Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  luglio 01 Mercoledì calendario

VIOLENZA SESSUALE NEL GUGLIELMO TELL. SI SCATENA L’INFERNO

Lo stupro, no. No, però, anche allo stupro rappresentato, come se ci fossero cose che non solo non si devono fare né far vedere. Mentre esplode la polemica sulle troppe scene di violenza nelle fiction tivù, l’argomento scatena una tempesta dove meno te l’aspetti: all’opera.
È successo lunedì al Covent Garden di Londra, all’attesissima primona del Guillaume Tell di Rossini, messo in scena dal presunto Pierino della regia d’opera, Damiano Michieletto, davanti alla stampa internazionale e praticamente davanti al mondo: domenica lo spettacolo andrà in diretta in più di 1.500 cinema di 50 Paesi. Ovviamente, per Michieletto il rapporto fra oppressi e oppressori non è quello medievale fra svizzeri e austriaci fra le montagne di Heidi, ma una contemporanea atroce guerra civile, diciamo i Balcani di non troppi anni fa.
Al terz’atto, quando i soldati forzano le ragazze a ballare alla loro festa (dove poi Tell si rifiuterà di togliersi il cappello davanti al crudele governatore, quindi vendetta e mela da infilzare sulla testa del pargolo), il «pas des soldats» della partitura non è il solito innocuo balletto, ma una tremenda scena di violenza su una povera disgraziata, realizzata con un’efficacia scenica cinematografica, puro virtuosismo teatrale, il che dimostra che sulle idee del Michieletto si può discutere, sulla sua bravura nel realizzarle no.
Qui però si è scatenato l’inferno. Una parte del pubblico magari minoritaria ma certamente dotata di ottimi polmoni si è messa a «buare» con tutta le riserve di fiato disponibili. Una vera gazzarra, insomma, che all’italiano in trasferta ha ricordato, fischi a parte perché qui significano approvazione, le peggiori serate della Scala.
Il giorno dopo, Kasper Holten, che dirige la Royal Opera House, ha fatto uscire un comunicato per dire che «la produzione voleva proprio che quelle scene mettessero a disagio» e per scusarsi con chi le ha trovate «sconvolgenti». In più, il sito del teatro ha lanciato il dibattito: «Che cosa pensate della produzione di Damiano Michieletto dell’opera finale di Rossini?».
Peccato, però. Come dimostra anche questo articolo, di questo Tell si parlerà solo per i buuu! e non perché era un bellissimo spettacolo, difficile (racconta la vicenda dal punto di vista del figlio dell’eroe), un po’ criptico ma sempre ben condotto, coerente, emozionante e servito da scene (Paolo Fantin), costumi (Carla Teti) e luci (Alessandro Carletti) di alto livello.
Dirigeva Antonio Pappano con la stessa compagnia, gli stessi tempi, gli stessi tagli e lo stesso eccellente risultato dei due concerti a Santa Cecilia poi consegnati al disco. Però, diciamolo, l’orchestra romana è nettamente superiore a quella del Covent Garden, che si è esibita in qualche stecca clamorosa. Forse era meglio «buare» loro.
Alberto Mattioli, La Stampa mercoledì 1 luglio 2015