Angelo Picariello, Avvenire 1/7/2015, 1 luglio 2015
IL RITRATTO IN UN LIBRO DI CEROCCHI
Chi, incuriosito dal parsimonioso uso della comunicazione del Mattarella style, si chiedesse se sia dovuto a sottovalutazione o – viceversa – a profonda consapevolezza della sua importanza, può sciogliere il nodo in favore della seconda opzione attingendo al volumetto Il presidente, scritto da Pio Cerocchi (edizioni Eir, euro 10, 110 pagg.). Utile ad approfondire soprattutto una fase poco conosciuta nella biografia dell’inquilino del Quirinale: il suo impegno nel giornalismo politico, con Cerocchi nel ruolo di testimone privilegiato. Stamattina il libro sarà presentato alla libreria Arion di Montecitorio dall’ex segretario del Pd Pier Luigi Bersani, dalla giornalista Chiara Geloni e dal capo delegazione Pd a Strasburgo, David Sassoli. Formatosi ad Avvenire, passato al giornalismo politico, Cerocchi ha incrociato l’attuale capo dello Stato prima a La Discussione
e poi a Il Popolo, rispettivamente settimanale e quotidiano della gloriosa Dc. Gli anni de Il Popolo (1992-1994) in particolare coincisero con la tempesta di Mani pulite e la fine della prima Repubblica. «In quei frangenti drammatici – ricorda Cerocchi – ebbi modo di apprezzarne il coraggio, la coerenza e, soprattutto, il suo garbo anche nelle polemiche più forti. Uno stile diverso, in un partito che stava correndo verso la sua dissoluzione senza accorgersi che il mondo era cambiato». Mattarella «non volle giocare a fare il giornalista », ma «avviò e condivise il profondo rinnovamento del giornale che seppe trasformare in opportunità mediatica le profonde difficoltà finanziarie e lo stato di crisi». Il cambio di direzione politica - con Mattarella al posto di Sandro Fontana, noto ai lettori come Bertoldo - era stato accolto con scetticismo, ma alla fine, quando la sconfitta della sinistra al congresso determinò le sue dimissioni, «quella stessa redazione che prima si era manifestata scettica, se non ostile, era cambiata e lo salutò con amicizia e commozione». Il Mattarella giornalista aveva superato l’esame.
Nel libro viene anche ripercorso il suo cammino politico lungo gli anni ’80, dall’assassinio del fratello Piersanti alla segreteria di De Mita. Ma è interessante soprattutto rileggere negli scritti sul Popolo l’ardore con cui difese il ruolo della politica, finito anch’esso sotto inchiesta in quegli anni. Quando l’arresto di Enzo Carra si consumò con quell’esibizione delle manette che tanto fece discutere, intervenne con forza: «La sete di condanna – scrisse – è cosa ben diversa dalla sete di giustizia. Lo spettacolo da Colosseo e la gogna sono scomparsi da secoli ». E ancora: «Tangentopoli non può essere un alibi, si riveda la legge sul finanziamento pubblico e non ci si sottragga da altri decisivi doveri della politica: condurre in porto le riforme a cominciare da quelle elettorali, lavorare per il risanamento economico e impegnarsi per la salvaguardia dell’occupazione». Era il 1994, sembra ieri. Per certi versi, anzi, sembra oggi.