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 2015  giugno 30 Martedì calendario

E DUE! VERONICA DE ROMANIS, CONSIGLIERA DI RENZI, RIBOCCIA LA RIFORMA MADIA DELLA P.A. E SI CANDIDA A PRENDERNE IL POSTO

E due! Dopo avere giudicato insufficiente la riforma della pubblica amministrazione durante l’ultima puntata di Ballarò, Veronica De Romanis, consigliera del premier Matteo Renzi per l’economia, ha preso carta e penna e rincarato la dose, sottolineando sul sito firstonline.info altri punti deboli della presunta riforma firmata da Marianna Madia. Poiché è quanto meno singolare che una consigliera del premier critichi in modo così esplicito e reiterato un atto del governo senza un’adeguata copertura politica, viene da pensare che gatta ci covi. E non stupirebbe che, al primo rimpasto, la poltrona di ministro per la Pubblica amministrazione possa passare dalla Madia alla De Romanis, vale a dire da chi si è distinta finora per straordinaria inesperienza e incisività zero, a un’altra donna che, al titolo di economista, mostra di unire non solo una bella presenza, ma anche chiarezza di idee e di intenti, qualità indispensabili per «cambiare verso» alla burocrazia statale, da sempre una palla al piede dell’economia nazionale.
Già a Ballarò De Romanis aveva segnalato che la riforma della pubblica amministrazione by Madia ha il non piccolo difetto di essere completamente scollegata dalla spending review, un fatto unico al mondo. I paesi che hanno portato a termine con successo la riforma della burocrazia statale, l’hanno fatta in stretto collegamento con la spending review, affidando entrambi i compiti a un ministro politico, senza delegare a un commissario tecnico i risparmi di spesa. Sia in Spagna che in Inghilterra, dove la riforma della burocrazia ha migliorato la competitività del paese, la politica ha spiegato agli elettori che cosa deve fare lo Stato e con quali risorse. Mentre della riforma Madia, sostiene De Romanis, sono tuttora sconosciuti gli obiettivi sia quantitativi che qualitativi. Una bocciatura senza appello, che all’inizio poteva sembrare un errore di comunicazione fatto in buona fede, quasi un autogoal del governo Renzi.
Ma ora c’è anche la prova scritta. Oltre che dalla spending review, sostiene De Romanis su firstonline.info, la riforma Madia è scollegata anche dal Jobs Act, e questo non giova né alla ripresa economica, né all’occupazione: «Tra emendamenti, passaggi parlamentari e dubbi espressi dalla Corte dei conti, la riforma della pubblica amministrazione procede a rilento. Eppure, senza una definizione chiara del perimetro di azione dello Stato e delle risorse a disposizione – obiettivi che ad oggi mancano – è difficile che le altre riforme possano esplicare fino in fondo i propri effetti. A cominciare dall’occupazione».
Per dimostrare quanto la riforma Madia sia scollegata dal Jobs Act, la De Romanis cita l’esempio dell’Agenzia nazionale per le politiche attive, strumento voluto dal governo per facilitare la ricerca del lavoro. «Il buon funzionamento di questo ente», osserva la consigliera di Renzi, «è legato all’ammontare delle risorse investite, dalla divisione dei compiti tra pubblico e privato, e dalla competenza del personale. Il decreto, approvato per ora solo in prima lettura, prevede un organico di circa 400 addetti. In futuro dovrebbero confluire i dipendenti dei centri per l’impiego delle Regioni (circa 6 mila) e delle Province (8mila dei 20 mila da ricollocare)».
Qualcuno ha mai sentito la Madia fare ragionamenti simili? Maneggiare temi specifici come quelli dell’intreccio tra settore pubblico e privato dopo il Jobs Act, con questa proprietà di linguaggio e chiarezza di idee? La risposta è ovvia: no, altrimenti non sarebbe giudicata in modo unanime la ministra più insufficiente del governo Renzi. Nel suo scritto, la De Romanis va giù dritta come un fuso: «È lecito domandarsi se le risorse messe in campo siano adeguate, sia in termini quantitativi che qualitativi, anche alla luce del flop del programma ’Garanzia giovani’ (1,5 miliardi di finanziamenti dall’Europa), che fino a oggi ha permesso di trovare uno stage o un training a solo l’8 per cento dei circa 450 mila ragazzi registrati. In Germania, ad esempio, l’Agenzia federale del lavoro impiega (con un certo successo, visto che la disoccupazione è al 7 per cento) oltre 120 mila operatori e dieci volte le risorse dell’Italia».
De Romanis ha vissuto a lungo in Germania (è moglie del banchiere Lorenzo Bini Smaghi, ex consigliere Bce), ha scritto due libri su Angela Merkel, e, quando parla della burocrazia tedesca, lo fa a ragion veduta. E il divario che segnala è pazzesco: da noi 14.400 addetti agli uffici deputati a trovare un impiego ai disoccupati, giovani e no, contro i 120 mila della Germania, dove dispongono di risorse dieci volte maggiori. Come si fa a chiamare riforma una cosa del genere? Spiega la De Romanis che in Germania «ciò è stato possibile grazie alla ridefinizione dei compiti del settore pubblico e della revisione della spesa, che ha consentito risparmi per oltre 4 punti percentuali del quinquennio 2002-2007, liberando risorse da destinare alle politiche attive». Conclusione: «Il lavoro non si fa per decreto, ma sicuramente una riforma della pa che definisca in modo chiaro chi fa che cosa e con quali risorse, è essenziale per creare le condizioni per fare funzionare il Jobs Act». Uno svegliarino anche per il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti?
Tino Oldani, ItaliaOggi 30/6/2015