Luca Cifoni, Il Messaggero 2/7/2015, 2 luglio 2015
IL DEFAULT O UN NUOVO PIANO: LE DUE STRADE DOPO LE URNE
Un accordo che permetta alla Grecia di archiviare le proprie preoccupazioni finanziarie immediate e provare a riprendere la via della crescita, con il sostegno della comunità internazionale. Oppure una rottura definitiva, che porterebbe Atene al default e con tutta probabilità ad un’uscita di fatto dall’euro. In mezzo a questi due scenari, il più roseo e quello che invece nessuno pare augurarsi, ci sono una serie di possibilità intermedie, legate a variabili che non sono solo economiche ma anche e forse soprattutto politiche. A tre giorni dal giorno del referendum, non sono però chiare nemmeno le posizioni di partenza. L’ultima richiesta della Grecia rinvia ad un terzo programma di salvataggio, che si svilupperebbe attraverso il braccio operativo dell’Esm - il Fondo di stabilità europeo che fino ad oggi non è ancora entrato in campo - per un importo di 29,1 miliardi di euro. Risorse a cui Atene potrebbe attingere per far fronte ai consistenti pagamenti in programma nei prossimi mesi. Contemporaneamente si dovrebbe impegnare ad implementare il programma di riforme, seppur eventualmente rivisto in base alle correzioni indicate dal premier Tsipras.
ACQUE INESPLORATE
La sospensione delle trattative ha però reso questa ipotesi un po’ più complicata: in caso di vittoria dei no dovrebbero essere i creditori ad accettare la proposta greca, sulla spinta del voto popolare, fatto però che appare tutt’altro che scontato. Nel caso in cui invece prevalessero i sì, allorà è possibile che la trattativa, eventualmente con un altro interlocutore a rappresentare il governo di Atene, riparta dai giorni precedenti alla convocazione della consultazione popolare. Potrebbe concretizzarsi comunque uno scenario di intesa, magari con condizioni un po’ più vincolanti per la Grecia, che sarebbe comunque in condizione di gestire l’emergenza finanziaria. È chiaro però che il governo, vecchio o nuovo che sia, dovrebbe anche dimostrare di essere in grado di rimettere in moto l’economia, in modo da evitare un nuovo avvitamento della situazione tra qualche mese. E dovranno quindi essere definite anche nuove modalità di verifica, rispetto al sistema basato sulle missioni della troika.
Se invece l’accordo alla fine non dovesse essere trovato, verosimilmente in conseguenza di una vittoria dei no al referendum, allora si entrerebbe in quelle acque inesplorate di cui ha parlato più volte il presidente della Bce Mario Draghi. E il primo evento dalle conseguenze potenzialmente devastanti riguarda proprio la banca centrale: il 20 luglio scadono 3,5 miliardi di obbligazioni elleniche detenute da Francoforte. Non onorare questo impegno avrebbe conseguenze più gravi del mancato pagamento al Fondo monetario, che del resto si materializzerà in quanto tale solo a fine mese. Con tutta probabilità infatti le banche greche non avrebbero più accesso alla liquidità del programma Ela e quindi di fatto non potrebbero più contare su una banca centrale: qualcosa che somiglia molto all’anticamera dell’uscita dalla moneta unica. Contemporaneamente il governo di Atene si orienterebbe con tutta probabilità a non rispettare nemmeno altre scadenze di pagamento. L’unico margine di negoziato a quel punto riguarderebbe la possibilità di pilotare in una certa misura il default, piuttosto che lasciarlo svolgere in modo del tutto incontrollato.
I TRATTATI EUROPEI
Ma è possibile che una Grecia in default possa comunque restare all’interno della moneta unica? Su questo punto c’è una divaricazione tra l’aspetto strettamente giuridico della vicenda e quello più concreto e fattuale. In base ai Trattati europei non è prevista la possibilità di uscire semplicemente dall’area euro: bisognerebbe abbandonare del tutto l’Unione europea, scelta che un Paese sulla carta deve adottare di propria volontà. Quindi formalmente Atene potrebbe rimanere nell’euro. Allo stesso tempo però il governo si troverebbe con tutta probabilità a non disporre di liquidità in questa valuta, essendosi precluso le fonti di finanziamento. A quel punto sarebbe inevitabile usare altri mezzi di pagamento, che si chiamino dracma o abbiano denominazioni più fantasiose. Inizierebbe così un regime di doppia circolazione, con la nuova moneta nazionale ovviamente molto svalutata rispetto a quella europea. E il finale della tragedia sarebbe tutto da inventare.
Luca Cifoni