Alain Elkann, La Stampa 28/6/2015, 28 giugno 2015
“IL GIORNALISMO DEVE ESSERE CORAGGIOSO”
[Intervista a Susan «Zanny» Minton Beddoes] –
Susan «Zanny» Minton Beddoes è il 17° direttore dell’«Economist». Nel febbraio 2015 è diventata la prima donna a ricoprire questo ruolo.
Come è cambiata la sua vita dal momento della nomina?
«I miei giorni sono diventati più scanditi: è questo uno dei principali cambiamenti. Dalle 8,30 alle 19,30 ho un enorme numero di incontri e viaggio anche molto».
Qual è il suo lavoro come direttore?
«Il mio lavoro è fare un giornalismo coraggioso, che apra la mente e offra una sintesi esauriente delle notizie della settimana. Il tutto scritto straordinariamente bene».
Come si fa a decidere ogni settimana che cosa è importante?
«Nelle nostre riunioni di redazione decidiamo quali pensiamo siano i temi della settimana, quelli di cui vogliamo parlare. Al lunedì mattina si raccolgono le proposte, si sviluppano e si discutono. Poi le storie vengono scritte e io le rivedo. In questa decisione c’è un sottile equilibrio tra la nostra valutazione delle questioni di maggiore interesse e i temi a cui i nostri lettori potrebbero non aver pensato».
Chi sono i vostri lettori?
«Penso ai nostri lettori come a dei curiosi globali, ovunque si trovino. Il lettore tipico dell’Economist è una persona interessata al mondo, fuori dai confini del proprio Paese, oltre che lungimirante e capace di condividere i valori liberali che sosteniamo».
Qual è la vostra diffusione?
«Abbiamo una diffusione di 1,6 milioni del nostro prodotto tradizionale. Alcuni hanno solo l’abbonamento cartaceo, altri solo quello digitale, molti hanno il premium che li unisce.
Cosa c’è di nuovo nell’«Economist»?
«Siamo attivi sui social media e su Twitter. Abbiamo istituito “Espresso”, la nostra edizione quotidiana per smartphone, che preannuncia il mio stesso editoriale. Abbiamo anche lanciato “Global Business Review”, un’applicazione digitale bilingue, in inglese e in cinese e abbiamo istituito un nuovo reparto di ricerche statistiche: l’analisi dei dati è notevolmente migliorata ed è presentata con eleganti grafici interattivi».
Con tutte queste iniziative l’«Economist», ora, è molto più di un settimanale?
«Il prodotto principale è ancora il settimanale, ma ci stiamo avventurando in contenuti quotidiani. Una delle mie sfide è come integrare tutto questo nella cultura della carta. Non dobbiamo sovraccaricare la gente e dobbiamo assicurarci che tutti abbiano abbastanza tempo per pensare».
Come decidete le vostre storie di copertina?
«Siamo un punto di riferimento per i nostri lettori ed ecco perché abbiamo avuto l’Isis in copertina e l’economia mondiale. Le copertine che ho fatto di recente, per esempio il sesso debole, l’intelligenza artificiale, l’importanza del debito, le aziende di famiglia, sono questioni di primo piano».
Qual è l’età media dei lettori?
«Attorno ai 40 anni».
Quando decidete per un tema avete un punto di vista da offrire ai lettori e loro lo seguono?
«Noi abbiamo un punto di vista: abbiamo le nostre idee liberali, forti e ben salde. Siamo intrisi della convinzione di dover analizzare e interpretare i valori politici, sociali e del libero mercato nel XXI secolo. L’assunto di base è che noi crediamo nel liberalismo. Voglio che la gente si senta sfidata dalle nostre argomentazioni e non mi aspetto che le condivida sempre. Ma anche chi dissente dovrebbe trovare la nostra analisi abbastanza rigorosa da indurlo a riflettere».
Che tipo di problemi sono quelli che evidenziate?
«Abbiamo fatto un reportage sull’economia russa, dicendo che è molto più debole di quanto sembri e che una crisi è probabile. E la scorsa settimana abbiamo detto che l’economia degli Usa è più in forma di quanto molti pensino. Abbiamo anche fatto una famosa copertina dove sostenevamo che il petrolio sarebbe finito a 5 dollari al barile. Chiaramente, era uno sbaglio, ma ai tempi la proiezione era perfettamente ragionevole».
Chi sono i vostri giornalisti?
«La nostra grande forza sono loro e la loro scrittura. Abbiamo poco più di 105 giornalisti dipendenti e circa 155 persone complessivamente, inclusi redattori, disegnatori e assistenti. Poco meno di due terzi sono basati in Inghilterra e il resto in tutto il mondo».
(Traduzione di Carla Reschia)
Alain Elkann, La Stampa 28/6/2015