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 2015  giugno 29 Lunedì calendario

QUEI 700 ITALIANI ADOTTATI PRONTI A TUTTO PER CONOSCERE LA MAMMA

Aumentano di anno in anno. E vogliono sapere a ogni costo, pronti ad affrontare emozioni fortissime pur di riempire i buchi neri di una vita. Sono gli adulti adottati che chiedono di conoscere le loro origini e desiderano risalire all’identità dei veri genitori. La maggior parte di loro si porta dietro una curiosità e un dolore derivanti da un vuoto che nemmeno l’adozione più riuscita può colmare: la necessità di riconoscersi nelle proprie radici biologiche e genetiche. Sarà per questo che i giudici dei tribunali per i minori chiamano la ricerca delle origini «chiusura del cerchio mobile», cioè di un percorso, l’adozione, che non finisce mai.
Nonostante le norme italiane siano improntate alla tutela della riservatezza, la legge del 2001 consente all’adottato che abbia compiuto i 25 anni di età e che sia stato riconosciuto alla nascita di accedere alle informazioni che riguardano quel passato che non conosce. Unica eccezione: se ci sono «gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica» l’età minima richiesta si riduce a 18 anni.
«Fino alla modifica della legge erano ancora molti i genitori che non informavano i figli adottivi di non essere i loro veri figli, per salvaguardarne la serenità - spiega Mario Zevola, presidente del tribunale dei minori di Milano -. Ora invece sono tenuti a farlo. Per questo il legislatore non sbaglia quando chiede che ad adottare siano coppie coniugate con almeno tre anni di matrimonio o convivenza dimostrata: devono fornire una certezza di stabilità e affidabilità. E non devono operare una censura sulla vita precedente del bambino, lanciandolo nella sua nuova vita come se non avesse un passato. Tra i requisiti che deve dimostrare di possedere la coppia che adotta, infatti, c’è anche la capacità di raccontare al bambino la sua storia e creare continuità tra l’esistenza passata e quella successiva all’adozione che va vissuta con naturalezza, salvaguardando il più possibile la figura della madre naturale».
Una volta chi adottava andava a scegliersi i bambini negli istituti, come bestioline in un canile. Ma l’adozione è la cosa più lontana che esista da esperimenti o improvvisazioni: il rischio di difficoltà evolutive nel bambino o nel ragazzo non è raro e bisogna sempre essere preparati anche a delusioni cocenti qualora il figlio non corrisponda per niente o solo parzialmente alle aspettative dei genitori. Il momento in cui chiede da dove viene veramente, cosa ha spinto la sua vera madre ad abbandonarlo e perché, prima o poi arriva. Può anche costituire un passaggio indolore, è vero. In caso contrario, però, il genitore adottivo deve dimostrare di essere una persona al di sopra della media per quel che riguarda la sua ricchezza interiore.
Il fenomeno della ricerca delle origini ha un suo peso nel nostro Paese. Dinnanzi a circa 6.000 coppie candidate ogni anno in Italia all’adozione e suddivise in 29 tribunali dei minori su tutto il territorio nazionale (solo a Milano sono circa 800 e i bambini «disponibili» sfiorano il centinaio, ndr) esistono oltre 700 figli adottivi, tra i 25 e i 70 anni, che chiedono di conoscere la madre biologica. Due quinti di queste donne, però, al momento di dare in adozione il figlio, hanno chiesto di non essere nominate e, quindi, non vogliono farsi trovare. E, in quel caso, non si può forzare la mano, la legge lo proibisce. È vero infatti che la Corte costituzionale, nel 2013, per bilanciare i diritti di madri e figli, ha modificato le procedure per ricontattare la madre naturale che, fino ad allora, se all’atto di nascita aveva richiesto l’anonimato, era inaccessibile a eventuali richieste dei figli e, da due anni a questa parte, invece, qualora la donna nel frattempo abbia cambiato idea, può decidere diversamente. Tuttavia non c’è stata ancora una legge applicativa in questa direzione.
«Chi cerca la propria madre di nascita è spesso molto arrabbiato e aspetta di trovarsi faccia a faccia con lei per dirgliene quattro - aggiunge il giudice onorario in pensione del Tribunale per i minori Augusto Bonato -. Molte ragazze, donne, adottate, quando stanno per divenire a loro volta madri, desiderano incontrare la mamma biologica e capire la ragione che a suo tempo l’aveva spinta ad allontanare la figlia da sé. A quel punto - se la donna all’atto di nascita aveva dato il consenso a rilasciare le proprie generalità, qualora in futuro il figlio dato in adozione avesse voluto sapere chi era la donna che lo aveva messo al mondo - noi del Tribunale dei minori, incontriamo queste figlie un tempo abbandonate e le esortiamo ad avvicinare la genitrice naturale solo dopo aver rielaborato il dolore accumulato negli anni. A quel punto devono essere loro stesse, le figlie, a rassicurare la madre naturale a non avere rimorsi per quell’abbandono di tanti anni fa: rinunciare a un figlio è una scelta durissima e chi lo fa ha avuto sicuramente una ragione molto importante. È capitato che alcune di queste ragazze si siano presentate da noi accompagnate dai genitori adottivi, scoprendo, dalla lettura dei nostri fascicoli, storie di madri naturali disadattate, che suscitano tenerezza. E decidendo a quel punto di fermarsi lì, di non arrivare a un confronto diretto. La vicinanza dei genitori adottivi è spesso fondamentale in questo percorso: bisogna avere accanto qualcuno di cui ci si fida ciecamente, di cui si accettano i consigli, che freni l’impulsività di chi cerca le proprie origini». Altro giudice onorario del Tribunale dei minori di Milano, Milena Dalcerri spiega come sul suo tavolo affluiscano anche storie di persone che, in realtà, non sono state adottate e sono figli naturali dei genitori con cui hanno sempre vissuto. «L’atteggiamento della madre e del padre, magari un po’ indifferente, li ha insospettiti sulle loro origini al punto da farli dubitare di essere figli adottivi» racconta Dalcerri. Oppure ci sono vicende all’incontrario. «Un ragazzo è stato rintracciato improvvisamente e senza preavviso dalla madre biologica quando aveva 19 anni, scontrandosi con l’invadenza della donna. Lui aveva bisogno di tempi più lunghi per riavvicinarsi a lei e comprendere la storia che l’aveva indotta a separarsi dal bambino che era stato. Così è andato in crisi, è stato destabilizzato, al punto da dover entrare in analisi».
«È per questa ragione che la nuova famiglia deve ricostruire la storia d’origine del bambino che adotta e poi spiegargliela offrendo delle ragioni, dei significati, a ogni passaggio. Chi, soprattutto in passato, ha scoperto da solo di essere stato adottato, ha avuto crisi d’identità devastanti nell’adolescenza. E il desiderio di ritrovare le proprie origini ha poi assunto, con il passare degli anni, una sorta di rottura con il patto di fedeltà della famiglia che li ha accolti. Cioè proprio quello che non deve accadere». Il lavoro più importante svolto dai giudici del Tribunale dei minori, però, consiste soprattutto nel mettere in evidenza gli aspetti che spiegano perché la vera madre, i genitori biologici, sono stati incapaci di occuparsi di un figlio che per questo hanno preferito allontanare. «È accaduto che una madre non avesse più voluto il proprio bambino e l’avesse abbandonato in un istituto dove però il padre, quando ne aveva la possibilità, mandava del denaro e s’informava della sua salute. È fondamentale, importantissimo, far capire che qualcuno ti ha voluto».