo la caduta di Mubarak nel 2011 e il colpo di stato del 2013 del generale Abdel Fattah Al Sisi che ha fatto fuori i Fratelli Musulmani, ha messo in ginocchio anche il turismo, che è non solo una delle entrate più importanti ma pure un ammortizzatore sociale fondamentale, insieme all’emigrazione, per assorbire masse di disoccupati.
Il generale Al Sisi, diventato presidente, si è presentato come un paladino della lotta al terrorismo così da giustificare la repressione interna e le sue ambizioni regionali sulla Cirenaica. Per la verità, dopo le iniziali esitazioni, gli è stato dato un certo credito e l’Occidente, come era avvenuto in passato anche nei riguardi di Saddam Hussein o di Gheddafi, ha tollerato il suo regime repressivo pur che costituisse una barriera all’estremismo islamico. Ma i risultati non sono brillanti come ci si aspettava. La sua ostinazione a eliminare la Fratellanza musulmana ha avuto come effetto non quello di smorzare il radicalismo ma di lasciare spazio a movimenti ancora più estremisti come quelli legati allo Stato Islamico. È avvenuto quanto era già accaduto in Algeria negli anni ’90 quando il Fis, Fronte islamico di salvezza, vinse il primo turno elettorale e fu poi estromesso da un golpe dei generali: gli islamisti, cancellati dalla scena politica, si convertirono alla lotta armata e si aprì allora una mattanza durata un decennio con oltre 150mila morti. Il regime algerino riuscì a sradicare il terrorismo ma aveva risorse come gas e petrolio che l’Egitto non ha nella stessa misura, una popolazione inferiore di due terzi e un apparato repressivo oliato da anni di guerra anti-coloniale.
Il generale Al Sisi da presidente si è assiso su un trono di spade ma se vuole davvero salvare l’Egitto deve usare anche lo scettro della politica perché l’ossessione di volere cancellare i Fratelli Musulmani può essergli fatale e comunque viene già pagata a caro prezzo dall’economia del Paese.