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 2015  giugno 29 Lunedì calendario

E L’AMERICA SOGNÒ LA MAGNANI

Il 2 aprile del 1953 Anna Magnani sale sull’Andrea Doria a Genova. È diretta a New York, dove sbarcherà dopo nove giorni di tormenti perché ogni volta che lascia Roma soffre come un cane. Non è mai stata in America e non sa cosa l’aspetta. Per ora il Nuovo Mondo non la attrae anzi le ripugna, come gli aerei e tutto ciò che è moderno. Appena arrivata in albergo infatti, si attacca al telefono e implora di raggiungerla l’amico Indro Montanelli, allora inviato del Corriere della Sera: «Non me lascià co’ ’st’ascensori che se chiudono da soli»...
In questo piccolo episodio, riportato da Matilde Hochkofler nella sua eccellente biografia della grande attrice (Bompiani), c’è tutta la personalità della Magnani, quel temperamento unico che incendia gli schermi e tre anni dopo le farà vincere anche un Oscar, il primo mai attribuito a un’attrice italiana, con La rosa tatuata. Ma per ora il simbolo del Neorealismo è lì per promuovere il suo nuovo film, Bellissima di Luchino Visconti. Senza rendersi conto che in America la aspettano come un oracolo.
Nella capitale mondiale del cinema Roma città aperta infatti è esploso con forza perfino maggiore che in patria. Il miracolo di Rossellini in cui fa la matta ingravidata da un vagabondo preso per San Giuseppe (Federico Fellini), ha aggiunto una nota di scandalo alla sua gloria. E la rivalità con la Bergman, venuta a rubarle Rossellini in Italia, non è certo passata inosservata.
Così adesso Bette Davis, che Anna ammira più di ogni altra attrice, la vuole conoscere. Tennessee Williams, il grande drammaturgo di Un tram che si chiama desiderio, la corteggia da anni e la vorrebbe addirittura a Broadway, anche se l’italiana mastica poco l’inglese. Mentre a qualche giorno dal suo arrivo Anna riceve la telefonata di un certo Marlon Brando che la porta al ristorante cinese e poi in gita sul battello.
TIGRE DEL TEVEREMa sarà appunto Bellissima, considerato un film tutto sommato minore in Italia (mentre è uno dei Visconti che ha retto meglio al tempo), a spalancarle definitivamente le porte degli Usa. In un paese in cui tutto è trucco e finzione, Anna, battezzata un po’ grottescamente “la tigre del Tevere”, porta infatti con sé l’autenticità perduta di un altro mondo. Logico che Hollywood cerchi di appropriarsene. Anche se lo farà a modo suo, ingabbiandola nel “tipo” della latina sensuale .
Come rievoca ora il libro assai documentato di una giovane studiosa che mette sotto la lente proprio il suo periodo americano, tradizionalmente poco indagato anche perché malgrado i nomi coinvolti e il premio Oscar i tre film della Magnani negli Usa - La rosa tatuata di Delbert Mann, Selvaggio è il vento di George Cukor, Pelle di serpente di Sidney Lumet - non sono certo capolavori (Barbara Rossi, Anna Magnani, un’attrice dai mille volti tra Roma e Hollywood, Le Mani, 391 pagine, 20 euro, in libreria a metà luglio).
Mentre la Rossi, oltre a una fluviale e spesso godibile aneddotica sui set americani della grande attrice, porta in luce una parte poco nota fatta di lunghi e puntigliosi scambi epistolari con i produttori, in particolare col leggendario Hal Wallis. Da cui emerge una Magnani molto razionale, consapevole della chance che le viene offerta e capacissima di stanare le debolezze dei copioni che le vengono proposti per ribattere a suon di citazioni e rimandi (da Borzage a David Lean e al suo amato Verga, di cui vorrebbe rifare La lupa dopo la deludente trasposizione italiana). Tanto che in un’intervista rilasciata al New York Herald Tribune nel 1957, quando l’esperienza americana si sta ormai avviando a conclusione, svela di pensare addirittura alla regia, cosa che non le era mai balenata nella testa finché stava in Europa e a dirigerla erano Rossellini, Visconti, Zampa o Renoir.
Anche se il condensato forse più efficace di tutta la sua esperienza americana sta in un profetico scambio con l’amico-rivale Marlon Brando sul set di Pelle di serpente. Dice Brando: «Tu sei molto più forte di me. Tu vinci sempre». E lei: «Tu non sai quante volte ho perso io, nella mia vita. Ma ti assicuro che perdere fa bene. Farebbe bene anche a te».