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 2015  giugno 29 Lunedì calendario

TUTTI SEGRETI CHE IL DNA CI HA SVELATO IN 15 ANNI DALL’ATTIVITÀ DEI GENI NEI TESSUTI AI SUCCESSI NELLA LOTTA AI TUMORI IL FUTURO? CURE PERSONALIZZATE

«Avevano detto prima nel 2005, poi nel 2003, e infine nel giugno 2000. E così è stato. Da ieri sappiamo quasi tutto sul nostro genoma, cioè sul nostro patrimonio genetico, quel complesso di istruzioni biologiche necessarie per costruire un essere umano, farlo vivere, convivere e riprodurre. Forse potremmo anche sospendere per qualche ora le considerazioni sulle questioni di politica spicciola e sulla vita dei vari partiti politici. Come esseri umani abbiamo qualcosa da festeggiare, qualcosa che ci dovrebbe rendere giustamente fieri delle nostre capacità tecniche, del nostro ingegno e del nostro coraggio». Con queste parole annunciai sulla prima pagina del Corriere il completamento della decifrazione del genoma umano verso la fine di giugno dell’anno 2000. Sono passati 15 anni e probabilmente anche oggi userei le stesse parole. Con la differenza che oggi possiamo fare un bilancio, almeno parziale.
In primo luogo il fatto in sé: siamo la prima specie vivente — e probabilmente l’unica — che si è ripiegata su se stessa e ha voluto leggere il libro che descrive la propria natura biologica. Tale lettura potrà dire poco o potrà dire tanto, ma quello che dirà è in un certo senso definitivo. E unico. Almeno come punto di partenza noi siamo quello. Dalla data di questo completamento sono successe tante cose, alcune importanti per la nostra conoscenza del fenomeno vita, altre per la nostra salute, altre infine come preparazione a un futuro ancora più allettante. Sul piano conoscitivo questa impresa di 15 anni fa ha sconvolto la nostra visione dell’azione dei geni. È noto che non basta possedere un gene che sia anche sano; occorre che questo si attivi e si disattivi nei tessuti giusti, nel momento giusto e nella quantità giusta. Di ciò si occupa il problema generale della regolazione genica, allo studio della quale lavorano quasi tutti i laboratori del mondo.
Non possiamo nemmeno tentare di riassumere che cosa si è imparato da allora, ma basti accennare al nuovo inusitato ruolo che abbiamo scoperto avere i piccolissimi frammenti di Rna che prendono il nome di microRna. Sempre sul piano conoscitivo siamo stati in grado in questi anni di fare confronti arditi fra il nostro patrimonio genetico e quello delle specie più diverse, vicine o lontanissime, per trovare per esempio che circa 40.000 anni fa qualcuno dei nostri antenati si è biologicamente incrociato con qualche individuo della specie cugina dei cosiddetti Neanderthal.
È abbastanza comprensibile che la gran massa delle persone sia più interessata alle applicazioni pratiche di tutto questo, applicazione che non sono mancate, soprattutto nel campo oncologico. È noto da quasi quaranta anni che i tumori si originano per una mutazione in un certo numero di geni particolari, detti oncogeni e geni oncosoppressori. All’inizio se ne conoscevano 18, poi una trentina, poi un centinaio, ora diverse centinaia. La facilità con la quale si può oggi studiare tutto il Dna delle diverse persone ha permesso di aggiornare questo «inventario» di geni sospetti, allo scopo di prevenire e magari affrontare molti casi clinici di tumori. In alcuni casi particolari la mortalità è scesa dall’80% al 30%, e in altri casi fortunati ancora di più, con una percentuale di successo nella diagnosi che cresce ogni giorno.
Subito dopo le malattie tumorali sono quelle cardiocircolatorie e quelle neurodegenerative ad avere tratto profitto dalla decifrazione del nostro genoma. Si possono considerare infine due tipi di nuove opportunità, apertesi 15 anni fa: la lettura veloce e a buon mercato del genoma di singoli individui, come pure la possibilità di studiare il genoma in azione in singole cellule del corpo, in primissimo luogo quelle del cervello. Con la prima opportunità si è aperta l’era della medicina personalizzata, mentre con la seconda quella dello studio approfondito delle nostre funzioni cerebrali, prima fra tutte la memoria e la sua conservazione, un problema che attende ancora oggi una vera soluzione.
«E l’Italia?» mi chiedevo allora. «In questa grande festa, l’Italia della biologia praticamente non c’è, o almeno occupa un posto piccolo piccolo. Non ci mancano certamente i cervelli, né la voglia di rimboccarsi le maniche, né un certo coraggio imprenditoriale. Perché non mettere tutto questo al servizio della ricerca biologica anche nel nostro Paese? Siamo ancora in tempo». Anche oggi. Forse.