Franco Bechis, Libero 1/7/2015, 1 luglio 2015
L’UNICA SOLUZIONE: CACCIARLI VIA DALL’EURO E POI DELOCALIZZARE
C’è una domanda che probabilmente molti italiani si stanno facendo in queste ore sul possibile default della Grecia: ma noi, i nostri soldi pagati in questi anni per quella crisi, li riavremo mai indietro?
E se le trattative dovessero alla fine arrivare a un compromesso, quanti altri soldi dovremmo buttare in quel pentolone, e con quale speranza di riaverli indietro un giorno? Perché poi che la Grecia faccia o meno la riforma delle pensioni che le chiedono, o che metta o non metta una aliquotona Iva su alcune merci, importa assai relativamente ai contribuenti italiani. Un po’ di insegnamento al massimo lo potrebbe dare la storia vissuta in questi anni. Anche in Italia l’Unione europea entrò a piedi uniti nel piatto in quella drammatica estate del 2011. Misero fine ai diritti democratici di un popolo sia pure grazie alla testa di ponte di Giorgio Napolitano, imposero con la celebre lettera Ue-Bce quelli che graziosamente chiamarono i compiti da fare a casa, dalla deliziosa riforma Fornero sulle pensioni, all’Imu, al rialzo dell’Iva, a una pioggia di tasse. Insomma, l’esperienza greca di queste ore l’Italia l’ha già vissuta. Dicevano che obbedendo a quelle regole saremmo cresciuti, che diventando virtuosi avremmo diminuito i problemi, ripagato più facilmente i debiti che avevamo, e saremmo ripartiti. Conosciamo bene come è andata, a quattro anni di distanza. Grazie alla cura il malato di allora oggi è moribondo. L’Italia non è cresciuta, ma si è impoverita. La pressione fiscale si è fatta intollerabile, e dopo avercela imposta nei giudizi periodici sullo stato dell’economia gli stessi aguzzini ti rimproverano pure perchè le tasse italiane oggi sono «intollerabili». Non solo non abbiamo ripagato i debiti che avevamo, ma ne abbiamo fatti un paio di centinaia di miliardi di più, facendo crescere di quasi dieci punti rispetto ad allora il rapporto fra debito pubblico e Pil. Allora se c’è un Paese che sa benissimo cosa viene chiesto oggi con un ultimatum alla Grecia per continuare a restare nell’euro e ottenere quelle dilazioni nei pagamenti e i nuovi finanziamenti che vengono chiesti, questo è senza dubbio l’Italia. Un Paese certo molto più grande di quello oggi guidato da Alexis Tsipras, e anche molto più solido dal punto di vista finanziario e patrimoniale. Ma che sa bene come l’offerta in parole povere continua ad essere la stessa: un prestito per acquistare la corda a cui lentamente impiccarti.
Il cuore della trattativa fra Ue, Bec e Grecia è proprio quello: nonostante la ricetta imposta alla Grecia fino ad oggi non abbia dato alcun frutto, e anzi abbia anche impedito di riavere indietro i soldi prestati, si insiste su una formula che continuerà a fare dissanguare i contribuenti italiani come quelli di tutto il vecchio Continente per il solo piacere di vedere la Grecia in ginocchio. Può anche essere vero che Atene ne abbia combinate così tante negli ultimi lustri da meritarsi questa perfida vendetta degli altri Paesi europei. Così quella immutabile classe dirigente dell’area dell’euro, di cui è simbolo Angela Merkel, vuole farla pagare al popolo greco e di conseguenza anche ai popoli di tutta Europa per punire una classe dirigente greca sicuramente inetta.
Così però ritorna la domanda iniziale: riavranno indietro i soldi prestati alla Grecia i contribuenti italiani? E la risposta è evidente: no. E se passa il sì al referendum, o comunque si evita la consultazione raggiungendo un accordo con Tsipras nelle prossime ore, la prospettiva è non solo quella di perdere i 60 miliardi già prestati, ma di sborsarne altre decine a fondo perduto. Perchè si tiene in piedi un circolo vizioso: con i sacrifici imposti la Grecia continuerà a diventare più povera. Arginerà un po’ grazie ai nuovi soldi inviati dalla Ue e dalla Bce, poi arriverà il momento di restituirli e chi sarà al governo guarderà la sua gente che non riesce a mangiare. E non li restituirà. Su questa strada la Grecia diventerà un Paese eternamente assistito dal resto di Europa, e ogni volta farà finta di accettare le lezioni di virtù per spillare nuovi soldi.
Riavremo indietro i finanziamenti fatti se invece al referendum i greci respingeranno le proposte europee, e torneranno alla dracma? Difficile anche in questo caso, che almeno avrebbe il vantaggio di porre fine all’emorragia. Certo la Grecia con la dracma rischia tanto, e dovrebbe passare mesi difficilissimi, con tensioni sociali prevedibili. Per loro il principale problema sara fare smettere di fluttuare la nuova moneta, che ha pochi ancoraggi possibili. Non c’è una ossatura industriale degna di questo nome, esistono pochissime grandi imprese. Non sono nemmeno molte, e tanto meno pregiate le merci destinate all’export in grado di sfruttare i vantaggi di questa maxi svalutazione, diventando competitive sul mercato europeo. Forse la soluzione è proprio lì: per riavere indietro quei soldi bisognerebbe aiutare la Grecia a rendere più solida quella ossatura. Provare a investire in quel Paese, più che a finanziarlo, per fare crescere un sistema industriale sulle macerie della loro attuale economia. Aiutarli a sfruttare nel medio termine i vantaggi di quell’uscita dall’euro, in modo da farli crescere davvero e creare le condizioni per riavere un giorno indietro quei soldi. Una sorta di piano Marshall adattato alla situazione, da mettere in campo rapidamente prima che siano i russi a pensarci. È la sola possibilità di riavere indietro i nostri soldi senza buttarne all’infinito a fondo perduto in quel calderone...