Riccardo Ruggeri, ItaliaOggi 3/7/2015, 3 luglio 2015
Sono grato a Piero Vietti di avermi sdoganato, un privilegio esserlo da un grande giornalista come lui (Il Foglio), per di più grande tifoso del Toro
Sono grato a Piero Vietti di avermi sdoganato, un privilegio esserlo da un grande giornalista come lui (Il Foglio), per di più grande tifoso del Toro. In occasione dell’apertura del calciomercato volevo scriverci un pezzo, ma non osavo, nel mondo giornalistico mi sento ancora un parvenu, cerco di muovermi con cautela. L’ha fatto lui, è stato magistrale, raccontando ciò che può avvenire in questi meravigliosi due mesi. Chi non è tifoso, non può capire che il calcio mercato è un ritorno all’infanzia, a sentimenti puri, forti, divisivi. Altro che la politica, l’economia, piene di losche sfumature. Per due mesi, noi siamo immersi nella luce, loro continuano a esserlo nella penombra. Grazie Piero, ora posso scriverci anch’io. Noi piemontesi abbiamo un’esperienza secolare di trattative, abbiamo nel DNA i geni del mercato del bue grasso di Carrù. Gli oggetti del contendere hanno molti punti in comune, fra un fuoriclasse del calcio e un bue grasso con gualdrappa ricamata, onestamente non vedo alcuna differenza, se non il prezzo: eccessivo per il calciatore, ridicolo per il bue grasso. I primi documenti risalgono al 1473, anche se solo nel 1635 il Duca Vittorio Amedeo I fissò il 4 novembre (San Carlo) come data di inizio della fiera, che si concludeva il secondo giovedì prima di Natale (50 giorni di trattative). La assegnò d’imperio a Carrù, piccolo borgo vicino a Mondovì, detto “la porta della Langa”. I suoi abitanti sostengono una curiosa teoria, che il loro sia il miglior paese del mondo, ma confessano di non sapere spiegare perché. Noi non abbiamo fretta, attendiamo. Il vero calciomercato dura circa 50 giorni, ed è solo quello estivo (quello invernale è una volgarità di individui dal sesso non risolto), ed è il momento più bello dell’anno. E’ vita vera, so perfettamente, come dice Piero, che su 10 giocatori accostati al Toro solo uno è vero, tre-quattro verosimili, gli altri inventati di sana pianta. Quando lavoravo a Londra, o viaggiavo per il mondo, i miei figli, fedeli pusher di notizie sul Toro, mi rifornivano di sussurri, gridolini, grida del calciomercato. Quando ero a New York un loro amico (Massimo) mi aggiornava in diretta. Ricordo ancora, non so se nell’’89 o ’90, ero appena atterrato a Tokio mi informarono che avevamo preso dalla Juve (sic!) Pasquale Bruno (detto O’ Animale) uno dei più grandi difensori di tutti tempi (consuntivò un centinaio di cartellini gialli, 50 giornate di squalifica, tutte ingiuste, per colpa di arbitri venduti). Si diceva: al Toro troverà il suo habitat, sarà il gladiatore a lungo atteso. Fu così, scoppiò un grande amore, la sua cattiveria divenne la nostra, la sua fame di vittorie pure. A volte, verso sera i miei collaboratori pensavano che, chino sul tavolo di lavoro, disegnassi chissà quali sofisticate strategie aziendali, in realtà ipotizzavo nuove formazioni del Toro di settembre. Prendete il negoziato Grecia-Europa, mettetegli a fianco la trattativa Cairo-De Laurentis per Matteo Darmian, impossibile non riconoscere che sono simili. Ammetto che quando parlo di Urbano Cairo ho una sudditanza psicologica verso di lui, non se ne abbiano a male Mattarella, Renzi, Grasso, Boldrini, nulla di personale, ma l’unico Presidente che riconosco è lui. Solo lui può trattare con un mastino napoletano come De Laurentis, uno dei più grandi produttori cinematografici del mondo, esperto di trattative squallide: attori e calciatori hanno lo stesso discutibile approccio alla vita. Se identificate Darmian con l’euro (lo so è offensivo, il paragone corretto sarebbe con il franco svizzero), Cairo con Merkel, De Laurentis con Tsipras, Giuntoli con Varoufakis, Petrachi con Junker, ve ne rendete subito conto. De Laurentis è in cul de sac, deve comprare Darmian, ha scelto un allenatore il cui gioco necessita di un cursore sulle fasce, Matteo è il meglio. Così Tsipras, sa che i greci voteranno “sì” al referendum e lui corre il rischio di scomparire, quindi deve fingere di cedere, poi irrigidirsi, fino a lasciare il cerino acceso a Junker, quindi al popolo greco, e salvare almeno la faccia. Invece, Cairo può anche non vendere, e noi tifosi saremo comunque con lui, come il popolo tedesco sarà comunque con Merkel. Il calcio è molto più importante della politica e dell’economia, miserabili attività umane, gestite da squallidi e bolsi personaggi, il calcio è la vita, è un colore, una maglia, una fede, una religione. Non per nulla l’unico che capisce noi del Toro, e noi capiamo lui, è Francesco.